Introduzione alla lectio divina su Lc 24, 35-48

III domenica tempo di Pasqua - 4 maggio 2003

[35] Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.

[36] Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù apparve in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». [37] Stupiti e spaventati credevano di scorgere uno spirito. [38] Ma egli disse: «Perché siete turbati, e perché sorgono ragionamenti (dialoghismòi) nel vostro cuore? [39] Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; uno spirito non ha carne e ossa come vedete che io ho». [40] Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. [41] Ma poiché ancora non credevano dalla gioia ed erano stupefatti, disse: «Avete qui qualche alimento?». [42] Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; [43] egli lo prese e lo mangiò davanti a loro.

[44] Poi disse: «Sono queste le parole che vi dicevo quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi».

[45] Allora aprì loro la mente perché comprendessero le Scritture e disse: [46] «Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno [47] e nel suo nome sarà predicata a tutte le genti la conversione per il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. [48] Di questo voi siete testimoni.

*Quelle sottolineate sono parole chiave per la meditatio

 

La liturgia domenicale fa seguire al brano giovanneo sull’incredulità di Tommaso un analogo racconto di apparizione di Gesù ai discepoli composto dall’evangelista Luca, che può idealmente dividersi in due parti: una prima (vv.35-43) relativa alla piena manifestazione della Resurrezione tra i discepoli; una seconda parte (vv.43-48) concernente la piena comprensione di questo mistero da parte degli apostoli che, per grazia del Cristo, diventano testimoni (nel successivo v.49, che non fa parte del brano, c’è una vera e propria investitura apostolica).

Il contesto è sempre quello del giorno della Pasqua del Signore. È un giorno che perdura in modo singolare nella cronologia lucana per sottolineare teologicamente che quanto segue ha nell’evento pasquale il suo fondamento. I due discepoli di Emmaus sono i soggetti che aprono il brano con il racconto agli Undici (in Luca non v’è menzione circa l’assenza di Tommaso) dell’incontro con Gesù che aveva acceso i loro cuori.

Sul fatto che il loro maestro fosse risorto gli Undici avevano già ricevuto una testimonianza dalle donne (per quanto potesse valere a quell’epoca), lo stesso Pietro era rimasto stupefatto di vedere il sepolcro vuoto ed ora tutti ascoltavano altri due fratelli rievocare una rinnovata presenza di Gesù riconosciuta nella fractio panis condivisa con uno sconosciuto viandante. Proprio mentre facevano memoria di questo incontro, riappare Gesù.

Il termine usato dall’evangelista è “stette in mezzo a loro” (Mt 18,20). Ci troviamo, quindi, di fronte ad un’apparizione che esprime un senso di permanenza, una permanenza  tipica del nuovo status di risorto, che va letta insieme alla prima parola che Gesù rivolge ai suoi amici dopo la passione: pace. Il primo frutto della resurrezione sembra, infatti, essere la pace. “L’ebraico shalom (comunemente tradotto con pace) significa primariamente completezza e integrità, diciamo una condizione alla quale non manca nulla. […] Non designa anzitutto il tempo della pace in opposizione al tempo della guerra , ma lo stato dell’uomo che vive in armonia con la natura, con se stesso, con Dio.” (B. Maggioni, La pace nell’Antico e nel Nuovo testamento, in Vita e pensiero, LXIII, pag.24). La condizione del Risorto è pertanto una condizione di pace ed è una condizione che viene offerta ai discepoli.

L’intento dell’evangelista è chiaro: gli importa che la pienezza della Resurrezione sia apprezzata in tutti i suoi aspetti proprio dagli Undici che diventeranno, pertanto, depositari diretti del mistero della Resurrezione. Assai spesso si è insistito in passato fra i teologi cattolici sul conferimento da parte di Gesù alla Chiesa del potere-dovere di perdonare i peccati, ma qui siamo di fronte ad un dono altrettanto speciale riconosciuto alla intera  comunità dei discepoli, ossia sperimentare nel cuore il Cristo risorto.

Qui Gesù porta a termine un percorso pedagogico-spirituale che denota la sua profonda conoscenza dell’animo umano: Egli ha portato i suoi discepoli a mutare ogni precomprensione messianica che portavano con sé. Osservando il loro maestro, i discepoli avevano già faticato ad abbandonare l’idea diffusa di una guida vittoriosa ed osannata dalle genti e si erano da poco scontrati con un servo di Jahvè crocifisso che non si era potuto esimere dal confronto con la morte.

Non era cosa nuova pensare ad una resurrezione del loro maestro (così come l’ambiente ebraico di quel periodo non era pregiudizialmente ostile alla resurrezione dai  morti) ed, anzi, le donne ed i discepoli che lo testimoniavano risorto sembravano convincenti, ma il credere alla resurrezione da parte degli Undici era appunto una credenza, come si può credere ad una dottrina sulle realtà ultraterrene, come ce ne sono tante in giro.

“L’annuncio della risurrezione rimane follia per questo mondo e non fa meraviglia che persino i cristiani in qualche modo la ‘eliminino’ riducendola virtualmente alle antiche dottrine pre-cristiane di immortalità e sopravvivenza […] Sia che si tratti di immortalità dell’anima o della resurrezione del corpo, io non so niente né dell’una né dell’altra ed ogni discussione qui è pura speculazione” (A. Schmemann, Il mondo come sacramento, pagg.114-115).

Gesù, conoscendo il cuore di coloro che gli sono stati affidati, ci tiene a portare a termine quel percorso e a stabilire definitivamente un vero e proprio rapporto d’amore che si esprime in un progressiva pacificazione dell’uomo con la morte ed, in definitiva, con il suo Dio. Egli appare per fugare ogni dubbio, per spazzare via ogni alternativa logica che si frapponga – dia-loghismos – ad una piena adesione a Dio e per condividere insieme ai discepoli la sua nuova condizione. Egli partecipa ai suoi l’essenza centrale (kerygma) del cristianesimo. La morte è vinta, la morte in croce ha dato senso alla sua vita terrena; la resurrezione di Cristo dà ora senso alla vita ed alla morte di tutti gli uomini, è certezza concreta e speranza per tutti i discepoli.

Ma è un kerigma vissuto. La grande gioia dei discepoli è nel vedere insieme il loro Signore, risorto e vincitore sulla morte, mangiare davanti a loro un pezzo di pesce arrostito.

È questa esperienza di resurrezione che nella sua grazia il Signore ci dona a fondare la Chiesa. Egli apre l’intelligenza dei credenti formati nelle Scritture, i quali riscoprono in esse ciò che già sanno e che arde nel loro cuore, cioè che nel Cristo una nuova vita è cominciata.

Di ciò (e solo di ciò) possono essere autentici testimoni.

 

Brani di riferimento (oltre a quelli già citati) :