Lectio divina di Lc 15,1-3; 11-32 – domenica
21.03.2004
IV di Quaresima
[1] Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori
per ascoltarlo. [2] I farisei e gli scribi mormoravano: "Costui
accoglie i peccatori e mangia con loro". [3]Allora egli disse loro
questa parabola: [11]"Un uomo aveva due figli. [12] Il più giovane
disse al padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta.
E il padre divise tra loro le sostanze.
[13] Dopo non molti giorni, il figlio più giovane,
raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò
le sue sostanze vivendo da dissoluto. [14] Quando ebbe speso tutto,
in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi
nel bisogno. [15] Allora andò e si unì a uno degli abitanti di quella
regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci. [16] Avrebbe voluto
saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava.
[17] Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti
salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio
di fame! [18] Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato
contro il Cielo e contro di te; [19] non sono più degno di esser chiamato
tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni. [20] Partì e si incamminò
verso suo padre. Quando era ancora lontano il padre lo vide e profondamente
commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. [21]Il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. [22] Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l'anello al dito e i calzari ai piedi. [23]Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, [24]perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa. [25]Il
figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a
casa, udì la musica e le danze; [26]chiamò un servo e gli domandò che
cosa fosse tutto ciò. [27]Il servo gli rispose: E' tornato tuo fratello
e il padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto
sano e salvo. [28]Egli si arrabbiò, e non voleva entrare. Il padre allora
uscì a pregarlo. [29] Ma lui rispose a suo padre: Ecco, io ti servo
da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai
dato mai un capretto per far festa con i miei amici. [30]Ma ora che
questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato,
per lui hai ammazzato il vitello grasso. [31]Gli rispose il padre: Figlio,
tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; [32]ma bisognava
far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato
in vita, era perduto ed è stato ritrovato". |
*quelle
sottolineate sono parole ed espressioni chiave per la meditatio
Il
contesto del brano è polemico. Si tratta infatti di rispondere alla
mormorazione dei farisei e degli scribi in un modo che mette in luce una
differente concezione di Dio e soprattutto una differente percezione della
relazione tra Dio e l’uomo.
Che uomini sono quelli con i quali Gesù si
intrattiene? Quelli che accoglie, con cui sta a tavola e a cui parla (“per
ascoltarlo”, v.1)? Per i farisei e gli scribi quegli uomini sono una categoria
immutabile, irreversibile, atemporale. Sono “i peccatori” (v.1). A Gesù non
interessa fare una disquisizione sui peccatori, per cercar di stabilire cosa
essi siano in realtà. La risposta di
Gesù è narrativa. Quella di Luca altrettanto.
Questa scelta è già un modo di dire Dio e di
dire l’uomo. La narrazione infatti
differisce radicalmente dalla definizione
perché mette in gioco una categoria cruciale della relazione uomo-Dio: il
tempo. Narrare significa istituire uno spazio in cui le cose hanno uno sviluppo
nella libertà.
E in effetti già le due micronarrazioni che
precedono il nostro brano presentano uno schema analogo: perdita – ricerca –
ritrovamento – gioia comunitaria. Ciò che è perduto non è perduto
irrimediabilmente perché c’è chi lo cerca. Questa ricerca è un modo di dire
Dio. La congiunzione “finché” (vv.4.8) segnala un tempo: il tempo della
ricerca. Questa ricerca è appassionata, ansiosa, attenta. E avviene, appunto, finché non giunge a compimento.
Nel
nostro brano è il rapporto dei tre protagonisti col tempo, la loro concezione
pratica del tempo che individua i termini della relazione dell’uomo con Dio.
Il figlio minore, nel tempo della relazione
col Padre, non è riuscito a godere. Cerca la libertà. Sottrae una parte della
“vita” (ton bion, v.12) al Padre ed entra in un tempo nuovo. Il Padre lo lascia
libero e consegna una parte della sua vita. Questa parte il Figlio la sperpera.
Ciò che era in comune col Padre egli
lo spende. Ma senza ciò che era in comune col Padre egli non è più nulla. Il
suo è un tempo di degradazione. Si unisce
(kollasthai, v.15) ad un pagano e pascola animali impuri. E’ al colmo della lontananza. A questo colmo, egli rientra
in sé (v.17). E gli riaffiora, nel ricordo, ciò che era “in comune”. La
relazione non si è mai sbiadita del tutto. Non è chiara la “purezza” di questo
ricordo. Pentimento? Nostalgia? Bisogno? Non è l’interesse di Luca. Non è la
storia dei figli, questa. E’ la storia del Padre. Come che sia, il giovane decide. Dal tempo della relazione
insoddisfatta, al tempo dell’allontanamento, al tempo del ritorno. Il figlio
giovane per Gesù non è una categoria immutabile. Il figlio giovane è un uomo
nel tempo.
Ma in questo tempo di degradazione, il Padre
che ha fatto? Il testo non lo dice esplicitamente, ma le due micronarrazioni
precedenti avevano mostrato che chi perde qualcosa la cerca. Il Padre non si è
mosso da casa, ma tutto lascia pensare che il suo cuore non abbia smesso,
incessantemente, spasmodicamente, dentro i più oscuri meandri della memoria, di
cercare il figlio. Di cercarlo, di sperarlo, di amarlo. Che il figlio,
rientrato in se stesso, abbia oscuramente percepito tutto ciò?
Al v. 20 il tempo del figlio e il tempo del
Padre si incrociano. Ma del suo tempo il figlio non ha più il governo. La
strada che ancora li separa (“era ancora lontano”) non la compie il figlio, ma
il Padre. Un Padre che corre, accorcia spazi, tempi e parole e ricompone la
relazione: gli si gettò al collo e lo baciò. Alla lentezza del figlio che
prepara un “discorso” per rientrare, comunque sia, in casa corrisponde la velocità
del Padre, che tronca il discorso del figlio con una parola che dice tutto
dell’amore di Dio: presto (v.22). La festa deve iniziare “presto”. E’ finito il
tempo della lontananza, non c’è tempo per parole che rendano “degna”,
quand’anche ci sia stata, la conversione. Non c’è tempo per l’uomo quando Dio
lo riabbraccia. Non è lecito – e Lc se ne guarda bene – interrogarsi sulla
purezza delle motivazioni del figlio. Saranno pure inquinate, ma è il Padre a
purificarle: con la sua gioia, col suo amore.
Brani di riferimento:
·
Os
11,1-8; Rm 5,8; 1Gv 4,10;
Lc 5,31-32.