Lectio divina di Mt 22, 34-40 - domenica 27 Ottobre 2002-10-22

 

[34] Allora i farisei, avendo udito che aveva ammutolito i sadducei, si radunarono nello stesso luogo, [35] e uno di loro, un dottore della legge, lo interrogò mettendolo alla prova: [36] «Maestro, qual è il più grande comandamento nella legge?» [37] Allora egli gli disse:  «Amerai il Signore Dio tuo in tutto il tuo cuore, in tutta la tua anima, in tutta la tua mente.[38] Questo è il più grande e primo comandamento. [39] Il secondo è simile a questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso.[40] A questi due comandamenti è appesa tutta la Legge e i Profeti»

Quelle sottolineate sono espressioni – chiave per la meditatio

 

La liturgia della domenica ci presenta in lettura uno dei luoghi più noti del vangelo di Matteo.

Ancora una volta Gesù è davanti ai farisei che lo interrogano per «metterlo alla prova», ponendogli questioni direttamente fondate sulla Scrittura, per tentare di farlo cadere in errore e mettere, così, in discussione la sua autorità.  Contro questo uso distorto e ambiguo delle Scritture risponde Gesù nelle vesti di Colui che solo può «sciogliere i sigilli e aprire il libro» (Ap 5,2); l’unico che può interpretare e spiegare agli uomini l’Antico Testamento, perché è Lui a darvi compimento e a realizzare la parola dei profeti. Ed è proprio questa figura del Cristo che «dà compimento alla Legge» (Mt 5,17) ad essere il riferimento costante del brano di oggi. 

La questione sulla quale Gesù dovrà pronunciarsi è il comandamento più grande di tutti. La Thorà comprendeva ben 613 prescrizioni e più volte erano sorti tentativi, anche tra i farisei, di istituire gerarchie tra i vari precetti o di ridurne il numero. La risposta di Gesù è chiara: non enumera nessuno dei molteplici dettami della legge mosaica, come forse i farisei si aspettavano per poter poi tessere la loro trappola, ma rimanda con decisione alla fonte, a quei due comandamenti ai quali la legge e i profeti «stanno appesi», allo stesso modo di «come una porta sta sospesa sui cardini» e su entrambi deve ruotare, non su uno solo (A.Mello, Evangelo secondo Matteo, Qiqajon, Bose 1995, p. 392).

In questi due comandamenti trova sintesi tutta la legge di Dio, e a questi deve uniformarsi la vita  del credente. La novità non è nella tipologia dei precetti enunciati da Gesù, entrambi conosciuti dagli ebrei (Dt 6,5; Lv 19,18), ma nel metterli accanto in un rapporto di somiglianza che, però, non è identità; inoltre, si sancisce un importante passaggio: dal regime vecchio della lettera, quella della legge mosaica, si passa al nuovo regime dello Spirito (Rm 7,6).

 Il primo comandamento rimane il più grande: «Amerai il Signore Dio tuo in tutto il cuore, in tutta l’anima, in tutta la tua mente». Si tratta del noto Shema Israel che, già di per sé, non è un comandamento qualunque. Fin da quando è stato annunciato da Dio al suo popolo, questo era il comandamento da tenere «fisso nel cuore», da «legare alla mano come un segno», da tenere «come un pendaglio tra gli occhi» (Dt 6,5). Gli ebrei lo conoscevano bene al punto da averne fatto il cardine di tutta la legge mosaica e da recitarlo quotidianamente, ma secondo la tradizione rabbinica qualsiasi altro precetto aveva il medesimo valore e obbligava l’uomo allo stesso obbligo di obbedienza.  Per Gesù, invece, questo è il comandamento più grande di tutti.

Rispetto alla versione del brano che compare in Marco e Luca, Matteo utilizza una formula leggermente diversa ma particolarmente significativa: Amerai Dio «nel cuore» (in greco en) e non “con il cuore” o “secondo il cuore” (in greco ek) come compare invece negli altri vangeli sinottici. «In tutto il cuore, in tutta l’anima, in tutta la mente»: l’amore verso Dio deve uscire fuori dall’interno stesso della vita dell’uomo, dalla sua dimensione spirituale ed intellettiva. Queste tre dimensioni dell’interiorità (cuore, anima) e dell’intelletto (mente) sono proprio quelle che fanno di un qualsiasi essere vivente sulla terra un uomo, e che tutte insieme conferiscono all’uomo la sua unità.

La difficoltà e, insieme, la grandezza del primo comandamento sta proprio nell’opera che l’uomo realizza quando ama Dio: egli, spesso lacerato tra corpo e spirito, immerso in una quotidianità di lavoro e di molteplici impegni che da sempre ‘frammentano’ continuamente la sua umanità, ora in cuore, ora in spirito, ora in ragione, senza sperimentare mai l’armonico accordo delle tre parti tra loro, vedrà ricomporsi la sua umanità piena soltanto nell’amore di Dio. Solo davanti a Dio, sembra dire Gesù, l’uomo può essere finalmente uomo. Non angeli sfolgoranti, o santi profeti, ma semplicemente, meravigliosamente, uomini.

La lacerazione, la divisione dell’uomo, è avvertita come un male e, non a caso, essa è da sempre l’obiettivo primo dell’opera del diabolos, il «divisore» appunto, che progetta contro l’unità dell’uomo, intervenendo a scardinare le sue dimensioni e distruggere, così, dall’interno l’opera più bella della creazione divina.  Dio che conosce l’uomo e lo ama fin dal grembo di sua madre (Ger 1,4), sa, infatti, che nella rottura di questa unità che disperde l’uomo all’inseguimento dei più svariati idoli, c’è il pericolo di allontanarsi sempre più da Lui, dimenticandolo: è per questo che il nostro Dio è un «Dio geloso» (Dt 6,15). 

Ma come può l’uomo amare Dio, se questo amore non è puramente contemplativo, ma è una forza che impegna la totalità del nostro essere, delle energie che impieghiamo nel corso della vita per affermare la nostra umanità? Non lo ama, di fatto, ma lo ri-ama, perché è Dio che lo ha amato per primo (1 Gv 4, 10).

Il secondo comandamento è simile al primo, anche se non è ad esso identico e, dunque, non può nemmeno sostituirlo: «Amerai il prossimo tuo come te stesso». Se il primo e più grande comandamento evocava la nostra umanità che si scopriva integra ed intera davanti a Dio, il secondo precetto chiama in causa la stessa nostra umanità davanti all’altro, il prossimo.  Non si può odiare l’altro e pensare nel contempo di amare Dio (1 Gv 4,20). Proprio l’amore verso chi ci passa accanto lungo il cammino di vita, non solo chi già ci ama (che ricompensa ne avremo? Mt 5,46) ma chi è addirittura  il nostro odiato nemico, diventa quel terreno sui cui, a sua volta, l’amore di Dio può crescere e manifestarsi, e può dunque da noi essere conosciuto.  Il secondo comandamento, l’amore del prossimo, è allora per l’uomo il primo grado della conoscenza di Dio e dipende necessariamente dal primo grande precetto: non sarà l’amore egoistico e individualista verso l’altro ad essere raccomandato, ma quello libero della donazione gratuita che si dilata fino all’incontro con Dio ed in Dio trova il suo pieno compimento.

Di questo reciproco amore ci è testimone Cristo: l’amore verso il Padre e verso gli uomini si compie nell’offerta grande della propria vita. «Non c’è amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici»: l’amore è donazione di se stessi, e non si può farlo nei confronti degli altri e nemmeno nei confronti di Dio se non ci si spoglia delle proprie resistenze  idolatriche e dei propri egoismi.

Brani di riferimento:

 

v     Per la lettura dello Shemà Israel: Dt 6,5.

v     Per il rapporto tra amore di Dio e amore del prossimo: Mt, 5,43-8; 1 Gv 4, 7-21; Rm 13, 8-10.

v      Per il rapporto tra Gesù e la Legge: Mt 5, 17-48; 12, 1-8.