Introduzione alla lectio divina di Luca 6, 27-38
22 febbraio 2004 –VII domenica del tempo ordinario
(Matteo
5, 39-48; 7. 1-2.12)
[27] Ma a voi che ascoltate, io dico: amate
i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, [28] benedite coloro che vi maledicono,
pregate per coloro che vi calunniano. [29] A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche l'altra; a chi ti
leva il mantello, non rifiutare la tunica. [30]
Da’ a chiunque ti chiede; e a chi ti toglie il tuo, non richiederlo.
[31] Come volete che gli uomini facciano
a voi, fate similmente a loro. [32]
Se amate quelli che vi amano, che merito (lett. charis, esperienza di grazia, gratitudine) vi è? Perché anche i peccatori
amano quelli che li amano. [33]
E se fate del bene a coloro che vi fanno del bene, che merito vi è?
Anche i peccatori fanno lo stesso. [34]
E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, che merito vi è? Anche
i peccatori concedono prestiti ai peccatori per ricevere l’equivalente. [35] Amate piuttosto i vostri nemici, fate
del bene e prestate senza sperarne nulla, e il vostro premio sarà grande
e sarete figli dell'Altissimo; perché egli è benevolo verso gli ingrati
e malvagi. [36] Siate
misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro. [37] Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete
condannati; perdonate e vi sarà perdonato; [38] date e vi sarà dato; una misura buona, pigiata, scossa e traboccante
vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con cui misurate, sarà
rimisurato a voi". |
Quelle sottolineate sono parole ed espressioni chiave per la
meditatio.
Il
brano di questa settimana si pone in continuità sia spazio-temporale - Gesù si
trova ancora nel luogo pianeggiante con i discepoli e la moltitudine - sia
tematica con quello di domenica scorsa.
Se
al centro del discorso delle beatitudini e delle lamentazioni c’è il tema della
relazione con Dio e della possibile autoreferenzialità e chiusura dettata
dall’autosufficienza che può dominare il nostro rapporto con il Padre, nel
brano di questa settimana l’attenzione si sposta sulla relazione con i fratelli
nella quale analogamente siamo chiamati a testimoniare profeticamente
l’esperienza di grazia di cui siamo i primi beneficiari.
I
destinatari sono coloro che ascoltano Gesù (vs. 27) chiamati a fare, a mettere
in pratica la Parola. I primi versetti contengono una serie di imperativi
relativi all’amare i nemici, al fare del bene a chi ci odia, al benedire chi ci
maledice, al pregare per chi ci calunnia, di cui quelli successivi al primo
possono essere interpretati come esplicitazioni delle modalità in cui si può
realizzare questo amore.
L’amore
per il nemico, così come il “non fare agli altri quello che non vorresti sia
fatto a te” che viene ripreso al vs. 31, sono norme di solidarietà umana che
trovano riscontro sia nell’AT (Es 23, 4-5; Tb 4, 15; Pr 25, 21-22; Lv 19,
17-18) sia in autori pagani (Erodoto, l’ambiente filosofico degli Stoici,
Seneca, Confucio) che si attestano su posizioni filantropiche. Ciò che cambia
nel nostro brano non è tanto il contenuto quanto la prospettiva radicalmente
diversa con cui amare il nemico. C’è una radicalizzazione del comandamento
dell’amore per il prossimo rispetto a quanto detto già nell’AT (cfr. Levitico
19, 17-18) che viene proprio dalla novità del Regno di Dio che Gesù annuncia e
inaugura (cfr. Lc 4, 18-19).
L’amore
che viene richiesto non è un sentimento di simpatia (filein) ma una volontà che implica un’azione. Non si tratta
soltanto di astenersi dal rispondere al male con il male, dal momento che non
ci viene richiesta soltanto una passività di fronte al male, ma di compiere una
scelta consapevole con cui decidiamo come gestire lo spazio di libertà che ci
viene aperto con le beatitudini, in cui siamo invitati a entrare nell’opera di
Dio. L’esperienza della grazia non è per noi un fatto compiuto ma è una storia
da vivere nella relazione con l’altro.
In
questo senso l’amore per i nemici diventa il modo di ascoltare e fare ciò che
rivelano le beatitudini, è la realizzazione della nostra esperienza di grazia.
La
triplice domanda sulla grazia: (vss. 32-34) sottolinea ciò che è in gioco:
perseguire o meno una logica del do ut
des, accettare o rifiutare l’esperienza di grazia, lasciarsi investire e
stravolgere dalla gratuità della misericordia del Padre, essere veri o falsi
profeti.
Infatti
è proprio grazie alla misericordia del Padre che la legge della reciprocità
(vs. 31) diventa legge della sovrabbondanza (vs. 38). L’iniziativa della
sovrabbondanza appartiene ancora una volta a Dio, ciò che possiamo fare per
vivere sino in fondo l’esperienza della relazione con Lui è accordare il nostro
modo di agire alla grazia sovrabbondante che ci è stata donata. L’essere sempre
pronti a dare più di ciò che ci viene chiesto o senza voler nulla in cambio non
è altro che il traboccare della misericordia di cui il Padre ci riempie.
Ciò
comporta anche di evitare un atteggiamento di superiorità. Nel non giudicare
non si tratta di evitare il discernimento ma di evitare la critica (cfr. Lc 6,
41-42; Rm 14, 10) che ci impedisce un atteggiamento di perdono.
“Il
perdono, trasformando le relazioni umane, possiede una capacità di rivelazione
del volto originale di Dio“ (Duquoc, Il
perdono di Dio, pp. 57-59).
Anche
questo brano che potrebbe sembrare soltanto un modello etico con cui
confrontarsi, ci rivela ancora una volta la dolcezza del volto di Dio, ci dice
qualcosa in più della nostra relazione con Lui che ci ama per primo, senza
aspettarsi un ritorno, con un amore che è costato la morte del Suo Figlio.
Chi
si lascia penetrare e invadere dalla misericordia del Padre, vede nascere
dentro di sé una nuova creatura, l’“essere figlio dell’Altissimo” (cfr. Sir 4,
10-11), la relazione filiale con Dio, che è più di una ricompensa, è esperienza
di grazia traboccante.
Riferimenti:
Ø Sull’amore
del nemico: 1Sam 26, 1-12; Rm 12, 14 -21; 1 Pt 3, 8-9.
Ø Sul
perdono tra fratelli: Lc 17, 3-4; Col 3,12; 1Cor 6,7.
Ø Sul
fondamento dell’etica: Lv 19,2; Dt 18, 13; Mt 5,48.
Ø Sulla
misericordia: Es. 34, 6-7; Num. 14, 17-20; Sal 103, 8-13; Sal. 145; Lc. 1,
50.54; Lc. cap. 15; Ef. 2, 4, Gc. 5, 11.