Introduzione alla Lectio
divina di Lc 18,9-14
XXX domenica tempo ordinario –
28 ottobre 2001
[9] Disse ancora questa parabola per alcuni che erano
persuasi in se stessi di esser giusti (Sal 1; Lc 16,15) e disprezzavano
gli altri: [10] "Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era
fariseo e l'altro pubblicano. [11] Il fariseo, stando in piedi, pregava
così tra sé: O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri
uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano.
[12] Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo.
[13] Il pubblicano invece, stando lontano, non voleva nemmeno
alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, sii
benevolo con me peccatore (Sal 51,1) [14] Io vi dico: questi discese
a casa sua giustificato, a differenza dell'altro, perché ognuno che
innalza se stesso sarà abbassato e chi si abbassa sarà innalzato"
(Lc 1,52). |
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Quelle sottolineate sono alcune espressioni chiave per la meditatio.
Ancora una volta ci
troviamo davanti ad una parabola che illustra due atteggiamenti fondamentali
verso Dio e verso gli uomini. L’elemento della preghiera ci rimanda sia al
racconto dei dieci lebbrosi (17,11-19) che a quello del giudice e della vedova
(18,1-8). In questi ultimi due episodi ci siamo imbattuti nella preghiera di
domanda e nella preghiera di lode. E anche nel nostro brano tornano
entrambe le modalità della preghiera.
La preghiera qui si configura, peraltro, come luogo rivelatore della
qualità della relazione con Dio e con gli uomini.
Come già la settimana
scorsa, anche questa volta Lc anticipa i destinatari del racconto. Si tratta di
coloro che “erano persuasi in se stessi di esser giusti e disprezzavano gli
altri” (v.9). Il verbo greco tradotto con “erano persuasi” ha talvolta anche il
significato di “confidare”. In questo caso, probabilmente, rispecchierebbe
meglio l’atteggiamento assunto dal fariseo nella sua preghiera, appunto quello
di confidare in se stesso, cioè sulla propria osservanza della Legge. E’
bene evidenziare subito che la preghiera del Fariseo, dal punto di vista
formale, non ha nulla di scandaloso. Una preghiera recitata al Tempio, in
piedi, silenziosamente, che ringrazia il Signore rimarcando la differenza tra
chi osserva la Legge, cioè il giusto, e chi no (vedi i Salmi 1 e 26). Nel caso specifico, il nostro Fariseo fa
addirittura più di quanto la Legge in senso stretto richieda. Egli è un
osservante attento e scrupoloso. Egli sa che i pubblicani sono di ostacolo al
compimento della Legge. Egli si accorge che un pubblicano sta con lui dentro il
Tempio. E ringrazia il Signore perché sente di essere diverso e distinto
da lui.
L’altro uomo,
caratterizzato per la sua distanza (“stando lontano”), ha
l’atteggiamento di chi chiede e basta. La sua condizione lo rende come colui
che non può guardare il cielo, secondo l’uso comune della preghiera israelita.
Egli chiede al Signore di essere benevolo con lui. Egli non promette, come
Zaccheo (Lc 19,8), di cambiar vita. Non promette nulla al Signore. Non c’è
futuro nella sua preghiera. Peraltro, a differenza del Fariseo che può elencare
i suoi meriti, egli non elenca le sue colpe. L’unica sua colpa è di essere
peccatore. Brevità della preghiera, essenzialità della richiesta: Signore,
sorridimi.
C’è un problema di
traduzione del v.14. La traduzione più diffusa è quella indicata anche nel
testo qui presentato: tornò giustificato, a differenza dell’altro.
La parola greca parà tuttavia autorizzerebbe anche una traduzione “tornò
giustificato accanto all’altro”. La memoria del figlio maggiore
della famosa parabola del Padre misericordioso (Lc 15,11-32) potrebbe sostenere
quest’ultima interpretazione. In fondo non si tratterebbe di una condanna del
Fariseo, ma di un rifiuto della distinzione. D’altra parte sia i brani
dell’AT che quelli del NT qui di seguito indicati confermano la riluttanza del Signore a operare distinzioni. Viene
difficile pensare che alla logica distintiva evidenziata dalla preghiera del
Fariseo il Dio proclamato da Gesù di Nazareth – lo stesso proclamato nel
deserto a Satana (Lc 4,1-13) - possa opporre analoga logica distintiva. Così
come il figlio minore ed il figlio maggiore della famosa parabola lucana
vengono accomunati nell’abbraccio paterno, non è per forza detto che non debba
esserci un futuro di conversione per il Fariseo innamorato di se stesso.
Brani
di riferimento:
·
Nell’AT
in generale:
Ger 16,17; Gb 34,19-28; Sal 1; 26; 51.
·
Sulla
misericordia per i peccatori: Lc 7,36-50; 15,11-32; 19,1-10; 23,40-43.
·
Sulla
giustificazione non per le opere: Rm 3,21-24; Fil 3,7-9; Gal 2,15-16.