Introduzione alla Lectio di Mc 9, 38-48 - 28 settembre 2003

XXVI domenica del tempo ordinario

 

38 Giovanni gli disse: “Maestro, abbiamo visto uno che scacciava i demòni nel tuo nome e glielo abbiamo vietato, perché non era dei nostri”. 39 Ma Gesù disse: “Non glielo proibite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito dopo possa parlare male di me. 40 Chi non è contro di noi è per noi.

41 Chiunque vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, vi dico in verità che non perderà la sua ricompensa.

42 Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, è meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato nel mare. 43 Se la tua mano ti scandalizza, tagliala: è meglio per te entrare nella vita monco, che con due mani andare nella Geenna, nel fuoco inestinguibile. 45 Se il tuo piede ti scandalizza, taglialo: è meglio per te entrare nella vita zoppo, che esser gettato con due piedi nella Geenna. 47 Se il tuo occhio ti scandalizza, cavalo: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, che essere gettato con due occhi nella Geenna, 48 dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue.

 

 

Gesù è ancora seduto nella casa di Cafarnao, dove aveva abbracciato il bambino mostrando concretamente che cosa vuol dire accogliere, senza distinzioni, e identificando se stesso con quel bambino: “chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome accoglie me…”. Ed ecco che, disarmanti come sempre, i discepoli dimostrano che quel silenzio in cui si trinceravano dopo aver disputato su chi fosse il più grande era un silenzio pregno di incomprensione e durezza verso il Maestro: arriva infatti Giovanni, l’irruento ‘figlio del Tuono’, come lo aveva soprannominato Gesù stesso (3,17) e, forte della sua piccolezza (era il più giovane e il prediletto secondo la tradizione), afferma trionfante di aver impedito a un estraneo di scacciare demoni nel nome di Gesù. Il motivo? Si trattava di un illustre sconosciuto, un impostore che “non ci seguiva” (il v. 38 recita letteralmente così). La solerzia di Giovanni risulta quantomeno sospetta, se si considera che, poco prima, i discepoli non erano stati capaci proprio di scacciare un demonio (vv. 18 e 28). Questo tizio, invece, venuto da chissà dove, con stile di vita e di preghiera diverso dai dodici, si permetteva di fare miracoli nel nome di Gesù e, a quanto pare, ci riusciva anche. Davvero troppo.

 Ancora una volta, Gesù non mostra nessuna sintonia con il risentimento degli apostoli. Viene in mente la risposta di Mosè a Giosuè che voleva impedire a due uomini che non erano pienamente ‘integrati’ con loro di profetizzare: “Sei tu geloso per me? Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore dare loro il suo Spirito!” (Num 11, 26-29: la prima lettura che ascolteremo domenica).

Gesù e Mosè danno lo stesso, grandissimo insegnamento: guai a ergere steccati, a chiudersi nei settarismi che impediscono perfino l’accoglienza del Bene che l’altro, l’estraneo ci può dare, per di più in nome dei nostri stessi valori. Gesù non pretende che chi agisce nel suo nome debba prima aderire e omologarsi a uno stile particolare, a una ‘chiesa’ specifica, fuori dalla quale non ci si salva. Al contrario, chi sbaglia qui è proprio il ‘piccolo’ discepolo dalle buone intenzioni: “nel nome di Gesù, i piccoli come Giovanni non sono autorizzati a scacciare coloro che vengono giudicati superflui, o indesiderati; nel nome di Gesù, «riceverete un bicchiere d’acqua». L’appartenenza a Cristo non farà mancare un bicchiere d’acqua, ma niente di più” (Stancari). La diversità dell’altro mi disseta: ho bisogno dell’Altro, quanto lui di me, per esserne salvato, per salvarlo. Succede invece, oggi come allora, di riempirsi la bocca di ‘diversità’ e di ‘alterità’ (nelle scuole, nelle chiese, sui giornali non si parla d’altro) e di vivere tempi intolleranti come non mai: succede, e ha il sapore amaro del paradosso, di riuscire a dialogare con persone di altre religioni, ma di ignorare, biasimare, perché troppo distanti, proprio quelli che sono ‘dei nostri’ o che vorrebbero esserlo, se solo non trovassero porte e cuori intimamente sbarrati.

Abbiamo smussato e ridotto a slogan quel “chi non è contro di noi è per noi”, tanto da non avvertire più il desiderio affettuoso di uno scambio cordiale e di un contatto di anime con quelle persone che sentiamo talmente diverse da percepirle, appunto, superflue al nostro modo di vivere e di intendere la vita. Ecco allora lo scandalo e la ‘catechesi dello scandalo’, come sono chiamati i versetti che seguono, così forti da incutere ancora un po’ di soggezione. Ci sono scandali esterni (v. 42) e scandali interni (dal v. 43 in poi). Vale la pena di ricordare che ‘scandalo’ unisce  due concetti ebraici, quello della menzogna, del tranello (moqesh), e quello della pietra d’inciampo, dell’ostacolo (mikshol).

Ma chi sono questi piccoli che non bisogna ingannare, né far cadere?

Sono le persone umili, i cristiani senza particolare scienza, i semplici, i trascurati. Sono le membra deboli di cui parla Paolo, le meno ‘decenti’, quelle che hanno bisogno di più cura, che bisogna accompagnare delicatamente, senza sbattere loro in faccia presunte Verità anche a costo di fargli perdere la fiducia nel ‘loro’ Gesù. Infatti “nel capovolgimento delle situazioni umane saranno le membra più vicine alla testa che è Cristo e chiunque le abbia scandalizzate o calpestate o non tenute in conto dovrà arrossire: erano esse infatti l’immagine di Gesù piccolo e povero, la cui potenza si rivelerà in tutta la sua forza nell’ultimo giorno” (Bianchi).

Infine, gli scandali interiori: nell’antropologia biblica mani, piedi e occhi sono i mezzi attraverso cui cerchiamo di possedere gli altri e il mondo. Sono gli strumenti dell’avidità e del desiderio superbo di imporci, che, ancora una volta, ci bloccano e ci ostacolano nella relazione sana con gli altri. L’alternativa? Rompere radicalmente, senza scuse, con i propri ‘scandali’ (ognuno conosce i propri, e comunque è proprio la relazione con gli altri, quando è autentica,  a rivelarli chiaramente…). Vale la pena davvero, perché il risultato è il vivere “in pace gli uni con gli altri” (v. 50).

Il premio per chi vorrà farsi piccolo, servo di tutti, bambino sarà, ancora una volta, la Gioia immensa dello Shalom.

 

 

 

Altri brani di riferimento

 

 

§         I piccoli da non scandalizzare, secondo Paolo: 1 Cor 8, 7-13; Rm 14, 1-23.

§         Lo ‘scandalo’ nel Primo Testamento: Lv 19, 14; 1 Sam 25, 31; Ger 6, 21; Is 8, 14-15.