Introduzione alla lectio di Gv 18,33-37

23 novembre 2003 - XXXIV domenica del tempo ordinario

Cristo Re

 

[33] Pilato entrò dunque di nuovo nel pretorio, chiamò Gesù e gli disse: "Tu sei il re dei Giudei?". [34] Gesù rispose: "Dici questo da te stesso, oppure altri te l’ hanno detto di me?". [35] Rispose Pilato: "Sono forse Giudeo io? La tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che hai fatto?". [36] Rispose Gesù: "Il mio regno non proviene da questo mondo; se il mio regno provenisse da questo mondo, le mie guardie avrebbero lottato per me, affinché non fossi consegnato ai Giudei. Ma il mio regno non proviene da qui". [37] Gli disse dunque Pilato: "Quindi tu sei re?". Rispose Gesù: "Tu dici che sono re. Per questo io sono nato e sono venuto nel mondo, per rendere testimonianza alla verità; chiunque proviene dalla verità ascolta la mia voce”.

*Le parole sottolineate sono parole-chiave per la meditatio

Annualmente la Festa di Cristo Re, nella domenica che chiude il tempo ordinario dell’anno liturgico, sottopone alla nostra attenzione la questione della “regalità” di Gesù di Nazareth, così come viene presentata dagli Evangeli. Proprio il brano di questa settimana costituisce uno dei momenti teologicamente più alti della riflessione evangelica su cosa voglia dire “essere re” secondo la prospettiva di Gesù.

Siamo di fronte alla narrazione del processo civile in Giovanni (che omette quello religioso davanti al sinedrio), che è molto più dettagliata di quella dei sinottici.  Il passo costituisce il secondo dei sette ‘quadri’ in cui si suole scandire l’episodio di Gesù davanti a Pilato, seguendo gli spostamenti del giudice romano, dentro e fuori il pretorio.

Può tornare utile, per inserire il nostro brano nel suo contesto narrativo, la seguente schematizzazione di queste scene (in neretto il nostro brano):  

1.        Pilato dialoga fuori coi Giudei sul capo d’accusa (18, 28-32).

2.        Gesù e Pilato, all’interno, dialogano sulla dignità regale (18, 33-38a).

3.        Pilato, fuori, proclama l’innocenza di Gesù; i Giudei reclamano Barabba (18, 38b-40).

4.        Gesù è incoronato di spine dentro il pretorio (19, 1-3).

5.        Pilato presenta l’ Ecce homo ai Giudei e lo dichiara innocente fuori dal pretorio (19, 4-7).

6.        Pilato interroga Gesù, all’interno, sulla sua origine: Da dove sei tu? (19, 8-11).

7.        Pilato proclama Gesù ‘re dei Giudei’ (Ecco il vostro re… Metterò in croce il vostro re?), ma è rifiutato e accusato di porsi contro Cesare dai Giudei fuori dal pretorio (19, 12-16).

 

Gesù è accusato dai Giudei di essersi autoproclamato loro “re”, che in altri termini vuol dire aver assegnato a se stesso l’identità di Messia. Dal punto di vista dell’autorità romana, che Pilato rappresenta, l’idea di Messia non riveste significato alcuno. Fin dall’inizio dell’interrogatorio, il governatore romano non mostra un grande interesse per il capo d’accusa rivolto a Gesù, se non per quel che riguarda l’eventualità di un attentato all’autorità romana, peraltro scarsamente probabile.

Mentre gli altri evangelisti ci presentano Gesù chiuso nel suo silenzio inafferrabile e lontano, trincerato dietro l’indecifrabile e ricorrente risposta: “Tu lo dici”, il Cristo di Giovanni, invece, dialoga con Pilato e offre la sua ultima testimonianza ‘verbale’, sintesi altissima di quella offerta negli anni della missione.

I nuclei portanti di questo dialogo, che consentono di mettere a fuoco l’idea di regalità incarnata da Gesù di Nazareth, appaiono tre: l’idea di “mondo”, l’idea di “verità”, l’idea di “ascolto”.

In Gv, il “mondo” appare come concetto contraddittorio, positivo e negativo insieme (cf. Gv 1,9; 1,10; 3,16-17; 14,15-17; 15,18-19; 17,9). Se è vero che “Dio ha tanto amato il mondo“ (Gv 3,16),  è altrettanto vero che Dio trascende il mondo. La sua sede è altrove. Pertanto anche il Figlio, che “era presso Dio” (Gv 1,1) ha la sua origine altrove.  Questa irriducibilità di Gesù alle logiche di questo mondo difficilmente può adattarsi agli schemi mentali di Pilato. L’alterità assoluta di Gesù da logiche di potere e violenza, sottolineata dal v. 36, rappresenta la presa di distanza da un’idea di “regalità” sbagliata.

Per chiarire allora la concezione di “regalità” di cui Gesù qui parla, occorre introdurre gli altri due concetti, “verità” e “ascolto”.

Gesù regna in quanto Testimone. Egli regna in quanto ascolta una Voce. Questa inabitazione della Voce in Gesù e questa sua attitudine ad essere tutto orientato all’ascolto di questa Voce, questa unicità della Voce e di Gesù (Gv 5,30), costituiscono quella Verità, di cui egli, storicamente, è testimone. In Gv la Verità non è mai qualcosa da comprendere, ma qualcosa da credere e da vivere. Lungi dall’essere un insieme di dottrine, la Verità è addirittura un Luogo: si può nascere da questo Luogo e si è invitati a ri-nascere (cf. Gv 3,7).

Lo scopo dell’esistenza di Gesù, come esistenza “regale”, è quello, individuato al v.37b, di consentire ad ogni uomo di ascoltare una voce. Già al c.10 Gesù aveva pennellato efficacemente la relazione che si instaura tra il buon pastore e le pecore che lo conoscono e lo ascoltano. E’ molto importante ritornare all’incontro con Nicodemo e al discorso del Buon Pastore per cogliere l’intreccio che Gv pone tra la rinascita dell’uomo e la sua attitudine all’ascolto e comprendere più in profondità il senso del v.37b, che chiude queste battute di dialogo con Pilato.

Quando, in 19,11 Gesù incalzerà Pilato dicendogli: “Tu non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall’alto”, Pilato, curiosamente, piuttosto che indignarsi, “da quel momento cercava di liberarlo” (19,12). C’è un’ironia di Giovanni dietro quest’atteggiamento? Si può pensare che la Parola di Gesù abbia regnato, sia pur per un attimo, nel cuore di Pilato?

Certo è che l’affermazione di Gesù in 19,11, incrociata con il nostro brano, contiene la radice di ogni atteggiamento antiidolatrico, che mette il singolo credente e la Chiesa tutta nelle condizioni di non avvicinarsi ai temi della regalità, del potere e dell’autorità con logica mondana. Ricondurre l’autorità “all’alto”, cioè a Dio, è azione gravida di conseguenze per la Chiesa.  Ne riceve ammonimento tutta la prassi ecclesiale relativa ai rapporti con i poteri di questo mondo. Ne riceve ammonimento ogni tentazione di flirtare e di co-regnare con i poteri di questo mondo. Ne riceve ammonimento ogni tentativo di esercitare sul mondo, col sostegno dei Pilato di turno, il potere di imporre valori, linguaggi e simboli che fanno appello alla libertà e non alla sudditanza degli uomini.

 


Brani di riferimento (oltre a quelli già citati) :

·           Sulla regalità nell’AT: Tutto il c. 8 di 1Sam.

·           Sull’immagine del re in Gv: 1,49; 6,15; 12,12-14; 18,39; 19, 3.12.15.19-22.

·           Per chiarire il rapporto fra testimonianza, verità, provenienza e ascolto: Gv 3, 31-36; 8, 13-59; sulla provenienza dalla verità, 1Gv 3,16-20.  

·           Sulla relazione di ascolto col Buon Pastore: Gv 10,1-16.