Introduzione
alla lectio divina su Gv 1, 1-10
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Aprile 2002-domenica IV Pasqua
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*Quelle sottolineate sono le parole chiave per la
meditatio
Con il brano giovanneo di
questa settimana si riprende il filo delle rivelazioni che Gesù fa di sé e dei
motivi della sua missione. Se ne era avuta una anticipazione con l’episodio del
cieco nato, prototipo dell’uomo che ascolta e segue con fede, nel quale Gesù si
era presentato come “luce del mondo”. Tuttavia questo brano si lega anche a
quello di domenica scorsa poiché Gesù ci parla di sé, come ha fatto con i
discepoli di Emmaus, e si propone come attualizzazione vivente delle promesse
veterotestamentarie.
Il discorso di Gesù è un
discorso figurato e come tale procede per immagini: il pastore, l’ovile, le
pecore, il trovare pascolo. Immagini che dovevano essere molto familiari per
chi ascoltava Gesù ed apparteneva ad una società dedita alla pastorizia. Ancora
più familiari perché già nell’Antico Testamento tanti sono i riferimenti al
popolo di Israele come ad un gregge (Num. 27, 15-17, Sal. 95, 7; Ger. 23-3-4;
Ez. 34; Mic. 2, 12) su cui Dio vigila e di cui si prende cura.
In questo brano Gesù
presenta se stesso e la sua missione non solo affermando ciò che è ma anche
attraverso antitesi, in cui contrappone il pastore a chi vuole ingannare il
popolo di Dio. In questi primi versetti del capitolo infatti il nucleo centrale
riguarda il modo di approccio alle pecore che contrappone il pastore da chi è
un ladro o un brigante, ossia chi non ha a cuore il bene delle pecore ma ne
vuole la rovina. In questa prima parte del brano viene semplicemente accennato
il rapporto tra il pastore e le pecore che verrà poi approfondito nei versetti
successivi, in cui Gesù parlerà di sé come buon pastore.
Qui la figura del pastore è
delineata nei tratti che ne sottolineano la confidenza e il prendersi cura
delle pecore: le chiama per nome, le conduce fuori una ad una assicurandosi che
tutte lo seguano, va davanti a loro. Da parte loro, le pecore fanno ciò che i
discepoli sono chiamati a fare: ascoltare e seguire il pastore. E’ proprio
grazie a questa reciproca conoscenza che c’è tra il pastore e le pecore che
queste ultime non danno ascolto a nessuno se non al pastore.
Nella seconda parte del
brano la formula “io sono” che introduce il discorso rivelativo è maggiormente
messa in evidenza dal contesto polemico dei versetti precedenti. Gesù dice di
sé di essere porta secondo una duplice accezione.
Nella prima rivelazione
Gesù sottolinea il suo essere “porta delle pecore”, ossia il mezzo attraverso
cui il pastore si accosta alle pecore. A differenza dei falsi pastori, soltanto
chi vuole effettivamente il bene delle pecore, chi vuole effettivamente
condurre il gregge di Dio si avvicina ad esse dalla porta, passa attraverso
Gesù e non può prescindere da lui.
Nella seconda rivelazione
invece Gesù si definisce soltanto “porta”, senza alcuna specificazione, porta
che conduce all salvezza, questa volta porta non per il pastore ma per le
pecore stesse, che attraverso la porta possono giungere al pascolo, dove
trovano il nutrimento per la loro vita. Sono libere di entrare e uscire per quella
libertà che viene dalla fedeltà alla parola e dal conoscere la verità (Gv. 8,
32).
Anche il “trovare pascolo”
è una espressione veterotestamentaria, immagine dell’assistenza divina (Sal.
23, 2) che qui viene reinterpretata in senso escatologico, Gesù come porta che
conduce al pascolo è la via per la salvezza (Gv. 14, 6) è il rivelatore e il
portatore di salvezza. La sua venuta è per dare all’uomo la vita nella sua
pienezza, al suo più alto livello in quanto vita eterna.
Brani di riferimento:
Alcuni brani di riferimento
sono indicati nel corpo del testo.
Su Gesù pastore tutto il cap.
10.
da ora e per le prossime domeniche pasquali questa lectio sarà relativa ad una delle letture dell'antica alleanza lette durante la veglia di Pasqua |