Lectio divina di Mc 1,21-28 – domenica 30.01.2000
4^ domenica tempo ordinario
[21] Ed entrano a Cafarnao e Gesù, entrato proprio di sabato nella sinagoga, insegnava. [22] Ed erano stupiti del suo insegnamento, perché insegnava loro come uno che ha autorità e non come gli scribi. [23] Allora nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito immondo (letteralmente: in spirito immondo), si mise a gridare: [24] "Che c’è tra te e noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci! Io so chi sei: il santo di Dio". [25] E Gesù lo sgridò: "Taci! Esci da quell'uomo". [26] E lo spirito immondo, contorcendolo e gridando forte, uscì da lui. [27] Tutti si spaventarono (verbo raro: thambeomai, cfr. Mc 10, 24), tanto che si chiedevano a vicenda: "Che è mai questo? Una dottrina nuova insegnata con autorità. Comanda persino agli spiriti immondi e gli obbediscono!". [28] La sua fama uscì subito dovunque nei dintorni della Galilea. |
*Le parole sottolineate sono parole-chiave per la meditatio
Con questo brano Marco fa iniziare il ministero di Gesù di Nazareth in Galilea. E’ importante non perdere di vista, tuttavia, il messaggio rivelativo del brano di domenica scorsa, centrato sul rapporto tra Parola e conversione, sulla coincidenza tra il Gesù che parla ed il Gesù che opera, così come avveniva nelle esistenze dei primi quattro discepoli. Proprio i quattro discepoli accompagnano Gesù nella sinagoga di Cafarnao, dove il sabato si ascoltava la Parola di Dio e la si interpretava: lo scenario del nostro brano è una vera e propria lectio divina (cf. Lc 4, 16-30), introdotta da un uomo sconosciuto e non dal solito scriba. Ciò, in ogni caso, era consentito dall'uso ebraico, così come oggi un laico può introdurre tranquillamente una lectio.
La sinagoga diventa subito il luogo di uno psicodramma collettivo. Quel che avviene è stupefacente per tutti coloro che ascoltano, perché le parole di quello sconosciuto rivelano una potenza, una capacità di penetrazione tali da risultare imparagonabili alla tradizionale predicazione degli scribi. La differenza sostanziale i quattro discepoli potranno comprenderla soltanto quando risulterà loro chiaro che chi doveva spiegare la Parola di Dio, in quel luogo, era la Parola stessa. Fin qui, Gesù appare come Maestro e Profeta, quel Profeta annunciato da Dt 18,15-20, che costituirà la prima lettura della liturgia della Parola di domenica.
Ma Marco sa bene che tra chi ascolta la Parola non ci sono soltanto coloro che restano affascinati e stupefatti, ma anche coloro che da questa Parola possono essere distrutti (v.24). Dentro ogni comunità che ascolta la Parola possono esserci esistenze tormentate, vite infelici che non riescono a liberarsi da quanto impedisce loro di vivere l'esistenza con pienezza. Ed una di queste esistenze è presente proprio quel giorno, in quella sinagoga. Quella Parola è un inferno per quell'uomo. Quel Personaggio, che risultava sconosciuto ai più, è viceversa notissimo a chi vive l'inferno della propria esistenza priva di senso. "Cosa c’è tra te e noi?": chi vive quell'inferno riconosce subito un linguaggio diverso, il linguaggio della pienezza. Nelle parole di quello spirito immondo è balzata in superficie la chiara conoscenza della propria situazione interiore e quindi dell’impossibilità di un Incontro. C’è la lucidità teologica dell’identità di quel predicatore, ma sapere chi è Gesù di Nazareth può non equivalere a voler farsi trasformare l’esistenza da lui. Solo riconoscimento dell'Alterità irriducibile di Dio, ma nessun intento di sequela, di conversione, di discepolato, come avvenne per i quattro lungo il mare di Galilea. Le parole di chi sceglie la morte sono azzerate dalla Parola che salva ("Taci!"). A Gesù non interessa la conoscenza teorica della sua identità ("So chi sei"). Gesù sa bene che quella conoscenza è una conoscenza che rifiuta la comunione. Per questo alza la voce come la alza Dio nell’AT (Gb 26,11; Sal 106,9; 119,21; Zc 3,2).
Siamo abituati a sentirci tutt'uno con ciò che determina le nostre schiavitù, ma questo brano ha la splendida capacità di dissociare l'uomo dallo spirito immondo, affinchè tra l'uomo e ciò che lo vessa possa inserirsi la potenza liberatrice della Parola. E, ancora una volta, come lungo il mare di Galilea, un’esperienza di separazione, quella a cui è chiamato l'uomo della sinagoga. "Esci da quell'uomo!" è il comando che induce ogni uomo a separarsi da tutto ciò che lo separa da Dio. Ed ogni separazione può avere un prezzo molto alto in termini di sofferenze, come testimonia il "contorcimento" (v. 26) che deve subire l'uomo della sinagoga prima di poter recuperare la propria libertà.
La lectio, anzi la collatio, può continuare, in quella sinagoga, ma, dopo il comprensibile senso di smarrimento ("Che è mai questo?"), è risultato chiaro che quell'uomo non è lì soltanto per offrire una "dottrina nuova" (v.27), ma anche per trasformare le esistenze di tutti, per creare uomini nuovi, allora e sempre, nei sabati sinagogali o ecclesiali in cui si rinnova la creazione (cf. Gn 2,2). Ancor oggi, nelle sinagoghe, nelle chiese e in tutti i luoghi dove viene proclamata la Parola di Dio, facciamo la duplice esperienza del comprendere e dell'essere liberati. E la prova dell'efficacia dell'ascolto della Parola è proprio in questa capacità –- che siamo chiamati a coltivare - di unificare in Gesù di Nazareth il Profeta ed il Salvatore. Quando vediamo un nostro fratello o una nostra sorella tornare a sorridere dopo la lectio divina comunitaria, abbiamo motivo di ritenere che la Parola abbia compiuto in lui lo stesso prodigio, la stessa nuova creazione di quel lontano sabato a Cafarnao.
Brani di riferimento (oltre a quelli già citati) :
Ø Sugli indemoniati in Mc: Mc 3,11-12; 5,1-20; 9.25-27.
Ø Su Gesù che "sgrida": Mc 4,39; 8,33.