Introduzione alla Lectio divina di Gv 8,1-11 – domenica 28.03.2004
V^ domenica di Quaresima
[1] Gesù si avviò allora verso il monte degli Ulivi.
[2] Ma all'alba si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava
da lui ed egli, sedutosi, li ammaestrava (cf. Lc 21,37s.). [3] Allora
gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio
e, postala nel mezzo, [4] gli dicono: "Maestro, questa donna
è stata sorpresa in flagrante adulterio. [5] Ora Mosè, nella Legge,
ci ha comandato di lapidare donne come questa. E tu cosa dici?".
[6] Questo dicevano
per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo. Ma Gesù, chinatosi,
si mise a scrivere col dito per terra. [7] E siccome insistevano nell'interrogarlo,
alzò il capo e disse loro: "Chi di voi è senza peccato,
scagli per primo la pietra contro di lei". [8] E chinatosi di nuovo, scriveva per terra. [9] Ma quelli, udito ciò,
se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani, e fu lasciato
solo Gesù con la donna là in mezzo. [10] Alzatosi allora Gesù le disse:
"Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?". [11] Ed essa
rispose: "Nessuno, Signore". E Gesù le disse: "Neanch'io
ti condanno; va’ e d'ora in poi non peccare più".
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*quelle sottolineate sono parole ed
espressioni chiave per la meditatio
Come un padre ha pietà dei suoi figli,
così il Signore ha pietà di quanti lo temono.
Perché egli sa di che siamo plasmati,
ricorda che noi siamo polvere.
I vv. 13 e 14 del Salmo 103 possono costituire degna introduzione alle profondità spirituali del testo che ci viene sottoposto nella V di Quaresima. In particolare è notevole la consapevolezza divina evidenziata nel testo: “egli sa di che siamo plasmati”. Si tratta di una conoscenza profonda, che deriva a Dio dall’essere intimamente unito alla sua creatura, all’Adam che ha modellato dalla terra e al quale ha alitato la vita (Gn 2,7). L’idea del Dio pieno di misericordia, del Dio in cui misericordia e giustizia coincidono, è presente nell’AT e convive con il magistero della Legge. Dio ordina. Ma ordina come colui che “sa di che siamo plasmati”. L’uomo vive di questo “essere conosciuto” da Dio. Altro che il cogito ergo sum cartesiano…
Benché ciò che il nostro brano propone possa
risultare abbastanza congruente con questa idea di Dio, esso rimane tuttavia un
testo scomodo, oggi come, forse, nel momento in cui cominciò a circolare, nei
primi secoli dopo Cristo, trovando difficoltà ad essere inserito in un
Evangelo. Qualcuno l’ha definito “una perla sperduta della tradizione antica”
(Heitmuller citato in Schnackenburg R.,
Il Vangelo di Giovanni, Paideia 1973,
p.302), perché fino al V secolo è stato tramandato, forse soltanto oralmente,
in maniera indipendente dagli altri Evangeli. Poi è stato accolto nell’Evangelo
di Giovanni, ma gli studiosi ci dicono concordemente che non è giovanneo.
Tuttavia il Gesù che ci viene presentato è
del tutto coerente sia col Gesù della tradizione sinottica sia col Gesù dello
stesso Giovanni. Si tratta del Gesù che ammaestra e che non ha ritegno a
pronunciarsi sulla Legge di Mosé. Un Gesù capace di affermare, come in Mt
5,27s.: Avete inteso che fu detto: Non commettere adulterio; ma io vi
dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha gia commesso adulterio con
lei nel suo cuore. Scribi e farisei sanno che Gesù è attaccabile a partire
dal suo rapporto con la Legge. La sua inclinazione alla misericordia, per
quanto ben riconducibile, come si è visto all’inizio, al Dio dell’AT, può
essere messa a dura prova da una situazione come quella che gli viene
presentata: una donna sorpresa in flagrante adulterio. Giovanni o chi per lui
non ha dubbi sul fatto che l’interesse per la salvezza della donna, negli
scribi e nei farisei, è secondario rispetto al desiderio di “metterlo alla
prova” (v.6). Ma è probabilmente vero altresì che l’interesse dell’evangelista
per le insidie degli scribi e dei farisei è altrettanto secondario rispetto
all’intenzione di rivelare ai suoi lettori e a noi lettori di oggi chi è
veramente Dio.
In Ger 17,10.13 si legge: Io, il
Signore, scruto la mente e saggio i cuori, per rendere a ciascuno secondo la
sua condotta, secondo il frutto delle sue azioni. […] O speranza di Israele,
Signore, quanti ti abbandonano resteranno confusi; quanti si allontanano da
te saranno scritti nella polvere, perché hanno abbandonato la fonte di acqua
viva, il Signore.
Il nome di ogni uomo che sostituisce l’acqua
viva della relazione con Dio con l’acqua paludosa e inquinata di una legge che
colpisce l’uomo a morte è scritto sulla stessa polvere sulla quale il dito di
Gesù si mette a scrivere (vv.6.8). Due volte Gesù si china a scrivere e due
volte alza la testa (vv.7.10). Abbassarsi ed alzarsi sono due
azioni note al credente. Che Gesù compia questo movimento non può essere
casuale nel testo e non può non rinviare al movimento della Pasqua. E’ il
movimento della Pasqua che permette a Gesù di risignificare la parola-chiave di
tutto il brano: peccato (v.7). E’ il movimento della Pasqua, che è
movimento di morte e risurrezione, ed esistenzialmente di uscita da se
stessi verso un orizzonte di libertà, a rappresentare chiave di lettura
dell’esistenza di ogni uomo, dello scriba e del fariseo che è in ogni uomo allo
stesso modo dell’adultera che è in ogni uomo. Rinviare gli scribi e i farisei
alla propria dimensione di verità significa chiamarli ad uscire dal cerchio
chiuso della legge che proibisce e punisce – cerchio chiuso dentro il quale è
rinchiusa anche la donna che sta “nel mezzo” (vv.3.9) – per condurli verso un altrove
che il testo non ci dice: “se ne andarono” (v.9) infatti é indicazione generica
come apparentemente generico è altresì il “va’” (v.11) che inizia il nuovo
movimento esistenziale della donna. Del peccato della donna Gesù non parla, e
neppure della sua conversione. Della donna si intravede un cammino nuovo,
segnato da una rivelazione del Dio che “sa di che siamo plasmati” e che
pertanto è stato capace di scorporare il peccato dall’Adam che era “cosa molta
buona” (Gn 1,31). Il peccato non è cosa buona ed è il tiranno di Adam. Adam
invece è cosa molto buona (a questo proposito va letto tutto il c. 7 della
Lettera ai Romani).
C’è un “d’ora in poi” (v.11) nel testo che
appare come invito ad ogni lettore. Cos’è quest’ “ora” da cui comincerebbe un
“mai più”? Forse non si sbaglia individuando questa “ora” nell’incontro con
Gesù. Il cerchio chiuso non tanto della Legge quanto dell’uso improprio della
Legge si è spezzato a favore di una
relazione in cui non si sta più “nel mezzo” tra coloro che giudicano, ma faccia
a faccia con Colui che alza lo sguardo e chiede a ciascuno di noi che ne è dei
nostri lapidatori, che cosa è accaduto a tutti coloro che, fin dalla nostra
infanzia, ci hanno accerchiato per ricordarci quanto sono poco santi i nostri
bisogni ed i nostri desideri e quanto sarebbe opportuno, giusto e santo
censurarli. L’uscita dalla scena del nostro cuore dei nostri lapidatori, vere
fucine di tutti i nostri sensi di colpa, è la buona notizia per
l’adultera di quel tempo e per tutti gli adulteri di ogni tempo che danno
risposte sbagliate a bisogni giusti e che ad un certo punto della loro vita –
della nostra vita – si ritrovano davanti il volto di Chi “sa di che siamo
plasmati” e risorgono dai morti fin da questa esistenza.
Brani
di riferimento:
·
Sull’adulterio nell’AT: Lv 20,10; Dt
17,5-7; 22,22-24.
·
Sull’adulterio nel NT: Eb 13,4.