Lectio divina di Gv 15, 1-17 – domeniche 21.05.2000 e 28.05.2000

5^ e 6^ domenica di Pasqua

[1] "Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. [2] Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo monda perché porti più frutto. [3] Voi siete già mondi, per la parola che vi ho annunziato. [4] Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. [5] Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. [6] Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano. [7]Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi accadrà. [8] In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e siate miei discepoli.

[9] Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. [10] Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. [11] Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. [12] Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. [13] Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. [14] Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. [15] Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi. [16] Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. [17] Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri.

 

*Le parole sottolineate sono parole-chiave per la meditatio

Il c.15 di Gv si situa all'interno del lungo discorso di addio che l'Evangelista fa pronunciare a Gesù durante l'ultima cena. Gesù spiega il senso del suo movimento di autospogliazione volontaria e indica i percorsi concreti che i discepoli dovranno compiere per renderlo presente. Gesù rivela anche i discepoli a se stessi. Nel c.15 essi sono chiamati a cogliere la loro vera identità come identità relazionale. Per far ciò egli utilizza la metafora, notissima all'AT, della vigna. La vigna nell'AT era identificata come il popolo di Dio: l'originalità di Gv consiste nell'avere trasformato un soggetto collettivo in una persona: Gesù di Nazareth. Con Gesù di Nazareth il rapporto dell'uomo con Dio si pone in termini di tralcio-vignaiolo, quindi in un'ottica di sostanziale impraticabilità, perché non c'è relazione diretta tra questi due soggetti. Il tralcio, infatti, può cogliersi come tale perché c'è un ceppo che lo fa esistere come tralcio.

Il tralcio avrebbe un esistenza insensata senza la "vite vera" che lo sostiene e gli consente di vivere, ovvero di portar frutto. Dunque al tralcio non spetta di "far qualcosa" bensì di "rimanere in qualcosa", anzi in qualcuno. Gesù ripete quasi ossessivamente questo verbo (rimanere), che diviene così emblema dell'atteggiamento interiore di ogni credente. La fede è un radicarsi, un rimanere, ma non in senso emotivo-mistico, bensì nel concreto delle "parole" (vv. 3.7). Non è tanto un'idea vaga di Gesù quella in cui occorre rimanere, bensì il Gesù-Parola di Dio.

Ciò non avverrebbe senza un vignaiolo (v.1), senza Colui che ci appare il primum movens di questo grande affresco. Se fin qui sono stati delineati i soggetti e le condizioni di una relazione, a partire dal v.9 cominciano a essere delineati i contenuti e gli scopi di questa relazione. Da che cosa è sostanziata l'unità dei tralci alla vite e della vite al vignaiolo? Da un atto di amore che muove dal Padre e viene riprodotto dal Figlio. Il Padre e il Figlio sono i maestri dell'amore. Ai discepoli occorre "rimanere", occorre cioè cogliere in se stessi questa potenzialità agapica che consiste in un guardare l'altro con gli occhi di Gesù.

Giovanni non abbandona, neppure in questa seconda tranche del discorso, l'idea di fondo del rimanere e l'immagine del frutto. Anzi, la seconda appare strettamente dipendente dalla prima. Portare frutto, in Gv, significa essenzialmente quattro movimenti essenziali della vita cristiana: 1) il riconoscimento di un ceppo a cui si appartiene; 2) un'attitudine al farsi nutrire da questo ceppo intesa come ascolto; 3) una tensione agapica verso gli altri "tralci" (fruttuosi e non fruttuosi); 4) un atteggiamento di preghiera (vv.7.16). Appartenenza, ascolto, comunione fraterna, preghiera: la vita cristiana, ancora una volta, ci si presenta in termini responsoriali. Sulla capacità delle nostre chiese di essere responsoriali e non autoreferenziali si giocherà la possibilità che "il vostro frutto rimanga" (v.16).

Brani di riferimento (oltre a quelli già citati) :

 

Meditazione su Gv 15,1-8

Meditazione su Gv 15,9-17