Lc 24, 46-53 – domenica 27 maggio 2001 - Ascensione

 

[46] E disse loro "Così sta scritto che il Cristo avrebbe patito e sarebbe risorto dai morti il terzo giorno [47] e che nel suo nome sarebbe stata predicata la conversione in vista della remissione dei peccati a tutte le nazioni, cominciando da Gerusalemme. [48] Voi siete testimoni di questo. [49] Ed ecco, io mando su di voi la promessa del Padre mio; ma voi restate nella città, finché non sarete rivestiti di potenza dall'alto". [50] Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. [51] E avvenne che, mentre li benediceva, si separò da loro ed era portato verso il cielo. [52] Ed essi, dopo essersi prostrati davanti a lui, ritornarono a Gerusalemme con grande gioia; [53] ed erano continuamente nel tempio a benedire Dio.

 Quelle sottolineate sono parole-chiave per la meditatio.

 

Is 49,6: Ma io ti renderò luce delle nazioni
perché porti la mia salvezza
fino all'estremità della terra".

 

Il Dio dei cristiani non è un Dio che ha scelto l’autosufficienza. Tutta la Bibbia infatti parla di un Dio che non intende essere per l’uomo senza l’uomo. Che non intende salvarlo senza la sua collaborazione. Cosa vuol dire “portare la mia salvezza fino all’estremità della terra”? Significa che la salvezza è opera del Signore, ma che a tras-portarla sono gli uomini. Probabilmente è la coscienza di questa responsabilità che ha generato questo Evangelo. L’Evangelo di Luca è attentissimo alla questione della missionarietà. Ma ha anche idee precise sulla missionarietà. Non c’è missionarietà senza ascolto della Parola e presenza operante dello Spirito. Il buon Teofilo cui Luca dedica la sua opera deve “rendersi conto”, prima di fare alcunché. Deve ascoltare, meditare, pregare, confrontarsi. Egli ha già ricevuto degli insegnamenti, ma perché ne colga la solidità ha bisogno di ascoltare un “resoconto ordinato”, basato su testimonianze (rileggersi Lc 1,1-4).

 

Questa premessa consente di accostarsi al nostro brano in maniera da cogliere il senso che la comunità lucana ha inteso dare all’assenza di Gesù. “Perché state a guardare il cielo?” (At 1,11) è la domanda che risuona per tutti coloro che interpretano la salita al cielo di Gesù in senso spiritualistico. In realtà la comunità lucana sta già sperimentando che cosa vuol dire prolungare Gesù. Lo sperimenta attraverso la testimonianza: Voi siete testimoni di questo (v.48). Gli Undici sono stati testimoni oculari. Dovrebbero pertanto essere testimoni sicuri. Vale tuttavia per loro quanto lo stesso Lc scrive in 16,31: “se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi”. Se questo è vero, vuol dire che era proprio necessaria la lectio divina del giorno di Pasqua (Lc 24,44-47): spalancare la mente dei suoi discepoli all’intelligenza delle Scritture, per Gesù, doveva essere più importante, forse, che mangiare il pesce con loro. I discepoli diventano attendibili non tanto perché hanno visto il Risorto in carne ed ossa – o meglio, non solo – ma perché hanno interpretato cristologicamente le Scritture. Meglio: perché ne hanno ascoltato l’interpretazione prodotta da Gesù. Solo interpretando infatti Gesù può indicare come “sta scritto” una cosa che, così come l’ha riformulata Lui, non poteva esser scritta da nessuna parte. “Non esiste… alcun testo nella letteratura biblica e giudaica precristiana che accenni ad un Messia risorgente dai morti: Luca legge l’AT alla luce del kerygma cristiano” (Rossé).

Gesù legge le Scritture interpretandole alla luce della sua Pasqua. Egli così si presenta come il primo criterio di ogni interpretazione della Scrittura. I discepoli, in quanto testimoni di questa interpretazione operata da Gesù, diventano a loro volta ermeneuti delle Scritture. Solo questa rilettura interpretante delle Scritture li metterà nelle condizioni di svolgere il loro compito: proclamare a tutti la conversione in vista della remissione dei peccati. Questa rilettura interpretante, come testimonia tutto il libro degli Atti, è alla base della missionarietà, è alla base di tutta l’elaborazione del Nuovo Testamento, è alla base della possibilità che esista una Chiesa e, all’interno di questa Chiesa, tante comunità cristiane, compresa la nostra.

Ma non si può andar via da Gerusalemme subito a predicare. Non si può essere testimoni, nel senso detto, senza aver ricevuto un dono. E senza la coscienza di averlo ricevuto. Non si può essere cooperatori della salvezza senza essere “rivestiti di potenza dall’alto” (v.49), senza quello Spirito che, come ci ricorda la comunità giovannea, ci insegna ogni cosa e ci ricorda tutto ciò che Gesù ha detto (Gv 14,26). Proprio l’aver sperimentato all’interno di se stessa questa presenza di Gesù ha condotto la comunità di Luca a rileggere se stessa e la propria vita comunitaria in questo Evangelo, a cercarvi la spiegazione di un certo modo di essere missionaria. Proprio l’esperienza operante e interpretante dello Spirito Santo l’avrà condotta a non esser triste ma a gioire e a lodare. Ed è sull’esperienza di quella comunità che noi fondiamo la nostra esperienza comunitaria, intessuta dell’ ascolto interpretante delle Scritture e della missionarietà che ne scaturisce.

L’Evangelo di Luca si era aperto con due capitoli che erano un inno alla gioia e alla lode e si chiudono con due versetti di gioia e di lode. L’Ascensione non ha accorciato la mano di Dio, anzi. C’è da due millenni una comunità di testimoni che dall’ascolto della Parola e dalla sua interpretazione attualizzata trae – o si spera che tragga - ancora ragioni serie per stare nel mondo a benedire Dio.

 

 

Brani di riferimento (a parte tutto il c.24 di Luca)

Ø      In generale: i primi due capitoli del libro degli Atti

Ø      Sullo Spirito: 2Re 2,9-15; Mc 13,10; At 16,14

Ø      Sulla testimonianza: At 3,13-19; 10,40-42; 26,23

 

Meditazione su Gv 14,46-53