Lectio Divina di Mt 17, 1-9

 20/02/2005 – IIa domenica di Quaresima

[1] Dopo sei giorni, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. [2] E fu trasfigurato davanti a loro; il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. [3] Ed ecco apparve loro Mosè ed Elia che conversavano con lui. [4] Pietro allora rispondendo disse a Gesù: "Signore, è bello per noi restare qui; se vuoi, farò tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia". [5] Egli stava ancora parlando quando una nuvola luminosa li avvolse con la sua ombra. Ed ecco una voce che diceva: "Questi è il Figlio mio prediletto; ascoltatelo". [6] All’udire ciò i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. [7] Ma Gesù si avvicinò e, toccatili, disse: “Alzatevi e non temete”. [8] Sollevando gli occhi non videro più nessuno, se non Gesù solo. [9] E mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: “Non parlate a nessuno di questa visione, finché il Figlio dell'uomo non sia risorto dai morti”.

* quelle sottolineate sono parole – chiave per la meditatio

Raccontando la trasfigurazione, gli evangelisti Matteo, Marco e Luca ci offrono l’occasione di accostarci ad una delle tappe più significative nel percorso terreno di Gesù e al contempo ad uno dei momenti più alti e misteriosi della rivelazione: la manifestazione di Dio sul monte Tabor alla presenza dei discepoli sancisce una volta ancora, dopo il Battesimo nel Giordano e poco prima della Pasqua, l’itinerario di salvezza intrapreso da Gesù: in lui il Padre indica il Figlio amato, venuto per la salvezza del mondo; ancor più decisamente che nel Battesimo tuttavia, lo sfondo sul quale il nostro brano si proietta è quello della Pasqua.

È importante per comprendere il testo e il suo significato, inserirlo nella più ampia cornice del capitolo sedici, in cui Gesù pone con chiarezza il problema della sua identità e di quella del discepo; è come se prima di affrontare l’esperienza estrema e culminante di Gerusalemme, Gesù desiderasse verificare la comprensione maturata fra la gente comune e fra i discepoli: “la gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo? […] voi chi dite che io sia?” (16,13-14). Le risposte sono tutt’altro che univoche; alla confusione del popolo che identifica Gesù come uno dei tanti profeti, si affianca la voce di coloro che lo hanno seguito più da vicino; così la bellissima professione di fede di Pietro, “tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (16,16) trova un immediato controcanto nel rifiuto opposto dallo stesso Pietro alla sofferenza di Gesù: “Dio te ne scampi, Signore, questo non ti accadrà mai” (16,22): comprendere questo Signore, che parla di sofferenza e di morte e invita ciascuno a seguirlo nel prendere la propria croce crea disagio e disorientamento.

Così la trasfigurazione sembra rispondere a questi interrogativi; il fulgore del suo volto e delle sue vesti gettano una luce sui dubbi dei discepoli anche se, come si vedrà, il luogo e il tempo della piena comprensione viene ulteriormente rimandato: Gesù può essere compreso e amato solo puntando gli occhi sull’evento pasquale. Per il momento la preoccupazione dell’evangelista sembra essere piuttosto quella di individuare in Gesù colui che porta a compimento le antiche promesse messianiche e inaugura un’era nuova e definitiva nella storia. Non stupisce dunque costatare che il brano è costruito come un mosaico di reminiscenze del Vecchio Testamento. Gesù stesso, parlando ai discepoli, afferma che ciò a cui essi hanno assistito è una “visione” (gr. horama) e in accordo con questa definizione anche le immagini e la simbologia riproducono i tratti caratteristici delle visioni apocalittiche e delle apparizioni di Dio nell’A.T. Così l’ascesa al monte richiama evidentemente il colloquio tra Mosè e Dio, manifestatosi sul Sinai sotto forma di nube (Es. 24), mentre la stessa “metamorfosi” (gr. Metamorphosis = trasfigurazione) di Gesù, espressa soprattutto dal volto radioso, rimanda all’aspetto di Mosè che scendendo dal Sinai “non sapeva che la pelle del suo viso era diventata raggiante poiché conversava con lui” (cfr. Es. 34,29). Nuovo Mosè, venuto a suggellare la nuova alleanza, Gesù è presentato come la Verità vivente, riconosciuta dalle due colonne dell’A.T., Mosè ed Elia, raffigurazioni della Legge e dei Profeti; in Lui converge tutta la storia della salvezza e trovano realizzazione e adempimento le speranze e le profezie del passato; la voce del Padre, reinterpretando l’A.T. esprime chiaramente il senso di tale compimento: “questo è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto”: veramente Gesù è il Messia annunciato di Salmi (cfr. Sal. 2.7), il nuovo Isacco (cfr. Gen. 22,2), il Servo del Signore annunciato da Isaia (cfr. Is. 42,1).

Se dunque questo è approssimativamente il nucleo rivelativo e teologico della trasfigurazione, che ci conduce dentro il mistero della natura divina di Gesù,  della sua relazione con il Padre, del suo essere Messia di salvezza, questo stesso testo offre anche qualcosa d’altro; la trasfigurazione può anche essere letta con gli occhi dei discepoli che accompagnano Gesù, per i quali essa è un’esperienza capitale, che permetterà di interpretare la resurrezione di Gesù e al contempo da quest’ultima riceverà pienamente la sua luce. Per Pietro, Giacomo e Giovanni la trasfigurazione implica il compimento di un itinerario che si pone al contempo sul piano spaziale e interiore. Vi è un tempo (“sei giorni dopo” l’annuncio della passione e dunque nel settimo giorno, quello in cui si completa la creazione) in cui essi si lasciano condurre da Gesù sul monte, carichi dei dubbi che i brani precedente hanno espresso: chi è Gesù? È veramente l’inviato di Dio, venuto a salvare il suo popolo? E perché quest’uomo, a cui essi legavano la loro realizzazione esistenziale, parlava di morte e di sconfitta?

Pieni di quelle che sono le loro (e forse ancora le nostre) domande, Pietro, Giacomo e Giovanni assistono sul Tabor alla trasformazione luminosa di Gesù: Questa esperienza appare ai discepoli non solo vera e buona, ma anche bella: è il fascino della Verità e del Bene, è la bellezza di Dio che si offre a loro. “La trasfigurazione è poi celebrazione del volto, anzitutto il volto luminoso di Cristo, ma poi i volti di coloro che lo attorniano - Mosè, Elia, Pietro, Giacomo, Giovanni -, e questo ricorda ai credenti che la comunione ecclesiale è compagnia di volti e nomi precisi, cioè di libertà personali, e che la chiesa ha la responsabilità di essere un luogo di libertà e di umanità, che bandisce la paura e tut­to ciò che attenta alla piena dilatazione dell'umano e, soprattutto, della libertà. In particolare la trasfigurazione ricorda che il volto di ogni figlio di Adamo, di ogni uomo creato a immagine e somiglianza di Dio è portatore di un riflesso dello splendore divino e ha insita in sé la vocazione alla bellezza, a vivere una vita bella, buona e felice. Ora, la luce e lo splendore di bellezza che abitano l'umanità di Cristo preannunciano il regno escatologico in cui non vi sarà più alcuna bruttezza e in cui l'umanità tutta sarà resa dimora di Dio, bella come una sposa pronta per il suo sposo (cf. Ap 21,2-3)” (Enzo Bianchi).

Tale Bellezza è collegata nel racconto alla misteriosa rivelazione della Trinità: “Ed ecco una voce che diceva: "Questi è il Figlio mio prediletto; ascoltatelo” (v. 7). Di fronte a questa esperienza di bellezza, la tentazione è quella di fermare il tempo, di conferire ad esso una dimensione definitiva; è Pietro che col suo consueto entusiasmo dà voce a questo desiderio: “è bello per noi stare qui; se vuoi farò tre tende”. E tuttavia la bellezza gloriosa di Gesù non può essere fermata: essa non può e non deve divenire possesso, ma deve piuttosto trasformarsi in sequela e dono per gli altri: ecco allora l’invito di Gesù, che ai discepoli prostrati per la paura dice: “alzatevi e non temete”; la discesa dal monte è l’invito ai suoi compagni di strada (e ancora una volta a noi) a immergersi di nuovo nella storia, in una prospettiva più matura e consapevole in cui la visione deve cedere il posto all’ascolto (“questo è il mio Figlio prediletto […] ascoltatelo” dice il Padre), e l’impazienza lasciare spazio all’attesa: solo dopo la resurrezione di Gesù il senso profondo di quella visione gloriosa sarà rivelato, mentre per il momento si tratta di porsi dietro di lui, accompagnando il suo cammino verso Gerusalemme.

Brani di riferimento

-          si consiglia la lettura del capitolo XVI del vangelo di Matteo e dei brani sinottici indicati dalle varie edizioni della Bibbia.

-          i brani veterotestamentari sono indicati nel testo

-          per il N.T. importante 2 Cor. 3,17-18 in cui si parla della trasfigurazione dell’uomo