Introduzione
alla lectio divina su Mt 5, 1-12
IV
domenica Tempo Ordinario –3 febbraio 2002
1 Vedendo
le folle, Gesù salì
sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli. 2 Prendendo allora la parola, li ammaestrava dicendo: 3 «Beati i
poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. 4 Beati gli
afflitti, perché saranno consolati. 5 Beati i
miti, perché erediteranno la terra. 6 Beati quelli
che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. 7 Beati i
misericordiosi, perché troveranno misericordia. 8 Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. 9 Beati gli
operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. 10 Beati i
perseguitati per causa della giustizia,perché di essi è il regno dei
cieli. 11 Beati voi
quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni
sorta di male contro di voi per causa mia. 12 Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.
Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi. |
Quelle
sottolineate sono le parole chiave per la meditatio
Il
cammino di Gesù per le vie del mondo è già cominciato, gli uomini hanno detto
‘sì’ alla sua chiamata e lo seguono nel gruppo dei primi discepoli che si è
appena costituito. Anche le folle cominciano a stringersi intorno a lui.
A questo punto del
vangelo di Matteo Gesù si ferma, «sale su un monte», come prima di lui fece
Mosè sul Sinai, «si siede», come fa un rabbino quando spiega le Scritture al
popolo, e «apre la bocca». Alla solennità di questi gesti non segue il racconto
di una parabola, né un rimbrotto per i suoi discepoli, ma la proclamazione a
tutti di una ‘buona notizia’, addirittura la più bella che possa esserci per
l’uomo: la felicità.
L’argomento supera i
confini di spazio e tempo perché investe l’esistenza umana alla radice, in
quello che è il suo centro gravitazionale, l’unico vero fine cui tende. Di
conseguenza il contesto in cui sono collocate le parole di Gesù è assolutamente
simbolico. La montagna su cui sale a parlare non è un vero luogo geografico ma
il punto in cui tradizionalmente avviene ogni manifestazione divina, e in cui
Dio chiama l’uomo ad incontrarlo, come fece già con Mosè quando gli consegnò le
tavole della legge.
Non sarà però il peso di
nuovi comandamenti a venire lanciato da Gesù: nessuna legge ma solo un ev-angelo,
una «buona notizia».
Comincia così, come in
un elenco, l’enunciazione delle cosiddette “beatitudini” o “stati di felicità”.
Tale condizione dell’uomo, chiamato appunto ‘beato’, nell’Antico Testamento si
realizza di solito in due momenti: quando l’opera dell’uomo è conforme alla
volontà di Dio (Sal.1); quando la felicità è un dono esclusivo della bontà
divina (come nel caso del perdono, Sal 32,1). La felicità viene dunque sempre da
Dio ma in modo diverso: nel primo caso c’è una cooperazione uomo-Dio alla
realizzazione della felicità; nel secondo caso c’è la gratuità di un dono. Le
due condizioni coesistono nel discorso di Gesù e permettono già di delineare
l’ambito in cui possono realizzarsi: la ‘relazione’, quella di un io (uomo) con
un Tu (Dio), e dunque di un io con gli altri; al di fuori di questo rapporto
non può esserci felicità.
In questa prospettiva
Gesù aggiunge una nuova forza che dinamizza la visione dell’uomo, proteso verso
il raggiungimento della beatitudine: la ‘promessa’, parte ineliminabile della
fede cristiana. Se la prima e l’ultima beatitudine hanno il verbo al presente,
ad indicare la realizzazione attuale del ‘regno di Dio’, le restanti
beatitudini con il verbo al futuro proiettano l’uomo in una dimensione
escatologica da vivere fin da subito nella ‘speranza’.
Come chi deve ricordare
ai corridori la meta del viaggio per esortarli nella fatica del cammino, Gesù
spalanca agli occhi dei suoi discepoli i doni promessi da Dio e di cui Lui
stesso è garante, i più grandi per un cristiano: essere ‘eredi’ a pieno titolo
del regno dei cieli; essere consolati nel lutto di una mancanza, quella di Gesù
che ritornerà alla fine dei tempi, potendo così sopportare il male che
sconforta con la speranza di chi verrà ad «asciugare ogni lacrima» dai nostri
occhi (Ap 21,4). Essere finalmente ‘sazi’ nel bisogno di ‘giustizia’, di una
conformità di opere umane secondo il volere di Dio; essere perdonati in tutte
le nostre mancanze verso Dio e venire accolti nella nostra piccolezza; poter
«vedere Dio», vivendo per sempre in comunione con Lui.
Tutte le promesse
orientano verso una pienezza di vita che, se pur sarà completa soltanto alla
fine di questi ‘ultimi tempi’, può essere già pregustata fin da oggi perché la
buona novella è rivolta a quelli che ‘sono’. Chi sono i beati è presto detto:
in ebraico sono gli anawim gli ‘umili’ di cuore, termine che contiene in
sé anche i ‘poveri’ e i ‘miti’. Si tratta infatti di ‘poveri’ non tanto per
condizione sociale, perché non basta avere poco denaro o venire calpestati per
‘essere beati’, ma per disposizione d’animo: sono i ‘bisognosi’ di Dio. Sono
‘poveri in spirito’, mendicanti (in greco ptochoi) che si curvano fino a
terra umili, e chiedono a Dio i mezzi per sopravvivere perché sanno di non poter
contare su se stessi; sono gli ‘afflitti’, non i melanconici, ma quelli che
vivono in attesa dello sposo. Sono i misericordiosi che si aprono agli altri
per accoglierli; quelli che hanno un ‘cuore puro’, non diviso dalle mille
infrastrutture che si pongono tra noi e Dio, non ‘doppio’ nella sua relazione e
con Dio e con gli altri. Chi ‘fa la pace’ ristabilendo ogni volta l’alleanza
tra gli uomini, ma non la impone con una crociata d’armi. Chi subisce il
disprezzo del mondo per avere scelto Cristo nella propria vita e aver pagato un
‘si’ col prezzo anche del proprio sangue.
Ciò che insomma è
‘debolezza’ agli occhi degli uomini, è condizione di felicità agli occhi di Dio
perché qui si manifesta pienamente la Sua potenza (2Cor 12,9).
Le beatitudini non sono
una scala di condizioni umane da percorrere una dopo l’altra per diventare alla
fine ‘cristiani perfetti’ (come si è a lungo creduto), né una nuova
legislazione da osservare, ma piuttosto la proclamazione di una vera felicità
che, pur incarnata appieno solo da Cristo (Lui il ‘mite’, il ‘puro’, il
‘riconciliatore’) diventa nel contempo programma di vita per il cristiano.
Brani di riferimento: