[27] Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire su una nube con
potenza e gloria grande. [28] Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e
levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina». [34] State bene attenti che i vostri cuori non
si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita
e che quel giorno non vi piombi addosso improvviso; [35]
come un laccio esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla
faccia di tutta la terra. [36] Vegliate e pregate in ogni momento, perché abbiate la
forza di sfuggire a tutto ciò che deve accadere, e di comparire davanti
al Figlio dell'uomo. |
*Le parole
sottolineate sono parole-chiave per la meditatio
A partire dal v. 5 di questo capitolo, Gesù
annuncia ai cristiani (21, 12-19) (ma parlando pubblicamente), gli eventi che
precederanno e che accompagneranno la fine dei tempi: eventi terribili, che
comporteranno per i discepoli il passaggio attraverso persecuzioni e morte (21,
12-19) e che non risparmieranno nessuno (21, 23). Non è facile per noi
comprendere il senso di tutto ciò. Certamente Gesù non sta dando chiavi di
lettura degli eventi storici, per consentire di leggervi i segni della fine dei
tempi (Mc, 13-32). Gesù sta in realtà utilizzando uno stile di linguaggio ben
preciso, quello apocalittico, che i suoi ascoltatori ebrei conoscevano e
comprendevano benissimo. Ce ne rendiamo conto ancora meglio se confrontiamo
questo brano con quelli corrispondenti dei sinottici (Mt 24, 29-31 e Mc 13,
24-27), che citano direttamente i brani di Is 13, 10 e 34, 4 (mentre Lc ne
riporta il senso, senza citarli esattamente) e che saranno a loro volta citati
(Mt 24, 29) in Ap 1, 7.
Le distruzioni e gli eventi di cui parla
Gesù sono infatti gli stessi che avrebbero accompagnato, secondo la
predicazione dei profeti, la distruzione di Babilonia (Is 13, 10) o quella
dell'Egitto (Ez 32, 7). Tali annunci di distruzione erano seguiti sempre
dall'annuncio della liberazione di Israele (Is 14, 3) e della gloria del
Signore (Ag 2,7). Anche questa volta è così, solo che adesso la gloria e la
potenza trovano attuazione in Gesù Cristo, il Figlio dell'uomo. Quando tutto sembra perduto, quando le più
terribili devastazioni si sono realizzate intorno a noi e dentro di noi, la
presenza del Signore sola è in grado di ridare forza e fiducia (Egli asciugherà ogni lacrima dai loro occhi
e non ci sarà più la morte, né cordoglio, né grido, né dolore, perché le cose
di prima sono passate [Ap 21, 4]), come accade a Maria Maddalena davanti al
sepolcro di Cristo (Gv 20, 15). La venuta salvifica del Figlio dell'uomo è
quindi il centro del brano, e non come potrebbe apparire l'annuncio dei fatti
mirabili e terribili.
Ma questa venuta è pur sempre preannunciata
da segni, che irrompono con forza
nell'esperienza storica degli uomini. E' il rifiuto da parte di Gesù di
qualunque atteggiamento di attesa che si ponga fuori dalla storia, dagli eventi
umani. L'attesa del Regno di Dio che sarà
deve essere vissuta con lo sguardo rivolto a quello che già è, nella compagnia degli uomini e senza
fughe spiritualiste. Il comandamento dell'amore verso Dio non è forse
immediatamente seguito dal secondo comandamento: amerai il prossimo tuo come te stesso (Mc 12,31)?
La fuga dalla storia non è neanche
giustificata dalle difficoltà che tale esperienza può portare con sé ("metteranno a morte alcuni di voi", 21, 16). Ciò che importa è che queste siano
affrontate nella certezza della fedeltà
di Dio, nella consapevolezza che tutto ciò che accade ha come unico e totale
compimento la venuta del figlio dell'uomo
con potenza e gloria grande (21, 27). Questa venuta interroga direttamente
gli uomini, cui viene richiesto di alzarsi
e levare il capo (21, 28), riconoscendo la prossimità della loro
liberazione. E' questa una particolarità del brano di Luca rispetto a quelli
già citati dei sinottici, nei quali la venuta del Signore con grande potenza e gloria è seguita dall'invio degli angeli, che raduneranno
tutti i suoi eletti dai quattro venti (Mt 24, 31; Mc 13, 27), senza prevedere alcun protagonismo umano.
Ma
proprio perché Luca è l'unico evangelista a richiamare in questo brano la
necessità di una presenza attenta e attiva dell'uomo, capace di riconoscere la
venuta del Signore e agire di conseguenza, egli sente la necessità di
aggiungere qualcosa. Non è quello dello spiritualismo, infatti,
l'unico pericolo che corriamo, e forse non è neanche il maggiore. L'altro
grande pericolo è quello della stanchezza, della disattenzione, del lasciarsi
prendere dagli affanni della vita
(21, 34). Il termine usato da Luca per "affanni" (merimnais) è lo stesso richiamato nella
parabola del seminatore in Mt 13, 22, dove tali preoccupazioni, unitamente all'inganno delle ricchezze, sono dette
capaci di soffocare la parola,
rendendola incapace di portare frutto. Luca stesso riutilizzerà questo termine
nel riferire il rimprovero di Gesù alla sorella di Lazzaro (Lc 10, 41-42): «Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui
c'è bisogno».
L'unica cosa che davvero
è richiesta agli uomini è allora rimanere nella prospettiva dell'attesa, senza lasciare appesantire il proprio cuore. Pace e sicurezza (1 Ts 5,3) possono
diventare i nostri più grandi nemici, gli idoli che resistono dopo
l'abbattimento di ogni altro idolo, apparentemente inoffensivi ma tragicamente
difficili da combattere e perfino da vedere come tali.
Non c'è altra via per scongiurare questo più
subdolo pericolo se non quella della vigilanza, che si nutre di una preghiera
continua e incessante, per farci trovare pronti (Mt 24, 42-44) e perché non
entriamo in tentazione (Mt 26, 41). E' questo lo stato che il Signore attende
per adempire la sua promessa (2 Pt 3,
9): la nostra attesa del Signore che viene è anche l'attesa del Signore di
trovarci pronti, non volendo che alcuno
perisca.
Brani di riferimento (oltre a quelli già
citati) :
Ø Sulla
veglia : Gs 21, 11; Mt 25, 13; Mt 26, 38; Mc 13, 37; 1 Cor 16, 13; 1 Pt 5, 8.
Ø Sulla
necessità di pregare sempre: Lc 18, Rm 1, 10; Gal 6, 9; Ef 3, 13 Col 1, 3; 12
Ts 1, 11; 2 Ts 3, 13; Fil 1, 4; Fm 4.