Lectio Divina di Mt 23, 1-12 – domenica 3.11.2002

 

[1] Allora Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: [2]"Sulla sedia di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. [3] Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno. [4] Affastellano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle degli uomini, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito. [5] Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini: allargano i loro filattèri e allungano le frange; [6] amano posti d'onore nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe [7] e i saluti nelle piazze, come anche sentirsi chiamare “rabbì” dalla gente. [8]Ma voi non fatevi chiamare "rabbì'', perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli. [9] E non chiamate nessuno “padre” sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo. [10] E non fatevi chiamare ”guide”, perché uno solo è la vostra guida, il Cristo. [11] Il più grande tra voi sia vostro servo (diakonos); [12] chi si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato.

 

*Le parole sottolineate sono parole-chiave per la meditatio

 

Il capitolo 23 è interamente occupato da una violenta polemica di Gesù nei confronti dei farisei, che segue la serie di schermaglie dei capitoli precedenti (21, 23-27; 21, 45-46; 22, 15-21; 22, 34-46). E' una condanna a tutto campo, quella pronunciata da Gesù nei loro confronti, che stupisce per la sua forza e decisione solo chi non conosce l'AT e le durissime condanne dell'operato dei sacerdoti che vi trovano posto. In Ml il rimprovero  rivolto dal Signore ai sacerdoti per la loro ipocrisia è altrettanto duro, il disprezzo verso le loro offerte e le "loro" solennità altrettanto chiaro e la condanna prevista assolutamente infamante (Ml 2, 3). Gli stessi rimproveri sono rivolti da Ezechiele (cap. 34) contro coloro ai quali era stato affidato come a dei pastori il popolo di Israele e che invece avevano pasciuto solo se stessi (34, 2), trascurando i loro doveri nei confronti del loro gregge. In quel brano il Signore prometteva di chiedere loro conto del gregge e di porsi Lui stesso come pastore: "ecco, io stesso cercherò le pecore e ne avrò cura" (Ez 34, 11). L'evangelista Giovanni riprenderà poi questa promessa al cap. 10, contrapponendo il buon pastore al mercenario che non le ama e le abbandona al loro destino.

Le guide che il Signore stabilisce per il suo popolo si rivelano quindi sempre un fallimento, che richiede il suo intervento diretto a riaffermare la sua paternità (23, 9) e ad indicare solo Gesù come il vero maestro.

Non si deve però pensare che questo brano, insieme agli innumerevoli altri che nella Bibbia denunciano le mancanze dei sacerdoti e delle autorità religiose nel loro complesso, punti ad annullarne il ruolo stabilendo un legame non "mediato" tra il Signore ed il suo popolo, tra la Parola ed i credenti.

Due passaggi infatti in questo brano testimoniano il contrario.

Il primo è rappresentato dall'esortazione di Gesù, rivolta alle folle e ai discepoli, a "fare" e ad "osservare" tutto quello che scribi e farisei dicono. Essi, infatti, conoscono e studiano la Scrittura, la "ruminano" per professione ed il loro ruolo è insostituibile per aiutare i fedeli a comprenderla, interpretarla, tradurla in comportamenti conseguenti. Ciò che ad essi manca, però, è un autentico "ascolto" della parola, colpa ancora più grave perché commessa proprio da chi vive di essa. La mancanza di tale ascolto non comporta necessariamente un tradimento del suo significato, ma piuttosto un esito ancora più sottilmente pericoloso: la svuota di senso, la rende morta e le impedisce di trasformarsi in azione (fare la parola, Lc 6, 47). E' essenziale questa consapevolezza, che richiede che la Parola, dopo essere stata compresa e interpretata, diventi preghiera e si trasformi in azioni capaci di mostrare agli altri il volto di Dio ("Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri" Gv 13, 35).

Il secondo elemento che manifesta l'importanza del ruolo delle autorità religiose è rappresentato dal v. 11, in cui viene data la chiave di lettura dell'esercizio della vera autorità: la diakonìa, il servizio. In contrapposizione all'atteggiamento dei farisei, che vedono nel loro ruolo l'esercizio di un potere, l'occasione per mettere in mostra se stessi e le proprie presunte virtù, l'autorità religiosa cui Gesù ambisce affidare il suo popolo riconosce nel Padre celeste l'unica vera paternità, nell'insegnamento di Gesù la fonte di ogni dottrina.

Chi esercita nella Chiesa il ministero del sacerdozio, chi guida il popolo di Dio e viene riconosciuto ad ogni livello come un autorità è sempre soggetto ad incorrere nello stesso errore dei farisei, come accade ai figli di Zebedeo Giacomo e Giovanni che chiedono a Gesù di potere sedere nella Sua gloria alla sua destra e alla sua sinistra (Mc 10, 37). Questa richiesta, che fa sdegnare gli altri dieci discepoli, spinge Gesù a contrapporre le modalità di esercizio del potere terreno da quelle delle autorità religiose, fondando ancora una volta il ruolo di queste sul servizio (Mc 10, 41-45).

Le autorità religiose del nostro tempo non possono neanche loro sentirsi esenti dal rischio di vivere la propria situazione come uno stato di privilegio, e sono chiamate quindi ad esercitare la massima vigilanza sui propri atteggiamenti. Non è un compito che spetta solo a loro, però, ma impegna ciascun credente a riconoscerne il ruolo solo in funzione dell'annuncio della salvezza che portano, cercando nelle loro parole ed azioni la manifestazione del volto di Dio e non esponendoli alla tentazione di trasformarsi in uomini di potere o di spettacolo. Un eccesso di titoli onorifici (si ricordi che il termine rabbì, che Gesù proibisce di usare, si può tradurre in italiano con monsignore …) può fare dimenticare a chi li riceve che ogni autorità è fondata su Gesù Cristo e che il vero spirito in cui questa si esercita è solo quello del servizio.

 

 

Brani di riferimento:

 

Ø      In generale su tutto il brano: Mt 5,1-17; 6,1-16; 7,14; 20,20-28;

Ø      Sulla funzione profetica: Dt 18,15-22; 1Cor 1-4 (i primi quattro capitoli).