Lectio Divina di Gv 2,13-25 – Domenica 23.03.2003

III^ di Quaresima

 

[13] Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. [14] Trovò nel tempio quelli che vendevano buoi, pecore e colombe, e i cambiavalute seduti al banco. [15] Fatta allora una sferza di cordicelle, scacciò tutti fuori del tempio con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiavalute e ne rovesciò i banchi, [16] e ai venditori di colombe disse: "Portate via queste cose e non fate della casa del Padre mio un luogo di mercato". [17] I discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi divora (Sal 69,10).

[18]Allora i Giudei risposero e gli dissero: "Quale segno ci mostri per fare queste cose?" (Gv 6,30-40; cf. anche Mt 12,39). [19] Rispose loro Gesù: "Distruggete questo santuario e in tre giorni lo farò risorgere". [20] Gli dissero allora i Giudei: "Questo santuario è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?". [21] Ma egli parlava del santuario del suo corpo. [22] Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.

 

[23] Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa molti, vedendo i segni che faceva, credettero nel suo nome. [24] Gesù però non si fidava di loro, perché conosceva tutti [25] e non aveva bisogno che qualcuno testimoniasse sull'uomo; egli infatti conosceva quello che c'era nell'uomo.

 

*Le parole sottolineate sono parole-chiave per la meditatio.

 

Nota traduttiva: il testo greco designa la parola Tempio ai vv. 14 e 15 – quando ad usarla è il narratore - con hierón, ma ai vv.19-21 – in bocca a Gesù e, da quel momento, sempre – con naós. Si è ritenuto preferibile distinguere anche in italiano il “tempio” dal “santuario” per accentuare la differenza tra la dimensione del Tempio come edificio di pietra e quella del Tempio come Presenza, che agevola ancor più l’interpretazione del passo.

 

“Il Paraclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, vi insegnerà tutto e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto” (Gv 14,26).

Sembra possibile iniziare la lettura di questo brano proprio rappresentandoci questa azione memoriale dello Spirito dentro la comunità dei credenti. Nei vv. 17 e 22 del testo compare infatti per due volte il verbo “ricordare” attribuito proprio ai discepoli. La ricostruzione della ragione profonda per la quale l’evangelista ha elaborato questo racconto si può ricondurre proprio a questa azione della comunità primitiva che vive la fede, ricorda le parole e i gesti di Gesù, attribuisce loro significato e le fissa in una forma narrativa, in un racconto. Questo lavoro ermeneutico della comunità primitiva dei credenti si ripropone per le nostre comunità cristiane, che sono oggi chiamate a riflettere sul senso di quanto Giovanni ci racconta.

Un primo elemento di riflessione è dato dalla collocazione della vicenda, che nei sinottici appartiene alla fase finale della vita di Gesù, mentre qui appare all’inizio dell’Evangelo, subito dopo l’episodio delle nozze di Cana (2,1-12). Giovanni evidentemente vuole, con questo brano, indurre il lettore dell’Evangelo fin dall’inizio della lettura a mettere a fuoco la novità di Gesù. L’analisi del testo permette di evidenziare questi elementi di novità e di sintetizzarli nel concetto di sostituzione nella continuità.

Cosa vogliamo dire con sostituzione nella continuità? Percorriamo il testo.

Gesù nella prima parte del testo agisce con energia, senza compromessi. L'atteggiamento è quello della radicalità. Il bersaglio è l'atto del vendere. Si vendevano, nel cortile del tempio, animali per compiere sacrifici, e monete "giuste" - che cioè non raffigurassero l'imperatore pagano - per pagare la tassa del tempio. In entrambi i casi, siamo di fronte ad una religiosità della pietà. L'azione contestatrice di Gesù lo pone davanti ai Giudei come uno che ha autorità, potere, forza. Come un profeta. Uno che è capace di dire una parola critica sulla religiosità della gente. Sul gesto compiuto da Gesù i Giudei non hanno nulla da eccepire: si trattava di un gesto che realizzava il "tempio messianico" prefigurato dai profeti (in particolare da Ez nei cc. 40-46). Infatti i Giudei eccepiscono sulla persona che lo compie e chiedono a Gesù di rendere conto della propria autorità con un segno.

E’ qui che il testo presenta difficoltà. Gesù infatti dice qualcosa che i Giudei non comprendono. A rigore, egli non parla esplicitamente del suo corpo, e non si può pensare che egli parli “in maniera inintelligibile, cosa che ripugna nel quarto evangelo” (Leon-Dufour). Ai Giudei Gesù continua a parlare del Tempio così come essi lo intendevano, ma li invita ad accogliere un percorso di conversione che li metta nelle condizioni di ripensare il proprio culto nel senso che hanno le parole rivolte più avanti alla Samaritana: "è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori.  Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità". (Gv 4,23-24). Si tratta quindi di un percorso di conversione basato, come si diceva, sulla sostituzione nella continuità per il fatto che non è qui in questione l’esistenza del Tempio come luogo del culto – anche oggi le chiese sono luoghi di culto - bensì la sua ri-considerazione del Tempio alla luce dell’evento-Gesù, che è ciò che fa maggiore difficoltà alle resistenze di tutti i tempi, quelle resistenze che Giovanni, al suo tempo, attribuisce ai Giudei.

Di fronte alla Parola di Gesù, Giovanni fotografa due atteggiamenti, quello dei Giudei e quello dei discepoli. Ma ce n’è un terzo, che non vorremmo trascurare. Quello dell’evangelista-narratore e della sua comunità di riferimento. I Giudei non colgono il riferimento alla morte e risurrezione di Gesù, ma su questo probabilmente non c’è condanna, da parte di Giovanni, nei loro confronti, perché neppure i discepoli, nel momento in cui Gesù parlava, erano nelle condizioni di fare questo salto mortale dell’intelletto. Infatti il v.22 dice chiaramente che i discepoli credettero “quando fu risuscitato dai morti”. E’ qui che entra in gioco il ruolo decisivo della comunità ermeneutica post-pasquale e delle comunità che oggi ascoltano questa Parola. Ed è qui che entra in gioco l’azione del “ricordare”, con la quale si è aperto il nostro discorso. Che “la casa del Padre” sia diventata Gesù Cristo può farlo comprendere, solo dopo la Risurrezione, lo Spirito. E’ lo Spirito che suscita il ricordo dei discepoli, è lo Spirito che suscita la selezione dei ricordi ed è sempre lo Spirito che ispira la stesura dell’Evangelo. E’ lo Spirito che può suggerire a Giovanni e alla sua comunità la frase “Ma egli parlava del santuario del suo corpo”del v.21. Giovanni non avrebbe mai potuto elaborare quella interpretazione se lo Spirito non avesse permesso a lui e alla sua comunità di ricomprendere quanto Gesù poté dire in quell’occasione: di guidarli, in altri termini alla “verità tutta intera” (Gv 16,13). Ma anche oggi lo Spirito ermeneuta consente a noi di poter dire che Gesù di Nazareth è la casa di Dio e di trarne tutte le conseguenze esistenziali. E non potrebbe consentircelo se a sua volta non avesse preso Egli stesso dimora in noi, come ci ricorda Paolo: “non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartenete a voi stessi?” (1Cor 6,19).

Un unico sentiero interpretativo dunque sembra collegare Quaresima, Pasqua e Pentecoste. Lo percorreremo con Giovanni.

 

 

 

Brani di riferimento (oltre a quelli già citati nel testo e nel commento):

 

Ø      Elementi di questo brano nei sinottici: Mt 21,12-13; 26,59-61; Mc 11,15-17; 14,55-58; Lc 19,45-46.

Ø      Sul tempio nell’AT: Dt 12,4-6; 2Sam 7,1-2; Is 66,1; tutto il c.7 di Geremia.

Ø      Sul tempio come Nuova Alleanza: Ap 11,1.19;  21,22.

Ø      Sul corpo del credente come tempio dello Spirito: 1 Cor 6,15-20

Ø      Sulla comprensione post-pasquale in Gv: Gv 12,16;  14,26;  15,26-27.