Lectio divina di Mt 1,18-25 – domenica 23.12.2001
– IV di Avvento
[18] Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo
promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme, si
trovò incinta per opera dello Spirito Santo. [19] Giuseppe suo sposo,
che era giusto e non voleva esporla pubblicamente all’infamia
(deigmatizo, nel NT solo in Col. 2,15), pensò di licenziarla in segreto.
[20] Mentre andava rimuginando queste cose, ecco che gli apparve in
sogno un angelo del Signore e gli disse: "Giuseppe, figlio di
Davide (1,1), non temere di prendere con te Maria, tua sposa,
perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo.
[21] Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti
salverà il suo popolo dai suoi peccati (Sal 130,8; At 4,12)". [22]
Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto
dal Signore per mezzo del profeta: [23] Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che significa
Dio con noi. (Is 8,8.10) [24] Destatosi
dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore
e prese con sé la sua sposa, [25] e non la conobbe finché partorì un
figlio, che egli chiamò Gesù. |
La
Trinità divina incorpora all’interno del suo dinamismo d’amore una giovane
donna di un paese marginale ed un carpentiere. Due esseri sconosciuti,
irrilevanti, come i personaggi menzionati dal v.12 al v.15 (c.1) della
genealogia matteana. “…… Mattan generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuseppe, lo
sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo” (Mt 1,15b-16): Gesù
viene da una discendenza davidica, e questo per Matteo è fondamentale. Senza
passare da Giuseppe non si concepirebbe la profonda ebraicità di Gesù e la sua
appartenenza alla promessa messianica.
Ma
Gesù non è soltanto figlio di Davide: è anche e soprattutto Figlio di Dio (Mt
26,63-64). Questa profonda consapevolezza giustifica l’eccezionalità del modo
in cui viene narrata la nascita di Gesù. Un’eccezionalità già preannunciata al
lettore dal v.18, quando Matteo anticipa che quanto avviene in Maria è opera
dello Spirito Santo (cf. Gn 1,2; Ez 37,1-14). Un’eccezionalità che Giuseppe non
può comprendere. Egli si situa sul piano che gli è proprio, il piano della meditazione sul da farsi rispetto ad una
situazione che certamente lo vede estraneo. Il figlio non è suo. Giuseppe è un giusto (v.19), ma probabilmente Matteo
intende già questa connotazione in un senso più ampio che quello di “fedele
esecutore della Legge”. Egli ama Maria: il suo legame con lei - già legalmente
molto forte perché il fidanzamento ebraico aveva tutti i caratteri di vero e
proprio matrimonio (compresa la possibilità di rapporti sessuali), tranne
soltanto la convivenza – è talmente profondo da fargli apparire “ingiusta”
un’esposizione di Maria al pubblico ludibrio, come la Legge prescriveva in caso
di adulterio (Dt 24,1), anche se la soluzione di licenziarla “in segreto”, in
effetti, appare alquanto strana: come si divorzia in segreto?
Ciò
che è insolubile sul piano del “rimuginare” (v.20), viene assunto sul piano del
“rivelare”. La Parola di Dio rivela il paradosso e chiama Giuseppe alla scelta:
restare all’interno della dimensione legale oppure riconoscere nell’esperienza
del sogno il Signore. Matteo utilizza lo schema tipico degli annunci per
collocare Giuseppe sulla linea degli uomini con i quali Dio ha voluto rivelare
i suoi progetti. Il carpentiere Giuseppe ha un compito: quello di “dare il
nome” (v.21), cioè di dare consistenza storica a Gesù. Questo compito ha come
conseguenza un superamento di se stesso: prendere con sé Maria accettando di
essere servitore di un progetto più grande. Accettare di impoverirsi per una
causa superiore. Accettare, come Noè, di camminare con Dio (Gn 6,9).
Matteo sente la necessità di spiegare che
la sua narrazione sta dentro l’orizzonte biblico, cioè che Gesù è l’Atteso, il
Profetizzato. Ciò che egli narra, in altri termini, rientra in un piano di Dio
che riguarda Israele e, a partire da Israele, riguarda tutti. Questo è il senso
della citazione di Is 7,14. Il segno della prossimità di Dio in Isaia è una
partoriente. Quel che conta per Matteo, che rimedita Isaia, è molto meno
l’identificazione “tecnica” della verginità (giovane donna? vergine?), che,
piuttosto, il sigillo che Dio ha inteso porre su Gesù di Nazareth. La sua
prospettiva è interamente cristologica: Gesù è figlio di Davide e figlio di
Dio. E può esserlo perché non solo Maria (vedi parallelo in Luca), ma anche
Giuseppe ha detto sì.
L’ultima parte del brano dice dell’ubbidienza di Giuseppe. Ubbidienza silenziosa, perché Giuseppe, né qui né altrove negli Evangeli, dirà mai una parola. Giuseppe è l’uomo del silenzio, dell’ascolto e del fare. L’uomo vigile. Egli è presentato da Matteo come colui che “prende con sé” Maria (v.24), e con lei tutto il piano di salvezza. La figura di Giuseppe acquista sempre più spessore se si legge anche tutto il capitolo 2 di Matteo: Giuseppe è visto come colui che ha la responsabilità di proteggere Maria e Gesù dalla forze del male. E’ visto come colui che può guidare perché è guidato. I sogni di Giuseppe sono il modo, magari alquanto romanzesco, in cui Matteo ha voluto rappresentare l’adempimento delle Scritture. La Parola di Dio si realizza sia che si vegli sia che si dorma. E l’icone di Giuseppe è lì a mostrarci che si può vegliare anche dormendo.
Brani
di riferimento:
·
Il
ripudio: Dt 24,1; Mt 5,31; 19,3-9.
·
Essere
giusti: Gn 15,4-6; Sir 44,17.
·
Gli
annunci di nascita: Gn 16,7-13; 17,1-19; 18,2-15; Gdc 13,3-22;
Lc 1,11-20.26-37.