Introduzione alla lectio divina di Gv 6, 51-58

Domenica 29 maggio 2005 – Corpus Domini

 

In quel tempo, Gesù disse alle folle dei Giudei: 51 “Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”.

 52 Allora i Giudei si misero a discutere tra di loro: “Come può costui darci la sua carne da mangiare?”. 53 Gesù disse: “In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. 54 Chi mangia  la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 55 Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.

 56 Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. 57 Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me. 58 Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno”.

 

Il cap. 6 si è aperto con un segno messianico, un altro di quelli che Gesù opera sui deboli (astenentes) del  v 2. Il Signore, presentato nell’atto di distribuire alla folla un pane di condivisione, viene riconosciuto come l’atteso Profeta in grado di ripetere i mirabili gesti di Mosè (Dt 18,15). E’ la solita storia di tensione tra il gesto rivelativo e l’incomprensione dei destinatari. Anche noi ancora parliamo comunemente di “moltiplicazione”, giudicandola un inimitabile gesto di potenza. L’intento di Giovanni è invece un altro.

Il percorso inizia con Gesù che demistifica già al v 26 la lettura scorretta del segno: il tentativo di impadronirsi di un messia potente per condizionarne la potenza a proprio vantaggio (v 26).

Prosegue con  la  vera interpretazione di quel segno: Io sono il pane della vita (v 35). Da lì sino al nostro brano si dispiega una densa riflessione sull’identificazione del pane con la Parola, parola che provoca la fede, parola che dà la Vita in pienezza, parola che evoca la parusia.

All’interpretazione del Cristo-Pane-Parola segue ora un approfondimento che affonda probabilmente le sue radici nella pratica sacramentale della comunità giovannea, ma  è giustificato dalla serrata concatenazione del discorso.

Già la  prima variazione ”Io sono il pane vivo che è sceso (invece che scende) dal cielo ci proietta nella dimensione forte dell’incarnazione. La parola incarnata ci parla di una compromissione di Dio col mondo, con la storia, con il sangue e la fatica, con le gioie e con i dolori dell’uomo. E se il mangiare la Parola (v 50) era ancora accettabile gesto profetico (Ez 2,8; Ap 10,10) ora Gesù annunzia che il pane a breve donato sarà la sua carne per la vita del mondo. Ancora alle proteste dei giudei incalza parlando di carne da mangiare e sangue da bere. Sono parole traumatizzanti per la mentalità ebraica dai forti tabù, ma il sangue separato dalla carne ci preannuncia l’esperienza di una morte accettata nella fedeltà del dono totale. Ci parla di un messia con-sofferente con il mondo che è amato dal Padre e di una vita data per gli altri.

Pare che Giovanni, dopo aver contestato nella prima parte la ricerca di segni di potenza, voglia arginare un’altra deriva, la spiritualizzazione di un messaggio di salvezza affidato a parole che non si incarnino nell’esperienza. Non è data esperienza dello Spirito al di fuori della carne. Dio nessuno l’ha visto e non lo si può incontrare al di fuori di una carne. Ma quella del Figlio, che si sa ricevuto dalle mani del Padre (v 57) e, perché dono, sa farsi dono, chiama ineludibilmente altri a coinvolgersi nello stesso dinamismo.

Chi assimila la sua carne e il suo sangue, chi entra con tutto il suo essere nella logica del dono riceve la vita in pienezza, nella comunione dello spirito; sperimenta l’inabitazione reciproca con il Signore, evocata da quel verbo menein (rimanere) che tanto caratterizzerà i discorsi d’addio.

Il mistero di salvezza, quello che la parola incarnata ha annunziato peregrinando per la terra di Palestina  “ …mai un uomo ha parlato come parla quest’uomo!” (7,46), che gli uomini hanno respinto “…perché non comprendete il mio discorso?Perchè non potete ascoltare la mia parola (8,43), lo spiegherà la silenziosa resa all’ubbidienza della croce: Io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me” (12,32).

Allora il brano non ci racconta un messia potente di un Dio Onnipotente, ma la rivelazione di un Padre Onniamante (P. Ricoeur), il cui progetto di salvezza si svela nell’umile amore del Figlio che arriva a far getto della propria vita.

Alla comunione con questo progetto e con questa prassi la comunità è chiamata per fare esperienza della Vita.

 

 

Brani di riferimento

Il sangue dell’alleanza:        Es 24,1-11;  Is 63,1-5;  Gv19,31-37; 1Cor 11,23-29

Il pane dell’esodo:                Es 12,8-11  Lc 12,35-38       1Pt 1,13