Introduzione alla Lectio di Mc 9, 30-37 - 21 settembre 2003
XXV domenica del tempo ordinario
[33] Giunsero intanto a Cafarnao. E quando fu in casa,
chiese loro: "Di che cosa stavate discutendo lungo la via?"
[34] Ed essi tacevano. Per la via infatti avevano discusso tra loro
chi fosse il più grande. [35] Allora, sedutosi, chiamò i Dodici e disse
loro: "Se uno vuol essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il
servo di tutti". [36] E, preso un bambino, lo pose in mezzo e abbracciandolo
disse loro: [37] "Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome,
accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato". |
La predicazione di Gesù, scandita da molti eventi miracolosi, attira grandi folle (8, 34; 9, 14; 10, 1) e suscita meraviglia (9, 15). Gesù sa però che la via che sta percorrendo lo porterà verso la morte e cerca in tutti i modi di farlo comprendere ai suoi discepoli. Non si tratta solo di una premurosa attenzione verso le persone a lui più vicine, che vedranno morire l'uomo che da quasi tre anni seguono e in cui riconoscono il Messia (8, 29), ma qualcosa di molto più importante. E' essenziale infatti che i discepoli capiscano quello che sta per avvenire perché solo alla luce della croce potranno capire il vero senso di ciò che Gesù ha insegnato loro. L'annuncio della propria morte che Gesù dà al v. 31 verrà infatti ripetuto in 10, 33-34 e richiama quello già dato in 8, 31, segno della necessità che i discepoli decidano una buona volta di fare i conti con questa realtà.
I tre annunci sono infatti seguiti da reazioni sconcertate e più ancora sconcertanti da parte dei discepoli che una volta lo prendono da parte per rimproverarlo (Pietro, al v. 8, 32), un'altra non trovano di meglio da fare che imbastire una discussione su chi fosse il più grande tra loro (9, 34), per finire con la richiesta di Giacomo e Giovanni di potere "sedere nella gloria uno alla destra e uno alla sinistra" di Gesù (10, 37), suscitando peraltro lo "sdegno" degli alri discepoli (10, 41).
E' evidente che queste reazioni segnalano una debolissima comprensione da parte dei discepoli del messaggio di Gesù e, soprattutto negli ultimi due casi, potrebbero essere persino viste come il segno di uno scarso interesse verso la stessa sorte del loro Messia, la cui annunciata morte non suscita in loro alcuna preoccupazione né dolore. Questa ipotesi è però contraddetta dal timore da cui sono presi i Dodici (9, 32; 10, 32), che non ardiscono neanche chiedere spiegazioni su quello che hanno sentito, ma non compreso.
La reazione dei discepoli è piuttosto quella di chi cerca in tutti i modi di allontanare gli eventi più drammatici, rifugiandosi nella quotidianità e nella normalità più rassicuranti. Le stesse dispute sulla grandezza tra i discepoli, per noi difficilmente comprensibili nel contesto narrato, erano infatti il frutto di una mentalità ebraica sempre molto attenta a valutare quale posto spettasse a ciascuno in ogni attività (Mc 12, 39; Lc 14, 7-10) e quindi va senz'altro ridotta la portata paradossale di quelle discussioni in risposta agli annunci di Gesù. Va piuttosto segnalato che, pur nella loro incompiuta comprensione del messaggio di Gesù, i discepoli sanno bene che la ricerca dei "primi posti" contrasta con tutto quello che lui ha insegnato loro, come dimostra il loro silenzio (v. 34) in risposta alla domanda di Gesù su cosa stessero discutendo lungo la via.
Quella che i discepoli non vogliono abbandonare è in realtà l'immagine rassicurante di un dio a misura degli uomini, costruito sulle loro aspettative di potenza e di gloria, che non può conoscere la morte e la sconfitta. E' forse l'immagine più pericolosa per l'uomo, satanica secondo il rimprovero di Gesù a Pietro (8, 33), in quanto capace di privarlo della possibilità di salvezza che sarà costituita sì dalla vittoria sulla morte, ma da parte di chi la morte ha conosciuto e attraversato in tutta la sua drammaticità.
Gesù conosce bene la difficoltà di questo passaggio, sperimenterà lui stesso il timore dell'abbandono delle logiche umane per consegnarsi alla volontà del Padre (14, 36), e proprio per questo la sua pazienza è infinita nei confronti dei Dodici, che chiama intorno a sé per aiutarli a comprendere. L'importanza di quanto Gesù sta dicendo ai discepoli è segnalata dal fatto che si segga in mezzo a loro (v. 35), come avviene solo quando deve impartire grandi insegnamenti (4,1-34; 13, 3-37).
L'invito ai discepoli a farsi ultimi per essere primi non è un insegnamento morale, né tanto meno una norma di buona educazione contro l'esibizionismo di chi sceglie sempre i primi posti, ma piuttosto è la chiave di lettura offerta ai discepoli per comprendere l'annuncio della morte di Gesù. E' Gesù quello che si fa ultimo morendo sulla croce, nel modo più ignominioso e vergognoso per un ebreo, scegliendo di diventare il servo di tutti. E' questa la grandezza che i Dodici, e tutti i cristiani, devono imparare da Lui e dalla quale si devono lasciare conquistare e salvare.
Il riconoscimento della grandezza nella debolezza e della possibilità di vittoria sulla morte non sono insegnamenti consegnati solo ai discepoli nell'imminenza della morte del loro Messia. L'accoglienza dei bambini, gli ultimi della società in quanto privi di diritti, indicata al v. 37 come modalità di accoglienza di Gesù stesso e in ultima analisi del Padre, rimane infatti una consegna per tutti i cristiani. Non è possibile un rapporto "immediato" con il Padre senza passare dal Figlio (e quindi dalla sua esperienza di croce, seguita dalla Resurrezione) (Gv 14, 6-11), ma non è possibile neanche un rapporto con il Figlio se non lo si sa riconoscere negli ultimi di ogni società (Mt 25, 31-45).
Altri brani di
riferimento
Insegnamenti nella "casa": Mc 1, 29; 2,1.15; 3, 20; 7, 17.24; 9,28
Il Figlio dell'uomo: Ez 2, 1-5; Dn 7, 13; Mc 2, 10; 2, 28; At 7, 56; Ap 1, 13; 14, 14