Introduzione alla lectio divina su Gv 14, 15-16.23b-26

Domenica 30 maggio 2004 - Pentecoste

 

[15]  “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti. [16] Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paraclito perché rimanga con voi per sempre.

[23] Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. [24] Chi non mi ama non osserva le mie parole; la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.

[25] Queste cose vi ho detto quando ero ancora tra voi. [26] Ma il Paraclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v'insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto”.

 

Quelle sottolineate sono parole ed espressioni chiave per la meditatio.

 

Il lungo percorso compiuto dallo Spirito di Dio sembra giunto a destinazione. La comunità giovannea avverte la presenza viva e operante di colui che un tempo “aleggiava sulle acque” (Gn 1,2), ma che adesso permea di sé i cuori di carne (Ez 36,26) che si radunano attorno a Gesù di Nazareth. Dalla massima lontananza del Genesi lo Spirito di Dio perviene alla massima vicinanza possibile, alla inabitazione nell’intimo di ogni uomo. Egli in Giovanni è il Paraclito, letteralmente “colui che è chiamato vicino”.

 

Il nostro brano va letto all’interno della profonda unità del capitolo 14 e quest’ultimo all’interno della più grande unità del discorso di addio che Gesù, in Giovanni, rivolge ai discepoli nei capitoli che vanno dal 13 al 17.

L’apertura (v.15) rinvia al Deuteronomio (Dt 7,9). La coppia amare/osservare, infatti, rappresenta lo schema fondamentale dell’Alleanza ed è una coppia indissolubile. E’ notevole poi che, nel corso del c.14, come si può già constatare nella nostra pericope, la parola comandamenti finisca per diventare sinonima di parola/parole (vv.15.21.23.24), sulla linea linguistica ebraica che vuole si traduca con “le dieci parole” ciò che solitamente viene reso con “i dieci comandamenti”. Tale capacità di amare/osservare sembra garantita da un’azione trinitaria: “Io pregherò il Padre perché vi mandi un altro Paraclito” (v.16). Si sottintende che Gesù di Nazareth è stato il primo Paraclito.

Il Paraclito, termine di origine incerta, viene precisato da Giovanni stesso con le espressioni “Spirito della verità” (cf. anche Gv 16,13) e “Spirito Santo”, e appare destinato alla comunità dei credenti perché con essa rimanga permanentemente ed eserciti alcune prerogative fondamentali, che tra breve andremo a vedere. Qui è importante notare preliminarmente l’impossibiltà che tale Presenza venga riconosciuta dal “mondo”. In 1Gv 2,15-17 si legge: Non amate né il mondo, né le cose del mondo! Se uno ama il mondo, l'amore del Padre non è in lui; perché tutto quello che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, non viene dal Padre, ma dal mondo. E il mondo passa con la sua concupiscenza; ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno!

Lo Spirito è destinato ai credenti nella misura in cui, attraverso la fedeltà alla Parola del Cristo, essi si dispongono a prendere le distanze dalla mondanità esistenziale che pietrifica il cuore dinanzi a Dio e chiude le orecchie alla sua Parola.  Questa mondanità esistenziale non può ricevere lo Spirito perché non è in grado di trarne beneficio: “il mondo non lo vede e non lo conosce” (Gv 14,17).  Il mondo tende a convincere i credenti che non c’è nulla da salvare. Da questa tentazione fondamentale il Paraclito difende il credente.

In che modo?

Attraverso le due azioni fondamentali che qualificano la sua presenza: insegnare e ricordare. Nella sua fisionomia di maestro interiore nonché di memoria attiva dei credenti, lo Spirito si rivela continuatore della Sapienza biblica ben documentata nell’omonimo libro (Sap 1,5; 9,11s.; 10,10). Quel che interessa qui sottolineare è la percezione dello Spirito, da parte della comunità giovannea, come sempre relazionato al Cristo (cf. Gv 7,37-39). Nella misura in cui “prenderà del mio e ve l’annunzierà” (Gv 16,14) , lo Spirito si situa sulla linea della verità e della santità (Spirito della Verità e Spirito Santo). Sulla santità dello Spirito, non ci soffermiamo in questa sede. Sull’idea di verità invece è il caso di fare alcune osservazioni di carattere attualizzante.

Quando Gv, in  16,5-15, torna a parlare dello Spirito, ci dice che egli guiderà i discepoli, nel tempo, alla verità tutta intera, “perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi riannunzierà le cose che vengono” (16,13).  Questa idea di verità appare lontana da ogni concezione fondamentalista che vede la verità come qualcosa di dato una volta per tutte che rifugge da ogni compromissione con la storia degli uomini. La verità cristiana ha a che fare col dinamismo della storia ed il suo progressivo disvelarsi, lungi all’essere un fatto oggettivamente constatabile, ha a che fare con la capacità del credente di fare interagire la Parola del Cristo contenuta nelle Scritture con gli eventi della storia di cui è testimone.  Una capacità che gli è donata, secondo Giovanni, proprio dal Paraclito. Quando l’ascolto della Parola contenuta nelle Scritture consente al credente di cogliere i significati profondi della contemporaneità e nello stesso tempo quest’ultima riesce a ricondurre il credente alle Scritture con una rinnovata  capacità di comprensione delle stesse,  siamo di fronte all’azione magisteriale dello Spirito.

Dire infatti che lo Spirito “insegnerà ogni cosa” significa essere rinviati al significato rabbinico del verbo “insegnare”: un significato legato al testo biblico e alla sua continua interpretazione. La necessità dell’interpretazione mette la frequentazione biblica del cristiano al riparo di ogni fondamentalismo e lo abilita, introducendo anche una prospettiva lucana, ad essere compagno di strada di ogni uomo scrutandone valori, cultura, linguaggi. Ma ciò sarà possibile dentro la memoria. Allo Spirito che insegna e fa ricordare corrisponde il credente disposto a ricordare e a farsi condurre nell’apprendimento. In questo discepolato dello Spirito consiste l’esperienza della verità che vive ogni credente. 

Tale esperienza, potremmo dire, è consentita da un movimento esodale. Il credente infatti, abitato dallo Spirito in quanto amato dal Padre, ascolta la Parola del Cristo e con essa esce da se stesso. Fa, in altri termini, anche lui, sia l’esperienza dello Spirito in relazione al Cristo, dato che “non parlerà da sé” (Gv 16,13), sia l’esperienza del Cristo in relazione al Padre, dato che “la parola che voi ascoltate non è mia” (Gv 14,24).  In tal senso il credente ottiene il privilegio di essere introdotto nella dimensione trinitaria, che è dimensione eminentemente relazionale. Solo all’interno di tale dimensione egli è in grado di comprendere appieno la propria individualità.  Ha guadagnato la propria vita proprio disponendosi a perderla.

 

 

Brani di riferimento (oltre a quelli già citati):

 

·        Sulla presenza dello Spirito nell’At: piuttosto che singoli brani, si consiglia qui una lettura altamente istruttiva e riepilogativa, che contiene un’ampia rassegna di riscontri biblici veterotestamentari sullo Spirito: A. Mello, La passione dei profeti, Qjqajon, Comunità di Bose 2000.

·        Sullo Spirito nell’Evangelo di Gv: Gv 3,3-8; 4,22-24; 6,63; 15,26-27; 20,22-23.

·        Sull’azione magisteriale dello Spirito: 1Cor 2,10-16.