Lectio divina di Mc 2,1-12 – domenica 20.02.2000

7^ domenica tempo ordinario

[1] Ed entrò di nuovo a Cafarnao dopo alcuni giorni. Si seppe che era in casa [2] e si radunarono tante persone, da non esserci più posto neanche davanti alla porta (cf. 1,33), ed egli annunziava loro la Parola.

[3] Si recarono da lui con un paralitico portato da quattro persone. [4] Non potendo però portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dov'egli si trovava e, fatta un'apertura, calarono il lettuccio su cui giaceva il paralitico. [5] Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico: "Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati".

[6] Seduti là erano alcuni scribi che pensavano in cuor loro: [7]"Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può rimettere i peccati se non Dio?".

[8] Ma Gesù, avendo subito conosciuto nel suo spirito che così pensavano tra sé, disse loro: "Perché pensate così nei vostri cuori? [9] Che cosa è più facile: dire al paralitico: Ti sono rimessi i peccati, o dire: Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina? [10] Ora, perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha autorità (cf. 1,27) sulla terra di rimettere i peccati, [11] ti ordino - disse al paralitico - alzati, prendi il tuo lettuccio e va’ a casa tua". [12] Quegli si alzò, prese il suo lettuccio e se ne andò in presenza di tutti al punto che tutti erano fuori di sé e lodavano Dio dicendo: "Non abbiamo mai visto nulla di simile!".

*Le parole sottolineate sono parole-chiave per la meditatio

In Mc 1,23 si diceva che "erano presi da stupore per il suo insegnamento, perché insegnava loro come uno che ha autorità e non come gli scribi". Questo avveniva in giorno di sabato nella sinagoga di Cafarnao. Adesso ci troviamo in una casa qualunque di un giorno qualunque, ma sempre a Cafarnao. Gli scribi sono presenti, l'autorità di Gesù è di nuovo all’opera nel duplice compito di annunziare la Parola (questa volta non più kerùssein, ma laléin, 2,2) e di guarire quanti gli venivano portati. Nonostante il segreto messianico (cf. 1,34.44), la fama di Gesù si diffonde riproponendo il tema sotteso al "Tutti ti cercano!" di Mc 1,37.

Ancora una volta siamo di fronte ad un episodio di guarigione. Come la lebbra, anche la paralisi rientrava tra i castighi del Signore. Gesù deve tornare a misurarsi con lo schema mentale ebraico della malattia fisica come "retribuzione" del peccato. Questa volta la richiesta di aiuto è affidata all'evidenza spettacolare del gesto compiuto dai quattro che calano il malato dal tetto della casa. Spingersi fino a tanto, nell’esegesi compiuta da Gesù, significa credere nell’ autorità di quell'Uomo, nel suo potere di Liberatore.

Ancora una volta Gesù si rapporta al malessere fisico con un atteggiamento che spiazza gli astanti. Egli non guarisce immediatamente, come aveva fatto con l'indemoniato (1,21-28), con la suocera di Pietro (1, 29-31) e, in ultimo, col lebbroso (1,40-45), quando saltava a pié pari la questione del peccato. In quelle occasioni, soprattutto col suo desiderio di prendere le distanze da questa sua attività di "guaritore" (1,35), Gesù sembrava soltanto suggerirci la necessità di considerare le sue azioni di guarigione dentro la sua azione di proclamazione, come segni di quest’ultima. Col paralitico, invece, Gesù propone con forza la "guarigione prioritaria", quella che la spiritualità ebraica attribuiva soltanto all'unico Dio: "ti sono rimessi i tuoi peccati" (v.5). La comunità post-pasquale che leggeva ed interpretava il Vangelo di Marco aveva interiorizzato la carica di espiazione insita nell'evento della Pasqua. Lo stesso verbo égheire ("alzati"), riferito al paralitico come alla suocera di Pietro, richiama la Risurrezione.

Rimettere i peccati è molto più "impegnativo" che guarire una malattia. Può farlo solo Dio. Questo non sfugge agli scribi, anche se non osano contestare apertamente Gesù. Ma Gesù è ben cosciente di quanto superficiale sia l'approccio degli uomini al concetto di "guarigione". Gesù è ben cosciente di quanto gli uomini cerchino dimostrazioni concrete, constatabili della potenza divina; di quanto essi ritengano quasi più probante il miracolo che risana il corpo del miracolo che libera lo spirito. E Gesù non rinuncia alla logica del "segno". L'intervento decisivo di guarigione fisica del paralitico è atto dimostrativo, divulgativo, che sbigottisce l'uditorio.

Ma la lezione è un’altra. L'uomo è uno. La sua guarigione dal male non può consistere né in un’astratta liberazione spirituale né in un mero recupero del benessere fisico. Gesù è interessato ad entrambe le sfere, pur non accettando il nesso ebraico malattia=colpa. La malattia non è una colpa, ma può diventare, grazie alla fede di chi soffre, il luogo dell'Incontro (cf. Gv 9,3). La malattia non è una colpa, ma può diventare spazio di autoconsapevolezza forte. A quest’ultima Gesù è fortemente interessato. Quando Gesù guarisce, vuole guarire totalmente. Solo la guarigione totale può generare uomini della diakonìa (=servizio: la suocera di Pietro in 1,31), del kérigma (=proclamazione: il lebbroso in 1,45) e della dòxa (=lode: la comunità radunata nella casa di Cafarnao in 2,12).

Brani di riferimento (oltre a quelli già citati) :

 

Commento a Mc 2,1-12