Introduzione alla Lectio divina di Gv 3,14-21 – Domenica 30.03.2003

4^ domenica di Quaresima

 

[14] "E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, [15] perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna . [16] Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. [17] Infatti Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. [18] Chi crede in lui non è giudicato; ma chi non crede è già stato giudicato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio. [19] E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. [20] Chiunque infatti compie il male, odia la luce e non viene presso la luce perché non siano rimproverate le sue opere. [21] Ma chi fa la verità viene presso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio".

 

*Le parole sottolineate sono parole-chiave per la meditatio

 

Siamo davanti ad un’ulteriore tappa della rivelazione di Gesù di Nazareth come Messia e Figlio di Dio. Il contesto in cui ci troviamo è adesso il dialogo con Nicodemo, che caratterizza gran parte del c.3 dell’Evangelo giovanneo e che dev’essere letto in continuità con Gv 3,22-36, cercando di rintracciare, nei versetti che riproporranno la figura di Giovanni il Battista, le risposte che il fariseo Nicodemo non mostra di saper dare nel nostro brano. Infatti il dialogo col fariseo Nicodemo, un uomo animato dalla volontà di andare oltre i segni (cf. il brano di domenica scorsa, Gv 2,13-25) e disposto a riconoscere in Gesù un uomo “venuto da Dio” (Gv 3,2), non si conclude con un gesto di conversione, ma si apre ad un monologo rivelativo di Gesù che qui cercheremo di illustrare.

Il nostro brano può essere scandito in tre momenti:

·        I vv.14-15, in cui è centrale l’idea di innalzamento che nell’interpretazione che ne dà Gv coincide con la crocifissione di Gesù.

·        I vv.16-18, in cui viene posto il legame tra la crocifissione e l’amore del Padre, che infatti figura come soggetto di tutto il movimento umano della fede. Qui l’idea centrale  è quella della misericordia divina.

·        I vv.19-21, in cui giunge in primo piano la questione della responsabilità umana e della genesi della fede.

Andiamo per ordine.

Nei vv.14-15, viene posto un legame tra il racconto di Nm 21,4-9, riletto poi da Sap 16,6-10, e la crocifissione di Gesù. Il serpente di rame che Dio fece innalzare a Mosé era strumento di misericordia e di salvezza. Significava per il popolo tornare a vivere. Significava rinascere. La necessità della crocifissione di Gesù viene posta dunque in relazione alla possibilità che l’uomo possa rinascere, che è il movimento suggerito a Nicodemo in Gv 3,3. La promessa straordinaria, per l’uomo, in virtù di quest’azione gratuita di Dio, è la “vita eterna”. L’innalzamento di Gesù determina la salvezza dell’uomo.

I vv. 16-21 rappresentano la lettura teologica di questo innalzamento nel duplice movimento che va da Dio all'uomo (16-18) e dall'uomo a Dio (19-21). Va subito anticipato che al centro di questo doppio movimento, che sancisce la Nuova Alleanza, c'è una parola decisiva: krìsis, che traduciamo con giudizio, ma senza sfuggire alla suggestione della sua derivazione lessicale in lingua italiana: appunto, crisi. All'origine della possibilità che l'uomo rimodelli la propria esistenza sulla risposta all'amore di Dio c'è dunque una crisi, una destrutturazione che pone l'uomo di fronte alla necessità di ripensare i presupposti esistenziali del proprio vivere.

Nei vv.16-18, dunque, il movimento del testo segnala un’azione di Dio nei confronti dell’uomo, o meglio, del “mondo”. Conviene leggere questa sezione del testo avendo ben presente il prologo dell’Evangelo di Giovanni, con la sua prospettiva universale: “Il mondo fu fatto per mezzo di lui” (Gv 1,10). Nel prologo giovanneo è interpellato il “mondo” come genere umano che riceve la luce ed è invitato a fare una scelta fondamentale. L’alternativa luce/tenebre si accampa già fin dall’inizio dell’Evangelo come alternativa radicale, che chiama l’uomo alla responsabilità di una scelta critica, una scelta di accoglienza o di rifiuto, di fede o di incredulità. Sullo sfondo del prologo, possiamo dunque tornare ai nostri versetti per constatare da un lato l’intenzione salvifica di Dio (“perché sia salvato per mezzo di lui”, v.17), dall’altro quella che gli esegeti definiscono “escatologia anticipata” ovvero la immediata conseguenza della scelta umana: “chi non crede è già stato giudicato” (v.18). La dinamica del giudizio non ha dunque a che fare con un atto positivo di Dio, che si situa al termine della storia, bensì come constatazione di una scelta esistenziale dell'uomo qui e ora. Si tratta di un giudizio già avvenuto nel momento stesso in cui, rispetto alla opzione fondamentale, ci si è posti in termini di resistenza. La resistenza all'amore di Dio genera, di per sé, il collocarsi al di fuori della Vita.

I vv.19-21 spiegano il movimento dell’uomo in ordine alla fede. Come avviene il credere? Come si produce l’incredulità? Tutto viene descritto in relazione ad un evento discriminante: “la luce è venuta nel mondo” (v.19a). Ora, rispetto a questo movimento della Luce, il testo individua due situazioni umane. La prima situazione è quella di coloro le cui “opere erano malvagie” e che compiono il male. Sembra abbastanza chiaramente che questa loro posizione ne impedisca il movimento verso la Luce, che è l’atto della fede. La resistenza alla fede verrebbe da un desiderio di nascondimento: “perché non siano rimproverate le sue opere” (cf. Gn 3,10). Ma quali sono queste “opere” che favorirebbero o impedirebbero la fede e che, in qualche modo, rappresentano la disposizione interiore fondamentale dell’uomo? Si tratta di opere morali, di buoni comportamenti? Non sembra. Infatti, “mai la condotta retta dell’uomo è vista nella Bibbia come la condizione previa alla fede religiosa” (Leon-Dufour). L’interpretazione che appare più convincente è quella che suggerisce di considerare queste opere – considerato che l’interlocutore era un alto rappresentante del giudaismo, per il quale le opere sono espressione della fedeltà alla Legge di Dio – l’accoglienza della rivelazione di Dio prima nella Creazione e poi nella Legge. In altri termini, l’accoglienza o il rifiuto di Gesù Cristo troverebbero una loro necessaria premessa, potremmo dire, in un atteggiamento di fondo dell’uomo – dell’israelita come di ogni uomo  - che riconosce la costante azione di Dio nel mondo, attraverso i modi che Dio ha scelto per rivelarsi. Questa disposizione di fondo, potremmo forse dire attualizzando un po’, di rifiuto dell’ateismo, consentirebbe all’uomo di “fare la verità” e, quindi, di  accogliere la suprema rivelazione divina in Gesù di Nazareth, che è allo stesso tempo “venire presso la luce” e non temere lo svelamento della propria vita interiore (“perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio”).

Venire presso la luce, credere in Gesù di Nazareth, avere la vita eterna risultano dunque un unico movimento di rinascita, che è il frutto della definitiva Alleanza tra Dio e l’uomo.

 

Brani di riferimento :

 

Ø      In generale su tutto il brano: Gv 1,1-18;  5,19-24;  7,37-39;  12,44-50;  1 Gv 4,7-5,12.

Ø      Sull’idea di innalzamento: Nm 21,4-9;  Is 52,13;  Sap 16,6-10;  Gv 8,28;  12,32.

Ø      Sulla responsabilità umana: Dt 30,15-19;  Gv 6,60-71.

Ø      Su verità e menzogna: Gv 8,42-47