Lectio divina su Lc 16,19-31

XXVI domenica tempo ordinario – 30 settembre 2001

 

[19] C'era un uomo ricco e si vestiva di porpora e di bisso, facendo festa ogni giorno splendidamente. [20] Ma un povero, di nome Lazzaro, giaceva presso il suo atrio, coperto di piaghe, [21] bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla tavola del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe.

[22] Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto.

[23] Stando nell'Ade tra i tormenti, levò gli occhi e vide da lontano Abramo e Lazzaro nel suo seno. [24] Allora gridando disse: Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e bagnarmi la lingua, perché questa fiamma mi tortura. [25] Ma Abramo rispose: Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora invece lui è qui consolato e tu sei in mezzo ai tormenti. [26] Per di più, tra noi e voi è stabilito un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi non possono, né da lì si può attraversare fino a noi.

[27] E quegli replicò: Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre, [28] perché ho cinque fratelli. Li metta in guardia, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento. [29] Ma Abramo rispose: Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro. [30] E lui: No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si convertiranno. [31] Abramo rispose: Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi”.

* Quelle sottolineate sono alcune parole chiave per la meditatio.

 

Dopo aver apprezzato la scaltrezza dell’amministratore del brano di Lc 16, 1-13 nel farsi amici con l’ l’ingiusta ricchezza, la lezione di “economia della salvezza” prosegue attraverso la figura antitetica del ricco gaudente.

In questa parte del Vangelo l’evangelista Luca approfondisce, infatti, il tema della ricchezza ed il valore rivelativo di un uso appropriato dei beni terreni, dapprima elogiando l’amministratore che “si salva accogliendo i poveri nella comunità dei suoi beni”, poi presentando poco dopo un ricco che “si perde non comunicando la sua ricchezza” (Rossé).

La tecnica narrativa è quella del contrasto stridente fra ricchezza e povertà, ma se non ci si lascia coinvolgere emotivamente dalle forti differenze tra i personaggi (anche la salute li distingue), si può percepire come l’intento di Luca non sia (almeno principalmente) quello di operare una valutazione etica dello stile di vita del ricco che faceva festa ogni giorno in abiti eleganti rispetto al povero affamato (v. Qo 5, 17). Non importa se il ricco abbia legittimamente o meno guadagnato i propri averi, non importa se il povero abbia più o meno sperperato i suoi beni. Non è la causa della ricchezza (giusta o ingiusta) che rileva, bensì il fatto che il ricco goda da solo della sua ricchezza, senza rendersi nemmeno conto che nella sua casa (“nell’atrio” e non “alle porte”, come riporta una traduzione meno incisiva) staziona un uomo che aspirerebbe anche a cibarsi dei suoi avanzi.

Un particolare è, però, interessante: il ricco non ha un nome, non ci offre una vera identità, mentre il povero si chiama Lazzaro (forma greca di Eliazar, che significa “Dio aiuta”) ed esprime, con la sua presenza nella casa del ricco, una richiesta, un forma (spontanea o forzata dalle circostanze, non c’interessa) di relazione finalizzata alla condivisione. Luca ricorda con questo nome il “debole” del nostro Dio per i poveri.

Ma “l’uomo nel benessere non discerne, è come gli animali che periscono” (Salmo 49) ed, infatti, viene il giorno in cui il ricco muore e viene sepolto, mentre Lazzaro è aiutato dagli angeli di Dio a salire in cielo (è straordinaria la differenza narrativa tra le due morti: semplice tumulazione contrapposta a magnifica assunzione in cielo).

Qui l’evangelista introduce un elemento tipico dell’immaginario popolare di tutti i tempi (cioè l’Ade o lo Sheol, qui reso come un unico posto in cui tutti, sia pur con destini diversi, convergono; per l’evangelista si sta insieme anche dopo la morte) per  raffigurare il rovesciamento delle situazioni di vita.

Non c’è un interesse a rappresentare realtà ultime per informare il lettore di ciò che avverrà dopo la morte, né tantomeno si vuole tentare di dare una giustificazione alle terrene iniquità sociali con un invito alla speranza di giustizia (solo nei cieli).

Il carattere autenticamente innovativo di questo esito rispetto alle mentalità di quei tempi può cogliersi solo se per un attimo ci spogliamo da consolidate suggestioni di retribuzione dantesca e poniamo mente al fatto che in quel periodo era radicata la convinzione che la sorte che toccava ad un uomo (malattie\salute; ricchezza \povertà) dipendesse dalla benedizione divina e dall’assenza di peccati (v. Gv 9,2; v. Lc 13, 4).

A Lazzaro, autentico povero, non viene imputato alcun peccato, ma viene accolto tra le braccia e consolato (interessante il termine greco “parakaleitai” che ha la stessa radice del termine “Paraclito” attribuito allo Spirito Santo; un termine necessariamente comunitario) da Abramo, padre di tutti i credenti, mentre al ricco è riservata una sorte di tormenti.  E forse tra i tormenti, al di là della sete (perché proprio la sete ? v. Gv 4, 10; 7, 38), v’è il tormento più grande: non poter godere anche della insignificante goccia che bagna le labbra che Lazzaro potrebbe offrire. Ancor più profondamente - in ultima analisi - non potere godere della, pur limitata, condivisione delle ricchezze del fratello.

Nemmeno Abramo può aiutare il “figlio” ricco (Luca ci suggerisce, quindi, che il ricco era un credente come noi) a sollevarsi dalla situazione che la morte gli ha consegnato: è un grande abisso quello che è cristallizzato nelle egoistiche abitudini di chi ha goduto le proprie ricchezze senza parteciparne. Ci troviamo di fronte ad una applicazione concreta della logica delle Beatitudini (beati voi…guai a voi..).

Ma la portata del brano non si ferma qui.

Luca approfitta ancora di questo personaggio per fornire quello che, alla fine, è il messaggio centrale del brano, cioè come fare a scoprire ciò che essenziale per la conversione del cuore. Il ricco ora pensa agli altri. Ai suoi fratelli. Spera e chiede un miracolo, vuole violare le leggi della vita e della morte per cambiare il cuore dell’uomo. Rivela in ciò anche la sua scarsa fiducia nei rotoli di quella Legge in cui sembrava credere.

L’essenziale è, però, custodito proprio nell’ascolto delle Scritture, quelle Scritture che sono sempre state alla portata della sua mano.

Con una punta d’amarezza (in alcune comunità cristiane probabilmente si preferiva continuare a ricercare apparizioni di Gesù), Abramo afferma in conclusione che anche una (La) resurrezione è inutile se non si pratica l’ascolto reale della Parola di Dio, l’unica risorsa che ci apre il cuore verso di Lui e verso gli altri.

Meditazione su Lc 16,19-31

Lectio divina Amos 6,1.4-7