Lectio
Divina di Mt. 17,1-9
Domenica 24 febbraio 2002
– II^ di Quaresima
[1] Dopo sei giorni, Gesù
prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in
disparte, su un alto monte. [2] E fu trasfigurato davanti a loro;
il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come
la luce. [3] Ed ecco apparve loro Mosè ed Elia che conversavano con
lui. [4] Pietro allora rispondendo disse a Gesù: "Signore, è bello
per noi restare qui; se vuoi, farò tre tende, una per te, una per Mosè
e una per Elia". [5] Egli stava ancora parlando quando una nuvola
luminosa li avvolse con la sua ombra. Ed ecco una voce che diceva: "Questi
è il Figlio mio prediletto; ascoltatelo". [6] All’udire
ciò i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande
timore. [7] Ma Gesù si avvicinò e, toccatili, disse: “Alzatevi e non
temete”. [8] Sollevando gli occhi non videro più nessuno, se non Gesù
solo. [9] E mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: “Non
parlate a nessuno di questa visione, finché il Figlio dell'uomo non
sia risorto dai morti”. |
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quelle sottolineate sono parole – chiave per la meditatio
Raccontando ciascuno con le
proprie sottolineature la trasfigurazione, gli evangelisti Matteo, Marco e Luca
ci offrono l’occasione di accostarci a quella che è indubbiamente una delle
tappe più significative nel percorso terreno di Gesù e al contempo uno dei
momenti più alti e misteriosi della rivelazione: la manifestazione di Dio sul
monte Tabor alla presenza dei discepoli sancisce una volta ancora, dopo il
Battesimo nel Giordano e poco prima della Pasqua, l’itinerario di salvezza
intrapreso da Gesù, individuando in lui il Figlio amato venuto per la salvezza
del mondo; ancor più decisamente che nel Battesimo tuttavia, lo sfondo sul
quale il nostro brano si proietta è quello della Pasqua.
È importante per
comprendere il testo e il suo significato, inserirlo nella più ampia cornice
del capitolo sedici, che ruota sulla questione dell’identità di Gesù e del
discepolato; è come se prima di affrontare l’esperienza estrema e culminante di
Gerusalemme, Gesù desiderasse verificare la comprensione maturata fra la gente
comune e fra i discepoli: “la gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo? […]
voi chi dite che io sia?” (16,13-14). Le risposte sono come sappiamo tutt’altro
che univoche; alla confusione del popolo che identifica Gesù come uno dei tanti
profeti, si affianca la voce di coloro che lo hanno seguito più da vicino; così
la bellissima professione di fede di Pietro, “tu sei il Cristo, il Figlio del
Dio vivente” (16,16) trova un immediato controcanto nel rifiuto opposto dallo
stesso Pietro alla sofferenza di Gesù: “Dio te ne scampi, Signore, questo non
ti accadrà mai” (16,22): comprendere questo Signore, che parla di sofferenza e
di morte e invita ciascuno per seguirlo a prendere la propria croce crea
disagio e disorientamento.
Così la trasfigurazione
sembra rispondere a questi interrogativi, per quanto, come si vedrà, il luogo e
il tempo della comprensione venga ulteriormente rimandato: Gesù può essere
capito e amato solo puntando gli occhi sull’evento pasquale. Per il momento la
preoccupazione dell’evangelista sembra essere piuttosto quella di individuare
in Gesù colui che porta a compimento le antiche promesse messianiche e inaugura
un’era nuova e definitiva nella storia. Non stupisce dunque costatare che il
brano è costruito come un mosaico di reminiscenze del Vecchio Testamento. Gesù
stesso, parlando ai discepoli, afferma che ciò a cui essi hanno assistito è una
“visione” (gr. horama) e in accordo con questa definizione anche le immagini e
la simbologia riproducono i tratti caratteristici delle visioni apocalittiche e
delle apparizioni di Dio nell’A.T. Così l’ascesa al monte richiama
evidentemente il colloquio tra Mosè e Dio, manifestatosi sul Sinai sotto forma
di nube (Es. 24), mentre la stessa “metamorfosi” (gr. Metamorphosis =
trasfigurazione) di Gesù, espressa soprattutto dal volto radioso, rimanda
all’aspetto di Mosè che scendendo dal Sinai “non sapeva che la pelle del suo
viso era diventata raggiante poiché conversava con lui” (cfr. Es. 34,29). Nuovo
Mosè, venuto a suggellare la nuova alleanza, Gesù è presentato come la Verità
vivente, riconosciuta dalle due colonne dell’A.T., lo stesso Mosè ed Elia,
raffigurazioni della Legge e dei Profeti; in lui converge tutta la storia della
salvezza e trovano realizzazione e adempimento le speranze e le profezie del passato;
la voce del Padre, reinterpretando l’A.T. esprime chiaramente il senso di tale
compimento: “questo è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto”:
veramente Gesù è il Messia annunciato di Salmi (cfr. Sal. 2.7), il nuovo Isacco
(cfr. Gen. 22,2), il Servo del Signore annunciato da Isaia (cfr. Is. 42,1).
Se dunque questo è approssimativamente il nucleo rivelativo e teologico
della trasfigurazione, che ci conduce dentro il mistero della natura divina di
Gesù, della sua relazione con il Padre,
del suo essere Messia di salvezza, questo stesso testo offre anche qualcosa
d’altro; la trasfigurazione può anche essere letta con gli occhi dei discepoli
che accompagnano Gesù, per i quali essa è un’esperienza capitale, che
permetterà di interpretare la resurrezione di Gesù e al contempo da
quest’ultima riceverà pienamente la sua luce.
Per Pietro, Giacomo e Giovanni la trasfigurazione implica il compimento
di un itinerario che si pone al contempo sul piano spaziale e interiore. Vi è
un tempo (“sei giorni dopo” l’annuncio della passione e dunque nel settimo
giorno, quello in cui si completa la creazione) in cui essi si lasciano
condurre da Gesù sul monte, carichi dei dubbi che i brani precedente hanno
espresso: chi è Gesù? È veramente l’inviato di Dio, venuto a salvare il suo
popolo? E perché parla di morte e di sconfitta?
Pieni di quelle che sono le loro (e forse ancora le nostre) domande,
Pietro, Giacomo e Giovanni assistono sul Tabor alla trasfigurazione di Gesù:
Questa esperienza appare ai discepoli non solo vera e buona, ma anche bella: è
il fascino della Verità e del Bene, è la bellezza di Dio che si offre a loro.
Tale Bellezza è collegata nel racconto alla misteriosa rivelazione della
Trinità: " quando una nuvola luminosa li avvolse con la sua ombra. Ed ecco
una voce che diceva: "Questi è il Figlio mio prediletto; ascoltatelo” (v. 7).
Di fronte a questa esperienza di bellezza, la tentazione è quella di fermare il
tempo, di conferire al tempo una dimensione definitiva; è Pietro che col suo
consueto entusiasmo dà voce a questo desiderio: “è bello per noi stare qui; se
vuoi farò tre tende”. E tuttavia la bellezza gloriosa di Gesù non può essere
fermata: essa non può e non deve divenire possesso, ma deve piuttosto
trasformarsi in sequela e dono per gli altri: ecco allora l’invito di Gesù, che
ai discepoli prostrati per la paura dice: “alzatevi e non temete”; la discesa
dal monte è l’invito lanciato ai discepoli (e ancora una volta a noi) a
immergersi di nuovo nella storia in una prospettiva più matura e consapevole in
cui la visione deve cedere il posto all’ascolto (“questo è il mio Figlio
prediletto […] ascoltatelo” dice il Padre), e l’impazienza lasciare spazio
all’attesa: solo dopo la resurrezione di Gesù il senso profondo di quella
visione gloriosa sarà rivelato, mentre per il momento si tratta di mettersi
dietro di lui, accompagnando il suo cammino verso Gerusalemme.
Brani di riferimento
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si consiglia la lettura
del capitolo XVI del vangelo di Matteo e dei brani sinottici indicati dalle
varie edizioni della Bibbia.
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i brani
veterotestamentari sono indicati nel testo
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per il N.T. importante
2 Cor. 3,17-18 in cui si parla della trasfigurazione dell’uomo.