Lectio Divina di Gv 2,13-25 – Domenica
23.03.2003
III^ di Quaresima
[18]Allora i Giudei risposero e gli dissero:
"Quale segno ci mostri per fare queste cose?" (Gv 6,30-40;
cf. anche Mt 12,39). [19] Rispose loro Gesù: "Distruggete questo
santuario e in tre giorni lo farò risorgere". [20] Gli dissero
allora i Giudei: "Questo santuario è stato costruito in quarantasei
anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?". [21] Ma egli parlava
del santuario del suo corpo. [22] Quando poi fu risuscitato dai morti,
i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero
alla Scrittura e alla parola detta da Gesù. [23]
Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa molti, vedendo
i segni che faceva, credettero nel suo nome. [24] Gesù però non si fidava
di loro, perché conosceva tutti [25] e non aveva bisogno che qualcuno
testimoniasse sull'uomo; egli infatti conosceva quello che c'era nell'uomo. |
*Le parole sottolineate sono parole-chiave per la meditatio.
|
“Il Paraclito, lo Spirito Santo che il Padre
manderà nel mio nome, vi insegnerà tutto e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto”
(Gv 14,26).
Sembra possibile iniziare la lettura di
questo brano proprio rappresentandoci questa azione memoriale dello
Spirito dentro la comunità dei credenti. Nei vv. 17 e 22 del testo compare
infatti per due volte il verbo “ricordare” attribuito proprio ai discepoli. La
ricostruzione della ragione profonda per la quale l’evangelista ha elaborato
questo racconto si può ricondurre proprio a questa azione della comunità
primitiva che vive la fede, ricorda le parole e i gesti di Gesù, attribuisce
loro significato e le fissa in una forma narrativa, in un racconto. Questo
lavoro ermeneutico della comunità primitiva dei credenti si ripropone per le
nostre comunità cristiane, che sono oggi chiamate a riflettere sul senso di
quanto Giovanni ci racconta.
Un primo elemento di riflessione è dato
dalla collocazione della vicenda, che nei sinottici appartiene alla fase finale
della vita di Gesù, mentre qui appare all’inizio dell’Evangelo, subito dopo
l’episodio delle nozze di Cana (2,1-12). Giovanni evidentemente vuole, con
questo brano, indurre il lettore dell’Evangelo fin dall’inizio della lettura a
mettere a fuoco la novità di Gesù. L’analisi del testo permette di
evidenziare questi elementi di novità e di sintetizzarli nel concetto di sostituzione
nella continuità.
Cosa vogliamo dire con sostituzione nella
continuità? Percorriamo il testo.
Gesù nella prima parte del testo agisce con
energia, senza compromessi. L'atteggiamento è quello della radicalità. Il
bersaglio è l'atto del vendere. Si vendevano, nel cortile del tempio, animali
per compiere sacrifici, e monete "giuste" - che cioè non
raffigurassero l'imperatore pagano - per pagare la tassa del tempio. In
entrambi i casi, siamo di fronte ad una religiosità della pietà.
L'azione contestatrice di Gesù lo pone davanti ai Giudei come uno che ha
autorità, potere, forza. Come un profeta. Uno che è capace di dire una parola
critica sulla religiosità della gente. Sul gesto compiuto da Gesù i Giudei non
hanno nulla da eccepire: si trattava di un gesto che realizzava il "tempio
messianico" prefigurato dai profeti (in particolare da Ez nei cc. 40-46).
Infatti i Giudei eccepiscono sulla persona che lo compie e chiedono a
Gesù di rendere conto della propria autorità con un segno.
E’ qui che il testo presenta difficoltà.
Gesù infatti dice qualcosa che i Giudei non comprendono. A rigore, egli non
parla esplicitamente del suo corpo, e non si può pensare che egli parli
“in maniera inintelligibile, cosa che ripugna nel quarto evangelo”
(Leon-Dufour). Ai Giudei Gesù continua a parlare del Tempio così come essi lo
intendevano, ma li invita ad accogliere un percorso di conversione che
li metta nelle condizioni di ripensare il proprio culto nel senso che hanno le
parole rivolte più avanti alla Samaritana: "è giunto il momento, ed è
questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché
il Padre cerca tali adoratori. Dio
è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità".
(Gv 4,23-24). Si tratta quindi di un percorso di conversione basato, come si
diceva, sulla sostituzione nella continuità per il fatto che non è qui in
questione l’esistenza del Tempio come luogo del culto – anche oggi le chiese
sono luoghi di culto - bensì la sua ri-considerazione del Tempio alla luce
dell’evento-Gesù, che è ciò che fa maggiore difficoltà alle resistenze di
tutti i tempi, quelle resistenze che Giovanni, al suo tempo, attribuisce ai
Giudei.
Di fronte alla Parola di Gesù, Giovanni
fotografa due atteggiamenti, quello dei Giudei e quello dei discepoli. Ma ce
n’è un terzo, che non vorremmo trascurare. Quello dell’evangelista-narratore e
della sua comunità di riferimento. I Giudei non colgono il riferimento alla
morte e risurrezione di Gesù, ma su questo probabilmente non c’è condanna, da
parte di Giovanni, nei loro confronti, perché neppure i discepoli, nel
momento in cui Gesù parlava, erano nelle condizioni di fare questo salto
mortale dell’intelletto. Infatti il v.22 dice chiaramente che i discepoli credettero
“quando fu risuscitato dai morti”. E’ qui che entra in gioco il ruolo decisivo
della comunità ermeneutica post-pasquale e delle comunità che oggi
ascoltano questa Parola. Ed è qui che entra in gioco l’azione del “ricordare”,
con la quale si è aperto il nostro discorso. Che “la casa del Padre” sia
diventata Gesù Cristo può farlo comprendere, solo dopo la Risurrezione, lo
Spirito. E’ lo Spirito che suscita il ricordo dei discepoli, è lo Spirito che
suscita la selezione dei ricordi ed è sempre lo Spirito che ispira la stesura
dell’Evangelo. E’ lo Spirito che può suggerire a Giovanni e alla sua comunità
la frase “Ma egli parlava del santuario del suo corpo”del v.21. Giovanni non
avrebbe mai potuto elaborare quella interpretazione se lo Spirito non avesse permesso
a lui e alla sua comunità di ricomprendere quanto Gesù poté dire in
quell’occasione: di guidarli, in altri termini alla “verità tutta intera” (Gv
16,13). Ma anche oggi lo Spirito ermeneuta consente a noi di poter dire che Gesù
di Nazareth è la casa di Dio e di trarne tutte le conseguenze esistenziali.
E non potrebbe consentircelo se a sua volta non avesse preso Egli stesso dimora
in noi, come ci ricorda Paolo: “non sapete che il vostro corpo è tempio
dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartenete a
voi stessi?” (1Cor 6,19).
Un unico sentiero interpretativo dunque sembra collegare Quaresima, Pasqua e Pentecoste. Lo percorreremo con Giovanni.
Brani di riferimento (oltre a quelli già
citati nel testo e nel commento):
Ø
Elementi di
questo brano nei sinottici: Mt
21,12-13; 26,59-61; Mc 11,15-17; 14,55-58; Lc
19,45-46.
Ø
Sul tempio
nell’AT: Dt 12,4-6; 2Sam
7,1-2; Is 66,1; tutto il c.7 di Geremia.
Ø
Sul tempio
come Nuova Alleanza: Ap
11,1.19; 21,22.
Ø
Sul corpo
del credente come tempio dello Spirito:
1 Cor 6,15-20
Ø
Sulla
comprensione post-pasquale in Gv:
Gv 12,16; 14,26; 15,26-27.