Lectio
divina della Passione secondo Matteo (Mt 26,14 – 27,54)
Domenica
delle Palme – 20.03.2005
La
cena pasquale
[14]Allora
uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai sommi sacerdoti [15]e disse:
"Quanto mi volete dare perché io ve lo consegni?". E quelli gli fissarono
trenta monete d'argento. [16]Da quel momento cercava l'occasione propizia
per consegnarlo.
[17]Il
primo giorno degli Azzimi, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero:
"Dove vuoi che ti prepariamo, per mangiare la Pasqua?". [18]Ed egli
rispose: "Andate in città, da un tale, e ditegli: Il Maestro ti manda a
dire: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli".
[19]I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua.
[20]Venuta
la sera, si mise a mensa con i Dodici. [21]Mentre mangiavano disse: "In
verità io vi dico, uno di voi mi tradirà". [22]Ed essi, addolorati
profondamente, incominciarono ciascuno a domandargli: "Sono forse io,
Signore?". [23]Ed egli rispose: "Colui che ha intinto con me la mano
nel piatto, quello mi tradirà. [24]Il Figlio dell'uomo se ne va, come è scritto
di lui, ma guai a colui dal quale il Figlio dell'uomo viene tradito; sarebbe
meglio per quell'uomo se non fosse mai nato!". [25]Giuda, il traditore,
disse: "Rabbì, sono forse io?". Gli rispose: "Tu l'hai
detto".
[26]Ora,
mentre essi mangiavano, Gesù prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo
spezzò e lo diede ai discepoli dicendo: "Prendete e mangiate; questo è il
mio corpo". [27]Poi prese il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede
loro, dicendo: "Bevetene tutti, [28]perché questo è il mio sangue
dell'alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati. [29]Io vi dico che
da ora non berrò più di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò
nuovo con voi nel regno del Padre mio".
[30]E
dopo aver cantato l'inno, uscirono verso il monte degli Ulivi. [31]Allora Gesù
disse loro: "Voi tutti vi scandalizzerete per causa mia in questa notte.
Sta scritto infatti:
Percuoterò il
pastore
e saranno disperse le pecore del gregge,
[32]ma
dopo la mia risurrezione, vi precederò in Galilea". [33]E Pietro gli
disse: "Anche se tutti si scandalizzassero di te, io non mi scandalizzerò
mai". [34]Gli disse Gesù: "In verità ti dico: questa notte stessa,
prima che il gallo canti, mi rinnegherai tre volte". [35]E Pietro gli
rispose: "Anche se dovessi morire con te, non ti rinnegherò". Lo
stesso dissero tutti gli altri discepoli.
[36]Allora
Gesù andò con loro in un podere, chiamato Getsèmani, e disse ai discepoli:
"Sedetevi qui, mentre io vado là a pregare". [37]E presi con sé
Pietro e i due figli di Zebedèo, cominciò a provare tristezza e angoscia.
[38]Disse loro: "La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e
vegliate con me". [39]E avanzatosi un poco, si prostrò con la faccia a
terra e pregava dicendo: "Padre mio, se è possibile, passi da me questo
calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!". [40]Poi tornò dai
discepoli e li trovò che dormivano. E disse a Pietro: "Così non siete
stati capaci di vegliare un'ora sola con me? [41]Vegliate e pregate, per non
cadere in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole". [42]E di
nuovo, allontanatosi, pregava dicendo: "Padre mio, se questo calice non
può passare da me senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà". [43]E
tornato di nuovo trovò i suoi che dormivano, perché gli occhi loro si erano
appesantiti. [44]E lasciatili, si allontanò di nuovo e pregò per la terza
volta, ripetendo le stesse parole. [45]Poi si avvicinò ai discepoli e disse
loro: "Dormite ormai e riposate! Ecco, è giunta l'ora nella quale il
Figlio dell'uomo sarà consegnato in mano ai peccatori. [46]Alzatevi, andiamo;
ecco, colui che mi tradisce si avvicina".
[47]Mentre
parlava ancora, ecco arrivare Giuda, uno dei Dodici, e con lui una gran folla
con spade e bastoni, mandata dai sommi sacerdoti e dagli anziani del popolo.
[48]Il traditore aveva dato loro questo segnale dicendo: "Quello che
bacerò, è lui; arrestatelo!". [49]E subito si avvicinò a Gesù e disse:
"Salve, Rabbì!". E lo baciò. [50]E Gesù gli disse: "Amico, per
questo sei qui!". Allora si fecero avanti e misero le mani addosso a Gesù
e lo arrestarono. [51]Ed ecco, uno di quelli che erano con Gesù, messa mano
alla spada, la estrasse e colpì il servo del sommo sacerdote staccandogli un
orecchio.
[52]Allora
Gesù gli disse: "Rimetti la spada nel fodero, perché tutti quelli che
mettono mano alla spada periranno di spada. [53]Pensi forse che io non possa
pregare il Padre mio, che mi darebbe subito più di dodici legioni di angeli?
[54]Ma come allora si adempirebbero le Scritture, secondo le quali così deve
avvenire?". [55]In quello stesso momento Gesù disse alla folla: "Siete
usciti come contro un brigante, con spade e bastoni, per catturarmi. Ogni
giorno stavo seduto nel tempio ad insegnare, e non mi avete arrestato. [56]Ma
tutto questo è avvenuto perché si adempissero le Scritture dei profeti".
Allora tutti i discepoli, abbandonatolo, fuggirono.
[57]Or
quelli che avevano arrestato Gesù, lo condussero dal sommo sacerdote Caifa,
presso il quale gia si erano riuniti gli scribi e gli anziani. [58]Pietro
intanto lo aveva seguito da lontano fino al palazzo del sommo sacerdote; ed
entrato anche lui, si pose a sedere tra i servi, per vedere la conclusione.
[59]I
sommi sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano qualche falsa testimonianza
contro Gesù, per condannarlo a morte; [60]ma non riuscirono a trovarne alcuna, pur
essendosi fatti avanti molti falsi testimoni. [61]Finalmente se ne presentarono
due, che affermarono: "Costui ha dichiarato: Posso distruggere il tempio
di Dio e ricostruirlo in tre giorni". [62]Alzatosi il sommo sacerdote gli
disse: "Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di
te?". [63]Ma Gesù taceva. Allora il sommo sacerdote gli disse: "Ti
scongiuro, per il Dio vivente, perché ci dica se tu sei il Cristo, il Figlio di
Dio". [64]"Tu l'hai detto, gli rispose Gesù, anzi io vi dico:
d'ora innanzi
vedrete il Figlio dell'uomo
seduto alla destra di Dio,
e venire sulle nubi del cielo".
[65]Allora
il sommo sacerdote si stracciò le vesti dicendo: "Ha bestemmiato! Perché
abbiamo ancora bisogno di testimoni? Ecco, ora avete udito la bestemmia;
[66]che ve ne pare?". E quelli risposero: "E' reo di morte!".
[67]Allora gli sputarono in faccia e lo schiaffeggiarono; altri lo bastonavano,
[68]dicendo: "Indovina, Cristo! Chi è che ti ha percosso?".
[69]Pietro
intanto se ne stava seduto fuori, nel cortile. Una serva gli si avvicinò e
disse: "Anche tu eri con Gesù, il Galileo!". [70]Ed egli negò davanti
a tutti: "Non capisco che cosa tu voglia dire". [71]Mentre usciva
verso l'atrio, lo vide un'altra serva e disse ai presenti: "Costui era con
Gesù, il Nazareno". [72]Ma egli negò di nuovo giurando: "Non conosco
quell'uomo". [73]Dopo un poco, i presenti gli si accostarono e dissero a
Pietro: "Certo anche tu sei di quelli; la tua parlata ti tradisce!".
[74]Allora egli cominciò a imprecare e a giurare: "Non conosco
quell'uomo!". E subito un gallo cantò. [75]E Pietro si ricordò delle
parole dette da Gesù: "Prima che il gallo canti, mi rinnegherai tre
volte". E uscito all'aperto, pianse amaramente.
Il
processo romano
[1]Venuto
il mattino, tutti i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo tennero consiglio
contro Gesù, per farlo morire. [2]Poi, messolo in catene, lo condussero e
consegnarono al governatore Pilato.
[3]Allora
Giuda, il traditore, vedendo che Gesù era stato condannato, si pentì e riportò
le trenta monete d'argento ai sommi sacerdoti e agli anziani [4]dicendo:
"Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente". Ma quelli dissero:
"Che ci riguarda? Veditela tu!". [5]Ed egli, gettate le monete
d'argento nel tempio, si allontanò e andò ad impiccarsi. [6]Ma i sommi
sacerdoti, raccolto quel denaro, dissero: "Non è lecito metterlo nel
tesoro, perché è prezzo di sangue". [7]E tenuto consiglio, comprarono con
esso il Campo del vasaio per la sepoltura degli stranieri. [8]Perciò quel campo
fu denominato "Campo di sanguè'fino al giorno d'oggi. [9]Allora si adempì
quanto era stato detto dal profeta Geremia: E presero trenta denari
d'argento, il prezzo del venduto, che i figli di Israele avevano
mercanteggiato, [10]e li diedero per il campo del vasaio, come mi aveva
ordinato il Signore.
[11]Gesù
intanto comparve davanti al governatore, e il governatore l'interrogò dicendo:
"Sei tu il re dei Giudei?". Gesù rispose "Tu lo dici".
[12]E mentre lo accusavano i sommi sacerdoti e gli anziani, non rispondeva nulla.
[13]Allora Pilato gli disse: "Non senti quante cose attestano contro di
te?". [14]Ma Gesù non gli rispose neanche una parola, con grande
meraviglia del governatore.
[15]Il
governatore era solito, per ciascuna festa di Pasqua, rilasciare al popolo un prigioniero,
a loro scelta. [16]Avevano in quel tempo un prigioniero famoso, detto Barabba.
[17]Mentre quindi si trovavano riuniti, Pilato disse loro: "Chi volete che
vi rilasci: Barabba o Gesù chiamato il Cristo?". [18]Sapeva bene infatti
che glielo avevano consegnato per invidia.
[19]Mentre
egli sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: "Non avere a che
fare con quel giusto; perché oggi fui molto turbata in sogno, per causa
sua". [20]Ma i sommi sacerdoti e gli anziani persuasero la folla a richiedere
Barabba e a far morire Gesù. [21]Allora il governatore domandò: "Chi dei
due volete che vi rilasci?". Quelli risposero: "Barabba!".
[22]Disse loro Pilato: "Che farò dunque di Gesù chiamato il Cristo?".
Tutti gli risposero: "Sia crocifisso!". [23]Ed egli aggiunse:
"Ma che male ha fatto?". Essi allora urlarono: "Sia
crocifisso!".
[24]Pilato,
visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto cresceva sempre più, presa
dell'acqua, si lavò le mani davanti alla folla: "Non sono responsabile,
disse, di questo sangue; vedetevela voi!". [25]E tutto il popolo rispose:
"Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli".
[26]Allora rilasciò loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo
consegnò ai soldati perché fosse crocifisso.
[27]Allora
i soldati del governatore condussero Gesù nel pretorio e gli radunarono attorno
tutta la coorte. [28]Spogliatolo, gli misero addosso un manto scarlatto [29]e,
intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo, con una canna nella
destra; poi mentre gli si inginocchiavano davanti, lo schernivano: "Salve,
re dei Giudei!". [30]E sputandogli addosso, gli tolsero di mano la canna e
lo percuotevano sul capo. [31]Dopo averlo così schernito, lo spogliarono del
mantello, gli fecero indossare i suoi vestiti e lo portarono via per
crocifiggerlo.
[32]Mentre
uscivano, incontrarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a
prender su la croce di lui. [33]Giunti a un luogo detto Gòlgota, che significa
luogo del cranio, [34]gli diedero da bere vino mescolato con fiele;
ma egli, assaggiatolo, non ne volle bere. [35]Dopo averlo quindi crocifisso, si
spartirono le sue vesti tirandole a sorte. [36]E sedutisi, gli
facevano la guardia. [37]Al di sopra del suo capo, posero la motivazione
scritta della sua condanna: "Questi è Gesù, il re dei Giudei".
[38]Insieme
con lui furono crocifissi due ladroni, uno a destra e uno a sinistra.
[39]E
quelli che passavano di là lo insultavano scuotendo il capo e dicendo:
[40]"Tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te
stesso! Se tu sei Figlio di Dio, scendi dalla croce!". [41]Anche i sommi
sacerdoti con gli scribi e gli anziani lo schernivano: [42]"Ha salvato gli
altri, non può salvare se stesso. E' il re d'Israele, scenda ora dalla croce e
gli crederemo. [43]Ha confidato in Dio; lo liberi lui ora, se gli
vuol bene. Ha detto infatti: Sono Figlio di Dio!". [44]Anche i ladroni
crocifissi con lui lo oltraggiavano allo stesso modo.
[45]Da
mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio si fece buio su tutta la terra.
[46]Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: "Elì, Elì, lemà sabactàni?",
che significa: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?".
[47]Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: "Costui chiama
Elia". [48]E subito uno di loro corse a prendere una spugna e, imbevutala di
aceto, la fissò su una canna e così gli dava da bere. [49]Gli altri
dicevano: "Lascia, vediamo se viene Elia a salvarlo!". [50]E Gesù,
emesso un alto grido, spirò.
[51]Ed
ecco il velo del tempio si squarciò in due da cima a fondo, la terra si scosse,
le rocce si spezzarono, [52]i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi morti
risuscitarono. [53]E uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono
nella città santa e apparvero a molti. [54]Il centurione e quelli che con lui
facevano la guardia a Gesù, sentito il terremoto e visto quel che succedeva,
furono presi da grande timore e dicevano: "Davvero costui era Figlio di
Dio!".
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*E’ la messa in scrittura,
rivista in più punti, della meditazione da me svolta per la comunità Kairòs al
ritiro di Casa Bianca del 03.04.1999 (sabato santo).
Ho un debito, e qui lo
esprimo, nei confronti della meditazione svolta da Luciano Manicardi durante il
triduo pasquale di Bose 1996, cui ho assistito, e del commento all’Evangelo di
Matteo di Alberto Mello, edizioni
Qjqajon.
Attraverso la lectio divina della Passione secondo Matteo è
possibile meditare su tre livelli di relazione:
Ø
Tra
Gesù e il Padre (figliolanza)
Ø
Tra
noi e Gesù (discepolato)
Ø
Tra
noi e il Padre (figliolanza)
Nella Passione Gesù ci insegna la modalità della figliolanza. Il nostro discepolato è mettersi alla sua sequela per riscoprire la paternità di Dio.
Il
racconto della Passione può essere scandito in cinque grandi quadri:
Ø
La
cena pasquale (Mt 26,14-19)
Ø
Il
Getsemani (Mt 26,30-56)
Ø
Il
processo giudaico (Mt 26,57-75)
Ø
Il
processo romano (Mt 27,1-31)
Ø
La
crocifissione (Mt 27,32-54)
La cena
pasquale: libertà o schiavitù
Sono a confronto la libertà di Gesù e
la schiavitù di Giuda. Gesù dev’essere “consegnato” al Padre, ma offre
liberamente la sua vita e governa gli eventi perché si adempiano le Scritture
(26,24), mentre Giuda è colui che usa della sua libertà personale e della sua
responsabilità morale per piegarsi alla schiavitù del denaro (26,15), ma più
ancora alla schiavitù del proprio io che non ha compreso l’amore del Maestro.
Per Giuda infatti Gesù non è il “Signore”, come per gli altri discepoli
(26,22), ma è soltanto il “Rabbi” (26,25; cf. anche 26,49). Di Gesù Giuda non
riesce a cogliere che il tratto didascalico-morale: egli resta escluso da
quell’ agape che connota, per gli altri discepoli, per tutti i discepoli
di tutti i tempi, la signoria di Gesù sulle loro esistenze. In altri
termini, Giuda non comprende cosa vuol dire essere discepolo. Eppure Gesù
condivide la tavola con chi da discepolo si fa nemico, anzi, ne condivide il
piatto (26,23). Anche col nemico Gesù stipula la nuova alleanza. Quella chiesa
che si ritrova a tavola è la stessa chiesa che a breve sarà dispersa (26,56),
adempiendo la profezia di Zaccaria (Zc 13,7). E’ con questa chiesa povera,
insicura ed infedele che Gesù stipula un’alleanza perenne: con una chiesa che è
legittimata a sedere a tavola con il suo Signore non dai propri meriti, ma dal
fatto che è il Signore a radunarla in Galilea dopo la risurrezione (26,32).
Il
Getsemani: vigilare o dormire
La comunità dei discepoli è messa alla
prova, ma gli uomini di Gesù non fanno i conti con la propria carne (26,41b). E
soprattutto non comprendono che la vigilanza, unico antidoto alla tentazione,
si alimenta della preghiera, che è quello che invano cerca di insegnar loro
Gesù. Al Getsemani l’alternativa è tra vigilare o dormire. Pietro e i due figli
di Zebedeo si mostrano incapaci di fare comunione con Gesù nella preghiera (26,40).
Si mostrano incapaci di vigilare in un momento in cui la vigilanza e la
preghiera sono indispensabili. C’è una tentazione che Gesù avverte come
sommamente pericolosa e che richiede una forte tensione spirituale. Egli
l’avverte in se stesso drammaticamente, come traspare dalla progressione
dell’orazione al Padre: dalla tristezza e dall’angoscia, la preghiera di Gesù
approda allo scoraggiamento che però non si chiude mai alla volontà del Padre:
“non come voglio io, ma come vuoi tu!” (26,39). La tentazione che Gesù avverte
è probabilmente quella di sfuggire alla propria chiamata. Le Scritture
lo indicavano come il servo sofferente (Is 53) ed egli non poteva sottrarsi al
progetto del Padre. Il deserto (Mt 4,1-13) aveva temprato la sua vocazione ed
egli supera la prova, ma non senza tormento interiore. Gesù, con un movimento
altamente drammatico, rivolge la sua attenzione alternativamente dal Padre ai
discepoli, fino ad approdare all’accettazione sostanziale della sua solitudine
umana. I discepoli ormai possono “dormire e riposare” (26,45), ma non pare
siano stati di alcun conforto a Gesù. Gesù ha trovato il proprio conforto
soltanto nella preghiera al Padre, in quel “sia fatta la tua volontà”, ripetuto
due volte (26,42.44), che lo riconduce ai suoi discepoli disposto a fare fino
in fondo la volontà del Padre: “è giunta l’ora nella quale il Figlio dell’Uomo
sarà consegnato in mano ai peccatori” (26,45).
Il
processo giudaico: verità o falsità
Matteo qui ci presenta la caricatura
della giustizia. E’ l’uomo stesso, qui, ridotto alla sua caricatura. Non è la
verità ciò che interessa agli scribi e agli anziani. Anzi, è in questione lo
stesso concetto di verità oggettiva. Qui la “verità” è tutto ciò che possa
coincidere col proprio sostanziale rifiuto interiore. Una caricatura di uomo è
quella che cerca affannosamente di trovare una giustificazione formale a ciò
che in cuor suo è già stato deciso (26,59-60). Matteo ci rappresenta questa
ricerca umana: non si tratta di una ricerca esodale, abramica, che genera l’uscita
da sé per approdare altrove, ma di un’uscita da se stessi per ritornare a sé
più forti di prima. Il sinedrio cerca altrove, nei falsi testimoni, la
stampella per proclamare l’urgenza vera, profonda: “E’ reo di morte!” (27,66).
Che si stia facendo una messa in scena Gesù lo capisce bene ed il silenzio ne è
l’eloquente testimonianza, la “sua” testimonianza (26,63). Resta soltanto il
nocciolo essenziale della fede, la dichiarazione dell’identità di Gesù, cui
Gesù non si sottrae (26,64; cf. Mt 16,16). Dire che Gesù è Figlio di Dio per il
sommo sacerdote è una bestemmia. Prima c’era bisogno di testimoni, adesso non
più. Infatti, il “testimone” è Gesù stesso. Neppure Pietro può più testimoniare
perché il suo discepolato si è interrotto (lo aveva seguito “da lontano”,
26,58) e non gli consente se non di fare da spettatore. Mentre si consuma lo
scandalo di un Dio debole, percosso dagli uomini (Mt 26,67-68), il primo dei
discepoli consuma definitivamente la rottura del proprio discepolato, che è
principalmente rinnegamento della propria umanità. In quel non conosco ton
anthropon” (26,72.74), egli rivela la sua ignoranza di se stesso.
Aveva lasciato la sua quotidianità per seguire Gesù (Mt 4,20), aveva riposto
tutto se stesso in questa sequela: la sua identità profonda era riposta
in Gesù di Nazareth. Rinnegarlo significava affermare il proprio
annichilimento: ce n’è di che “piangere amaramente” (27,75).
Il
processo romano: regnare o comandare
Dal pianto di Pietro al tormento di
Giuda. Giuda è cosciente di avere peccato contro il suo Rabbi (27,4). Ma non
c’è più tempo per lui. E’ lecito chiedersi se questo suo “pentirsi” (27,3)
abbia a che fare con la conversione o non sia semplicemente un senso di colpa,
un rimorso. Certo è che l’evangelista non gli risparmia l’esperienza della
solitudine, come attesta quel “veditela tu!” (27,4) rivoltogli dai sommi
sacerdoti che fa il paio col “vedetevela voi!” di Pilato (27,24). E’ solo,
Giuda, col suo peccato, così come è solo, il popolo giudeo, con la sua scelta.
E’ la solitudine più amara perché è il frutto della separazione dal Padre. La
solitudine di Gesù invece è vissuta in comunione col Padre e per questo prelude
alla Vita. La solitudine di Giuda prelude soltanto alla morte: “si allontanò e
andò ad impiccarsi” (27,5).
Pilato è un pagano. La scelta
essenziale non tocca a lui, probabilmente. Matteo tende ad attribuire ai suoi
connazionali pressoché l’intera responsabilità della condanna di Gesù. Il
pagano può permettersi di essere neutrale, ma il giudeo doveva
scegliere, così come oggi il cristiano deve scegliere. Il processo di Pilato
non riguarda le cose di Dio, ma le cose del mondo. A Pilato interessa una
dichiarazione di regalità: il suo mondo di significati è costituito dal potere,
ma col potere Gesù aveva già fatto i conti nel deserto. Regnare per Gesù
è sinonimo di adempiere, concetto non certamente alla portata di Pilato,
che peraltro non si interessava né di religione né di sacre scritture. Rispetto
ai sommi sacerdoti, egli non ha una pregiudiziale interiore da alimentare con
false testimonianze. Il suo cuore non è impegnato in alcun combattimento,
tant’è vero che egli può chiedere ad alta voce: “Ma che male ha fatto?” (Mt
27,23), tentando una sortita sul terreno della razionalità umana. Ma anche la
razionalità umana è fuori dall’orizzonte del dramma matteano. La crocifissione
di Gesù non è neppure invocata come qualcosa di “giusto”, secondo i parametri
umani. D’altra parte le folle inferocite non possono argomentare: esse
obbediscono al cieco istinto della violenza bruta, la violenza contro gli
inermi cui si abbandonano anche i soldati romani (27,27-31). Quel che si
consuma nel processo romano, in ultima analisi, è l’ebbrezza del potere.
Se Gesù è presentato come re, ciò scatena il desiderio di mostrare
l’inconsistenza di questo potere, come dimostrano gli scherni dei soldati.
Paradossalmente, i soldati romani aumentano la regalità di Gesù proprio col
volerla mortificare, perché tutto ciò che essi fanno adempie le Scritture. Il
suo regno non è di questo mondo, il suo regnare coincide con l’ubbidire al
Padre (Gv 18,36).
La
crocifissione: morire o salvarsi
La narrazione matteana della
crocifissione non si discosta dalla linea-forza dell’adempimento delle
Scritture. Qui, in particolare, è d’obbligo il riferimento al Salmo 22. La
spartizione delle vesti segnala il totale annientamento di Gesù. Nella
crocifissione si consuma l’assoluta alterità di Gesù rispetto a tutte le
relazioni umane. La sua solitudine è totale. Le parole che gli vengono rivolte
riecheggiano quelle del diavolo nel deserto. Non c’è nei paraggi alcun
discepolo di Gesù, se esser discepolo significa comprendere cosa significa
essere figli. Nei paraggi ci sono soltanto “quelli che passavano di là”
(27,39), che incrociano casualmente Gesù, che lo conoscono per sentito dire,
che hanno nella testa e nel cuore un’idea di Dio e di uomo completamente
diversa da quella di Gesù. La “gente” che passa dal Golgota utilizza lo schema
mentale dell’autosalvezza che è l’antitesi dello schema dell’amore e della
relazione. Diversamente dall’Evangelo di Luca, nessuno dei due ladroni,
crocifissi “con lui” (27,38; paradosso di una comunione, ancora una volta, con
il nemico, come a cena con Giuda), si dissocia dall’universale dileggio. Non
resta nessuno veramente con Gesù. Anche il Padre è lontano. Gesù condivide con
tutti gli uomini l’esperienza della lontananza di Dio, così come l’aveva
formulata il Sal 22 (“Elì, Elì, lemà sabactàni”?, 27,46). L’ultimo compagno,
colui che lo aveva sospinto nel deserto e gli aveva consentito la profonda
comunione col Padre, lo Spirito, lo lascia, anzi è proprio Gesù, come atto
finale della sua esistenza storica, a “emettere lo Spirito” (27,50).
I fenomeni apocalittici che fanno
seguito alla morte di Gesù esprimono la vera rivoluzione nei rapporti tra Dio e
l’uomo. Una vera e propria teofania, quella dei vv.51-53, che è il segno del
definitivo compimento del progetto di Dio. Il Dio lontano dalla croce è lo
stesso Dio che squarcia il velo del tempio, spezza le rocce, risuscita i morti.
L’ultima parola del dramma non può essere che di Dio e di quell’uomo che sa
riconoscere la figliolanza di Gesù candidandosi ad un discepolato nuovo: è il
centurione che, entrando nella sfera del “timore”, vera percezione della
presenza di Dio, può affermare il contenuto essenzialissimo della fede:
“Davvero costui era il Figlio di Dio!” (27,54).
* * *
MEDITATIO
Nella Passione Gesù ci ha
rivelato il senso del suo essere Figlio. Intimità (“Padre mio…”, 26, 39.42),
ascolto e abbandono fiducioso sembrano i tratti caratteristici della relazione
col Padre nel momento supremo della vita terrena di Gesù. Imparare ad essere a
nostra volta figli vuol dire aprire il nostro cuore all’intimità, all’ascolto e
all’abbandono consapevole nelle mani del Padre. Questo tuttavia non ci è possibile,
come non fu possibile alla comunità dei discepoli, se non nella misura in cui
siamo radunati in Galilea dal Risorto. La comunità prepasquale non sembra
all’altezza della figliolanza in quanto non è all’altezza del discepolato.
Perché ai discepoli – e a noi che meditiamo la Parola – fosse possibile il
discepolato, e quindi il vero accesso alla figliolanza, è stato necessario che
Gesù passasse attraverso l’ubbidienza della morte. Il frutto del morire e del
risorgere di Gesù è la nostra fede, che ci connota come discepoli. E’ il nostro
ingresso nel ritmo fede-morte-vita, che costituisce la verità cristiana (Gv
11,25-26). Credere, per noi, vuol dire morire a noi stessi per entrare
nella relazione filiale, nella comunione col Padre, che è vita eterna, qui ed
ora.