Lectio divina di Lc 23,35-43 – domenica 25.11.2001

XXXIV domenica del tempo ordinario – Festa del Cristo Re

 

 

Dopo essersi poi divise le sue vesti, le tirarono a sorte. [35] Il popolo stava a vedere, i capi invece lo schernivano dicendo:  “Ha salvato gli altri, salvi se stesso, se è il Cristo di Dio, il suo eletto”. [36] Anche i soldati  lo schernivano, e gli si accostavano per porgergli dell’aceto, e dicevano: [37] “Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso”. [38] C’era anche una scritta, sopra il suo capo: Questi è il re dei Giudei.

[39] Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: “Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!”. [40] Ma l’altro lo rimproverava: “ Neanche tu hai timore di Dio benché condannato alla stessa pena? [41] Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male”. [42] E aggiunse: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”. [43] Gli rispose: “In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso”.

 

Facendo un balzo di qualche capitolo rispetto alla scorsa settimana, la liturgia ci presenta questo brano di Luca per celebrare la festa del Cristo Re. E' interessante mettere a confronto questo brano con quelli (Mt 25, 31-46 e Gv 18, 33-37) proposti negli anni A e B per la stessa festa (come è noto, la scansione dei brani proposti per la liturgia domenicale si articola su un percorso triennale, al termine del quale vengono ripetuti i brani del triennio precedente).

Per celebrare la regalità di Cristo, Matteo parla del re-pastore, che fa discernimento tra chi merita la salvezza e chi sceglie la lontananza da Dio. Nel compiere questa operazione, Egli rivela a ciascuno la verità del proprio cuore. La regalità di Cristo si manifesta nel suo identificarsi con i "piccoli".

Giovanni mostra invece un Cristo che, durante il processo davanti a Pilato,  si definisce re, ma affermando con chiarezza l'estraneità del suo regno a questo mondo. Cristo vive la sua regalità come "testimonianza alla verità" (Gv 18, 37), la cui voce è percepita da chi è "dalla" verità.

Luca, infine, completa il quadro. L'episodio da lui presentato si svolge durante la crocifissione: la regalità di Cristo si manifesta proprio nella situazione di maggiore "degradazione" che, secondo le categorie umane, Gesù incontra nella sua esperienza terrena. La crocifissione era infatti considerata una pena particolarmente infamante dal punto di vista sociale, tanto da non essere mai prevista per i cittadini romani e da essere riservata solo ai malfattori di basso ceto. Ancora una volta, quindi, si evidenzia quanto la regalità di Cristo sia estranea alle nostre categorie: come dice Gesù in risposta ad una discussione sulla "grandezza" sorta tra i dodici apostoli, "per voi però non sia così, ma chi è il più grande tra voi diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serve" (Lc 22, 26). E' il sovvertimento di ogni regola e di ogni concezione del potere secondo le nostre mentalità.

A questo riguardo il nostro brano si presenta come un affresco particolare che mostra nella loro forma più tipica le dinamiche del potere terreno:

-         i capi, che indicano la "strada" e forniscono il contesto culturale più utile ai loro scopi ("ha salvato gli altri, salvi se stesso, se è il Cristo di Dio", v. 35), riproponendo esattamente lo schema delle tentazioni a Gesù operate dal diavolo nel deserto (Lc 4, 3.9);

-         il potere militare, che ripete quello che dicono i capi, nella stupidità della violenza, con l'obiettivo di privare l'uomo indifeso e già vinto anche della sua identità ("dopo essersi divise le sue vesti, le tirarono a sorte", v. 34);

-         il popolo che guarda in silenzio, estraneo alle decisioni, forse rispettoso davanti al mistero del dolore e della morte, ma responsabile della propria ignavia.

Gesù è fuori da tutto questo: non risponde nulla ai capi e ai soldati che lo insultano, come non aveva risposto nulla a Pilato ed Erode durante il processo (Lc 23, 3.9); non cerca di portare il popolo dalla sua parte; non dice nulla al malfattore che lo insulta. Le sue uniche parole sono verso chi ha veramente "compreso" che la sua regalità è per la salvezza.

Il malfattore "buono" si è a sua volta allontanato dalle dinamiche umane di autoaffermazione: sa che sta morendo, sa che sconta colpe effettivamente sue ed è il solo in grado di riconoscere l'innocenza di Gesù nel confronto con la propria colpevolezza. Nel vedere un Dio che si fa "vicino" alle sue sofferenze, che si lascia condannare, incolpevole, alla sua "stessa pena" (v. 40), egli riesce a vincere la durezza del suo cuore e ad invocare la salvezza.

E' un insegnamento di grande importanza per tutti noi cristiani: dobbiamo riflettere molto, infatti, sul volto di Dio che presentiamo e testimoniamo, sull'idea di regalità di Cristo che comunichiamo. Il rischio di muoverci su dinamiche umane di potere, di forza, di grandezza è estremamente insidioso e comporta il totale tradimento di quanto Gesù ha detto e fatto sulla croce e durante tutta la sua esperienza terrena.

Il volto regale di Dio è quello del servo di tutti, del pastore che cura le proprie pecore una ad una: quando riusciamo a percepire questo e a chiedere a Gesù di "ricordarsi di noi", abbiamo fatto il passo più significativo, comprendendo il Suo messaggio di salvezza ed aprendo le porte alla speranza. Nello stesso momento in cui ciò avviene, la promessa di felicità di Cristo supera quello che noi stessi abbiamo chiesto: non dobbiamo aspettare un lontano futuro per essere salvati, perché la salvezza è per l'oggi, come Gesù promette al malfattore che lo accompagna nella morte.

 

Brani di riferimento

Gesù come "Salvatore" in Luca: Lc 2, 11; 6, 9; 7, 50; 8, 36.48.50; 9, 24; 17, 19; 18, 42; 19, 10; At 5, 31; 13, 23.

La festa del "Cristo Re" negli anni A e B della liturgia: Mt 25, 31-46 e Gv 18, 33-37

 

Meditazione su Lc 23,35-43

 

Lectio divina prima lettura