Introduzione alla Lectio Divina di Gv 15,9-17 – Domenica
25.05.2003
VI^ di Pasqua
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* quelle sottolineate sono parole chiave per
la meditatio
Si
continua qui il discorso sulla vite iniziato in 15,1. La coerenza tra questa
parte e la precedente è data da alcuni elementi: il ruolo fondamentale del
Padre, l’idea del frutto e l’azione del “rimanere”, che ritornano qui
all’interno di una meditazione sul presupposto trascendente che fonda la
comunione dei credenti in Cristo: il presupposto dell’amore.
La
fonte dell’amore è il Padre. La paroletta “come” del v.9, piuttosto che paragone indica generazione: con l’amore riversato in lui dal Padre, Gesù di
Nazareth ha amato e continua ad amare coloro che gli sono affidati, sicché per
i tralci individuati nei vv.1-8 il cammino verso la pienezza della gioia,
indicata dal v.11, non può che essere quello della consapevole fedeltà a questa
forza d’amore che proviene dal Padre attraverso il Figlio. Ma ancora una volta
la prospettiva della pienezza si lega ad un atteggiamento interiore del
discepolo, che al v.10 è indicato come atto
di custodia: “se custodirete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore”.
E’ lo stesso atteggiamento del Cristo verso il Padre.
Dal v.12 il testo precisa il contenuto di tale atto di custodia. Si tratta non tanto di precetti o dottrine, quanto di una disposizione esistenziale che rende fruttuoso l’amore di Cristo: “amatevi gli uni gli altri, come io vi ho amati”. E’ il caso di notare come il movimento dell’amore abbia delle direzioni ben precise. Nel nostro testo il padre ama il Figlio, il Figlio ama i discepoli ed i discepoli sono chiamati ad amarsi tra loro. Il movimento dell’amore non prevede una direzione né dal Figlio verso il Padre né dai discepoli verso il Figlio. Per restare ai discepoli, è come se il testo volesse ricordare come il rapporto d’amore che lega ciascun credente al Cristo sia reso concreto e credibile dalla relazione d’amore che lo lega al fratello. Il fratello diviene così il luogo palpabile della risposta all’amore di Cristo (cf. Mt 22,34-40).
In
questa prospettiva, si può bene intendere il senso del v.13, con quel “deporre
la vita” che, in quanto richiama il movimento del Buon Pastore (Gv 10,11-18),
da un lato non può che essere attribuito soltanto al Cristo, dall’altro può
ragionevolmente essere interpretato come attitudine di ogni uomo, proprio in Cristo, alla consegna della propria
esistenza, con tutti i rischi relazionali che ciò comporta, alla libertà del
fratello. In altri termini, l’amore reciproco ha il suo fondamento fuori dalla relazione tra i credenti. Le
conseguenze che si possono trarre in ordine alla comunione ecclesiale esulano
da questo contesto di discorso.
Proprio
a partire dal medesimo v.13 un elemento del testo particolarmente insistente è
costituito dal termine “amici” (in greco philoi).
L’amicizia con Dio è un tratto ben noto all’AT, come indicato in calce al
commento, e qui acquista una connotazione particolare in quanto è legato ad
un’esperienza di liberazione, che, a
sua volta, discende da un’esperienza di conoscenza
e genera a sua volta un’esperienza di responsabilità.
E’ un percorso ben scandito dai vv.15-16 e val la pena soffermarcisi.
L’esperienza
di Dio, in Gesù di Nazareth, non è un’esperienza di sottomissione, per quanto
l’idea di “servo” nell’AT fosse tutt’altro che mortificante per l’uomo bensì indicativa
della normalità di rapporto tra umanità e divinità. In Giovanni tuttavia
avviene un passaggio dalla servitù all’amicizia in virtù della possibilità, per
il discepolo, di accedere ad una conoscenza di “tutto ciò che ho udito dal
Padre”. Se teniamo ben presente quanto lo stesso Quarto Evangelo dirà in 16,
12-15, attribuendo allo Spirito l’azione di rivelare alla comunità cristiana
“ciò che avrà udito”, non sarà difficile scorgere la prospettiva di una
comunità tutt’altro che fideisticamente unita al suo Maestro, bensì resa consapevole del progetto d’amore che
lega Dio al suo popolo. Si tratta di quella consapevolezza che, sola, può
spiegare la possibilità di mettere in forma scritta la Parola che si è
ascoltata (si allude alla composizione del Nuovo Testamento) e di prendere
seriamente in considerazione la responsabilità, individuata dal v.16,
dell’andare e, andando, del portar frutto, con evidente connessione alla prima
parte del discorso sulla vite. Non è estranea, com’ è noto, al pensiero giovanneo
la preoccupazione della propagazione al mondo della Buona Notizia (vd, per es.
il c.17 del Quarto Evangelo). Una preoccupazione espressa suggestivamente da
quel “il vostro frutto rimanga” che segnala la ragione forte della “scelta”
operata da Gesù: “io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate, portiate
frutto e il vostro frutto rimanga”.
Il
discorso sulla vite ha dispiegato tutta la sua potenza, per i lettori del suo
tempo e per i lettori di ogni tempo. Le suggestioni sono molto forti e
radicali, e val la pena riepilogarle.
La
comunione tra i credenti/tralci dipende dalla custodia delle parole del Cristo.
L’acconsentire alla permanenza delle parole del Cristo implica la permanenza
del suo amore. In questo, parlare ed amare, per Gesù di Nazareth, sono la
stessa cosa. Ma l’ascolto non basta al discepolo. Occorre lottare perché non
venga strappato ciò che invece è necessario custodire, ovvero la capacità di
amore reciproco, che è consegna, non formale e manierata, di se stessi al
fratello. Questa consegna è possibile perché sta dentro un orizzonte di fede:
Gesù garantisce che questa consegna ha come contropartita l’amicizia di
Cristo stesso, che a sua volta genera nuove parole – quelle ritradotte dallo
Spirito per ogni epoca - e nuova conoscenza. L’Evangelo di Giovanni radica la
comunità degli inviati nell’amore consapevole, miracolosa sinergia di
sentimento, emozione, volontà, intelligenza, corporeità. L’amore consapevole
e reciproco è coessenziale all’ascolto.
Se per Cristo parlare vuol dire amare, per il discepolo ascoltare
fruttuosamente significa amare il fratello, quello che porta frutto e quello
che non porta frutto.
In
questa circolazione inestricabile di amore e di conoscenza, che lo Spirito oggi
ci dona attraverso l’ascolto della Parola, c’è la radice del più rigoglioso tra
i frutti: quella gioia piena che “nessuno potrà più togliervi” (16,23)
Brani di riferimento:
·
Sull’amore:
Gv 13,34; 1Gv 2,3-11; 3,11-24; 4,7-21.
·
Sulla
gioia: Is 60,15; 65,19; Ger 32,41; 33,9; Lc 15,7.10.32;
Gv 16.20-24; 17,13.
·
Sull’amicizia
di Dio e di Cristo: Is 41,8; 2Cr 20,7; Es 33,11; Rm 6,20-23.
·
Sulla
scelta: Dt 7,6-8; Is 41,8; 45,4; 65,9.15.22; Am 3,2; Mc
3,13; Lc 6,13; Gv 6,44; 17,2; 1Gv 4,7-10.
·
Sul
frutto che rimane: Is 27,6; Ez 47,12; Gv 14,12-13; 17,20.23.