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*Le
parole sottolineate sono parole-chiave per la meditatio
Siamo davanti ad un’ulteriore
tappa della rivelazione di Gesù di Nazareth come
Messia e Figlio di Dio. Il contesto in cui ci troviamo
è adesso il dialogo con Nicodemo, che caratterizza gran parte del c.3
dell’Evangelo giovanneo e che dev’essere letto in
continuità con Gv 3,22-36, cercando di rintracciare,
nei versetti che riproporranno la figura di Giovanni il Battista, le risposte
che il fariseo Nicodemo non mostra di saper dare nel nostro brano. Infatti il dialogo col fariseo Nicodemo, un uomo animato
dalla volontà di andare oltre i segni (cf. il brano di domenica scorsa, Gv
2,13-25) e disposto a riconoscere in Gesù un uomo
“venuto da Dio” (Gv 3,2), non si conclude con un
gesto di conversione, ma si apre ad un monologo rivelativo
di Gesù che qui cercheremo di illustrare.
Il nostro brano può essere scandito in tre
momenti:
·
I
vv.14-15, in cui è centrale l’idea di innalzamento
che nell’interpretazione che ne dà Gv coincide
con la crocifissione di Gesù. ·
I
vv.16-18, in cui viene posto il legame tra
la crocifissione e l’amore del Padre, che infatti figura come
soggetto di tutto il movimento umano della fede. Qui l’idea centrale è quella della misericordia divina. ·
I
vv.19-21, in cui giunge in primo piano la questione della responsabilità
umana e della genesi della fede. |
Andiamo per ordine.
Nei vv.14-15, viene
posto un legame tra il racconto di Nm 21,4-9, riletto
poi da Sap 16,6-10, e la crocifissione di Gesù. Il serpente di rame che Dio fece innalzare a Mosé era strumento di misericordia e di salvezza.
Significava per il popolo tornare a vivere. Significava rinascere. La necessità
della crocifissione di Gesù viene
posta dunque in relazione alla possibilità che l’uomo possa rinascere, che è il
movimento suggerito a Nicodemo in Gv 3,3. La promessa
straordinaria, per l’uomo, in virtù di quest’azione gratuita di Dio, è la “vita
eterna”. L’innalzamento di Gesù determina la salvezza
dell’uomo.
I vv. 16-21
rappresentano la lettura teologica di questo innalzamento
nel duplice movimento che va da Dio all'uomo (16-18) e dall'uomo a Dio (19-21).
Va subito anticipato che al centro di questo doppio
movimento, che sancisce la Nuova Alleanza, c'è una parola decisiva: krìsis, che traduciamo con giudizio, ma senza
sfuggire alla suggestione della sua derivazione lessicale in lingua italiana:
appunto, crisi. All'origine della possibilità che l'uomo
rimodelli la propria esistenza sulla risposta all'amore di Dio
c'è dunque una crisi, una destrutturazione che pone l'uomo di fronte alla
necessità di ripensare i presupposti esistenziali del proprio vivere.
Nei vv.16-18, dunque, il movimento
del testo segnala un’azione di Dio nei confronti dell’uomo, o meglio, del
“mondo”. Conviene leggere questa sezione del testo avendo ben presente il
prologo dell’Evangelo di Giovanni, con la sua prospettiva universale: “Il mondo
fu fatto per mezzo di lui” (Gv 1,10). Nel prologo
giovanneo è interpellato il “mondo” come genere umano che riceve la luce ed è
invitato a fare una scelta fondamentale. L’alternativa
luce/tenebre si accampa già fin dall’inizio dell’Evangelo come alternativa
radicale, che chiama l’uomo alla responsabilità di una scelta critica, una
scelta di accoglienza o di rifiuto, di fede o di incredulità. Sullo sfondo del
prologo, possiamo dunque tornare ai nostri versetti per constatare
da un lato l’intenzione salvifica di Dio (“perché sia salvato per mezzo di
lui”, v.17), dall’altro quella che gli esegeti definiscono “escatologia
anticipata” ovvero la immediata conseguenza della scelta umana: “chi non
crede è già stato giudicato” (v.18). La dinamica del giudizio non ha dunque a
che fare con un atto positivo di Dio, che si situa al termine della storia,
bensì come constatazione di una scelta esistenziale dell'uomo qui e
ora. Si tratta di un giudizio già avvenuto nel momento stesso in cui,
rispetto alla opzione fondamentale, ci si è posti in
termini di resistenza. La resistenza all'amore di Dio genera, di per sé,
il collocarsi al di fuori della Vita.
I vv.19-21 spiegano il movimento dell’uomo
in ordine alla fede. Come avviene il credere? Come si
produce l’incredulità? Tutto viene descritto in
relazione ad un evento discriminante: “la luce è venuta nel mondo” (v.19a).
Ora, rispetto a questo movimento della Luce, il testo individua due situazioni
umane. La prima situazione è quella di coloro le cui “opere erano malvagie” e
che compiono il male. Sembra abbastanza chiaramente che questa loro posizione
ne impedisca il movimento verso la Luce, che è l’atto della fede. La resistenza
alla fede verrebbe da un desiderio di nascondimento: “perché
non siano rimproverate le sue opere” (cf. Gn 3,10). Ma quali sono queste
“opere” che favorirebbero o impedirebbero la fede e che, in qualche modo,
rappresentano la disposizione interiore fondamentale dell’uomo? Si tratta di opere morali, di buoni comportamenti? Non sembra. Infatti, “mai la condotta retta dell’uomo è vista nella
Bibbia come la condizione previa alla fede religiosa” (Leon-Dufour).
L’interpretazione che appare più convincente è quella che suggerisce di
considerare queste opere – considerato che
l’interlocutore era un alto rappresentante del giudaismo, per il quale le opere
sono espressione della fedeltà alla Legge di Dio – l’accoglienza della
rivelazione di Dio prima nella Creazione e poi nella Legge. In altri termini,
l’accoglienza o il rifiuto di Gesù Cristo troverebbero una loro necessaria premessa, potremmo dire, in
un atteggiamento di fondo dell’uomo – dell’israelita come di ogni uomo - che riconosce la costante azione di Dio
nel mondo, attraverso i modi che Dio ha scelto per rivelarsi. Questa
disposizione di fondo, potremmo forse dire
attualizzando un po’, di rifiuto dell’ateismo, consentirebbe all’uomo di
“fare la verità” e, quindi, di
accogliere la suprema rivelazione divina in Gesù
di Nazareth, che è allo stesso tempo “venire presso la luce” e non temere lo svelamento della propria vita interiore (“perché appaia
chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio”).
Venire presso la luce, credere in Gesù di Nazareth, avere la vita eterna risultano
dunque un unico movimento di rinascita, che è il frutto della definitiva
Alleanza tra Dio e l’uomo.
Brani
di riferimento :
Ø
In generale su tutto il brano: Gv 1,1-18; 5,19-24;
7,37-39; 12,44-50; 1 Gv 4,7-5,12.
Ø
Sull’idea
di innalzamento: Nm 21,4-9; Is 52,13; Sap 16,6-10; Gv 8,28; 12,32.
Ø
Sulla
responsabilità umana: Dt 30,15-19; Gv 6,60-71.
Ø
Su
verità e menzogna: Gv 8,42-47