Lectio Divina di Mt
23, 1-12 – domenica 3.11.2002
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*Le
parole sottolineate sono parole-chiave per la meditatio
Il capitolo 23 è
interamente occupato da una violenta polemica di Gesù nei confronti dei
farisei, che segue la serie di schermaglie dei capitoli precedenti (21, 23-27;
21, 45-46; 22, 15-21; 22, 34-46). E' una condanna a tutto campo, quella
pronunciata da Gesù nei loro confronti, che stupisce per la sua forza e
decisione solo chi non conosce l'AT e le durissime condanne dell'operato dei
sacerdoti che vi trovano posto. In Ml il rimprovero rivolto dal Signore ai sacerdoti per la loro ipocrisia è
altrettanto duro, il disprezzo verso le loro offerte e le "loro"
solennità altrettanto chiaro e la condanna prevista assolutamente infamante (Ml
2, 3). Gli stessi rimproveri sono rivolti da Ezechiele (cap. 34) contro coloro
ai quali era stato affidato come a dei pastori il popolo di Israele e che
invece avevano pasciuto solo se stessi (34, 2), trascurando i loro doveri nei
confronti del loro gregge. In quel brano il Signore prometteva di chiedere loro
conto del gregge e di porsi Lui stesso come pastore: "ecco, io stesso cercherò
le pecore e ne avrò cura" (Ez 34, 11). L'evangelista Giovanni riprenderà
poi questa promessa al cap. 10, contrapponendo il buon pastore al mercenario
che non le ama e le abbandona al loro destino.
Le guide che il Signore
stabilisce per il suo popolo si rivelano quindi sempre un fallimento, che
richiede il suo intervento diretto a riaffermare la sua paternità (23, 9) e ad
indicare solo Gesù come il vero maestro.
Non si deve però pensare
che questo brano, insieme agli innumerevoli altri che nella Bibbia denunciano
le mancanze dei sacerdoti e delle autorità religiose nel loro complesso, punti
ad annullarne il ruolo stabilendo un legame non "mediato" tra il
Signore ed il suo popolo, tra la Parola ed i credenti.
Due passaggi infatti in
questo brano testimoniano il contrario.
Il primo è rappresentato
dall'esortazione di Gesù, rivolta alle folle e ai discepoli, a "fare"
e ad "osservare" tutto quello che scribi e farisei dicono. Essi,
infatti, conoscono e studiano la Scrittura, la "ruminano" per professione
ed il loro ruolo è insostituibile per aiutare i fedeli a comprenderla,
interpretarla, tradurla in comportamenti conseguenti. Ciò che ad essi manca,
però, è un autentico "ascolto" della parola, colpa ancora più grave
perché commessa proprio da chi vive di essa. La mancanza di tale ascolto non
comporta necessariamente un tradimento del suo significato, ma piuttosto un
esito ancora più sottilmente pericoloso: la svuota di senso, la rende morta e
le impedisce di trasformarsi in azione (fare la parola, Lc 6, 47). E'
essenziale questa consapevolezza, che richiede che la Parola, dopo essere stata
compresa e interpretata, diventi preghiera e si trasformi in azioni capaci di
mostrare agli altri il volto di Dio ("Da questo conosceranno tutti che
siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri" Gv 13, 35).
Il secondo elemento che
manifesta l'importanza del ruolo delle autorità religiose è rappresentato dal
v. 11, in cui viene data la chiave di lettura dell'esercizio della vera
autorità: la diakonìa, il servizio. In contrapposizione
all'atteggiamento dei farisei, che vedono nel loro ruolo l'esercizio di un
potere, l'occasione per mettere in mostra se stessi e le proprie presunte
virtù, l'autorità religiosa cui Gesù ambisce affidare il suo popolo riconosce
nel Padre celeste l'unica vera paternità, nell'insegnamento di Gesù la fonte di
ogni dottrina.
Chi esercita nella Chiesa
il ministero del sacerdozio, chi guida il popolo di Dio e viene riconosciuto ad
ogni livello come un autorità è sempre soggetto ad incorrere nello stesso
errore dei farisei, come accade ai figli di Zebedeo Giacomo e Giovanni che
chiedono a Gesù di potere sedere nella Sua gloria alla sua destra e alla sua
sinistra (Mc 10, 37). Questa richiesta, che fa sdegnare gli altri dieci
discepoli, spinge Gesù a contrapporre le modalità di esercizio del potere
terreno da quelle delle autorità religiose, fondando ancora una volta il ruolo
di queste sul servizio (Mc 10, 41-45).
Le autorità religiose del
nostro tempo non possono neanche loro sentirsi esenti dal rischio di vivere la
propria situazione come uno stato di privilegio, e sono chiamate quindi ad
esercitare la massima vigilanza sui propri atteggiamenti. Non è un compito che
spetta solo a loro, però, ma impegna ciascun credente a riconoscerne il ruolo solo
in funzione dell'annuncio della salvezza che portano, cercando nelle loro
parole ed azioni la manifestazione del volto di Dio e non esponendoli alla
tentazione di trasformarsi in uomini di potere o di spettacolo. Un eccesso di
titoli onorifici (si ricordi che il termine rabbì, che Gesù proibisce di
usare, si può tradurre in italiano con monsignore …) può fare
dimenticare a chi li riceve che ogni autorità è fondata su Gesù Cristo e che il
vero spirito in cui questa si esercita è solo quello del servizio.
Brani
di riferimento:
Ø
In
generale su tutto il brano: Mt 5,1-17; 6,1-16; 7,14; 20,20-28;
Ø
Sulla
funzione profetica: Dt 18,15-22; 1Cor 1-4 (i primi quattro capitoli).