Lectio
Divina di Lc. 1,39-48 domenica 24 dicembre 2000
4^ di avvento
[39] In quei giorni Maria si mise in
viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda. [40]
Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. [41] Appena Elisabetta ebbe
udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo. Elisabetta
fu riempita di Spirito Santo [42] ed esclamò a gran voce: “Benedetta tu fra le
donne e benedetto il frutto del suo grembo! [43] A che debbo che la madre del
mio Signore venga a me? [44] Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai
miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. [45] E
beata colei che ha creduto che ci sarebbe stato compimento alle cose a
lei dette dal Signore”. [46] Allora Maria disse:
L’anima mia magnifica il
Signore
[47] e il mio spirito
esulta in Dio mio salvatore
[48] perché ha guardato
all’umiltà della sua serva.
Quelle
sottolineate sono parole ed espressioni chiave per la meditatio.
Il
brano della visitazione di Maria ad Elisabetta e il canto del Magnificat
costituiscono il cuore del primo capitolo del vangelo di Luca; in questo
episodio l’evangelista presenta infatti quello che nel suo racconto è l’unico
incontro tra i due bambini, Giovanni e Gesù, che presto nasceranno a segnare
l’intervento di Dio sulla terra; dopo essere venuti al mondo i due vivranno la
loro vicenda terrena in parallelo, senza mai incontrarsi, e Giovanni verrà
arrestato prima del battesimo di Gesù.
La
visita di Maria ad Elisabetta trova le sue premesse già nell’annunciazione:
l’angelo infatti annuncia l’imminente maternità di Elisabetta; in quest’ultima
dunque “che tutti dicevano sterile”, proprio come in Maria si rivela l’azione
di Dio nella storia, secondo logiche ben diverse da quelle umane.
La notizia ricevuta e il dono del
concepimento mettono dunque Maria in movimento verso la casa di Elisabetta. Ma
qual è il reale motivo di questa viaggio? La stessa Elisabetta, alla vista di
Maria, appare sorpresa al punto da domandare “a cosa debbo che la madre del mio
Signore venga a me?”. Sembrerebbe quasi che la visita di Maria sia dovuta alla
semplice curiosità, o al desiderio di verificare quanto è stato detto
dall’angelo. In realtà non è così. Con la sua fine notazione “raggiunse in
fretta una città di Giuda”, l’evangelista fa notare come in realtà ciò che
anima Maria è un fortissimo desiderio di comunicare la propria gioia, di condividere
la lode e la contemplazione di Dio con Elisabetta che, al pari di Maria, ha
sperimentato su di sé l’azione potente e salvifica di Dio. A ben guardare poi,
tutto il cosiddetto vangelo dell’infanzia è in qualche modo pervaso da visite
di ogni tipo: da quella dell’angelo prima a Zaccaria, poi a Maria, a quella dei
vicini ad Elisabetta dopo la nascita di Giovanni; da quella dei pastori alla
mangiatoia, a quella ancora di Maria e Giuseppe al tempio. Tutte queste visite,
compresa dunque quella di Gesù ad Elisabetta, non sono altro che espressione
della visita che Dio stesso, con la nascita di Gesù, ha fatto agli uomini, del
suo intervento nella loro storia che ci prepariamo a festeggiare con
l’imminente festa di Natale.
In
questa direzione, ciò che accade durante l’incontro tra Maria ed Elisabetta (e
che Luca ci racconta in uno stile estremamente vivace e immediato) è
assolutamente emblematico; il sussulto di Giovanni nel grembo della madre è
certo, secondo la logica dell’evangelista, il segno della sua futura
partecipazione alle vicende di Gesù, ma è anche e soprattutto un movimento che,
al pari di quello di Maria, nasce (e diviene inevitabile) nel momento in cui si
riconosce la presenza del Salvatore e si manifesta una disponibilità alla sua
azione.
E disponibile e docile al progetto di Dio,
pronta a credere nell’adempimento delle sue promesse contro ogni logica umana è
stata anche Maria: sia la beatitudine proclamata da Elisabetta sotto l’azione
dello Spirito Santo, sia lo stesso canto del Magnificat riconoscono in Maria
l’esempio di una apertura del cuore che nasce però dal profondo riconoscimento
della propria povertà dinanzi al Signore (il termine umiltà è traduzione del
greco tapeivnosia che appunto, nel suo primo
significato vale “povertà”) e dunque della propria inadeguatezza.
Inserito in una tradizione
veterotestamentaria che trova ha i suoi precedenti immediati nei cantici di
Debora (Gdc 5) e di Anna (1 Sam. 2,1-11) il Magnificat è nel suo complesso una
grande celebrazione della logica dell’agire di Dio a sostegno degli umili e a
compimento delle promesse fatte ad Israele fin da Abramo; ma la lode a Dio
scaturisce in Maria, così come forse in noi, innanzitutto da una lettura della
nostra storia e dalla constatazione del suo intervento, della sua “visita”
nella nostra vicenda personale: “ha guardato l’umiltà della sua serva”.
Il brano della visitazione non ha paralleli nei
sinottici; per un orientamento volto a una migliore comprensione è opportuna
una rilettura del capitolo fin dall’inizio (per esempio durante la visita a
Zaccaria l’angelo aveva predetto che Giovanni sarebbe stato ricolmo di Spirito
Santo “fin dal seno di sua madre”).
I
brani veterotestamentari che precedono il Magnificat sono già indicati nel
testo.