Lectio divina di Mt 22,15-21 – domenica 20.10.2002
[15] Allora i farisei, ritiratisi,
tennero consiglio per vedere di intrappolarlo nella parola. [16] Mandarono dunque a lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità e non hai soggezione di nessuno perché non guardi in faccia agli uomini. [17] Dicci dunque il tuo
parere: è lecito o no pagare il tributo a Cesare?». [18] Ma Gesù, conoscendo
la loro malvagità, rispose: «Ipocriti, perché mi tentate? [19] Mostratemi
la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. [20] Egli domandò loro:
«Di chi è questa immagine e l’iscrizione?». [21] Gli risposero:
«Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che
è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». |
Quelle sottolineate sono espressioni-chiave per la meditatio
Come i vignaioli omicidi
di due domeniche fa confabulavano tra loro per cercare di appropriarsi
indebitamente di un’eredità, così anche il brano di Matteo, previsto per la
prossima liturgia domenicale, esordisce con un gruppo di farisei che “tengono
consiglio” su come fare inciampare il Verbo di Dio “nella parola”.
Dando dimostrazione
visibile di quanto la frequentazione con le Scritture (di cui essi erano maestri)
non ponga automaticamente al riparo dalle “malvagità” che albergano nel cuore
dell’uomo, i farisei strumentalizzano una questione di coscienza che
attraversava le diverse spiritualità ebraiche di quei tempi per tentare di
irretire Gesù.
Come in ogni epoca, anche
nella nazione di Israele sottoposta alla dominazione romana si avvertivano
diversi modi di sentire in ordine al pagamento del censo all’invasore romano
(una sorta di tassa pro capite annua, pari alla giornata lavorativa di un
operaio).
Mentre gli zeloti
ritenevano questo un segno insopportabile di sottomissione del popolo di Dio e
perciò si ribellavano (cf. Lc 23,2), i seguaci della famiglia regnante di
Erode, invece, erano disponibili a passare sopra ad ogni dubbio teologico pur
di mantenere il loro potere. In questa contrapposizione i farisei “ritenevano
la presenza romana un castigo di Dio e insistevano sulla pietà personale”
(Bibbia T.O.B., nota l edizioni LDC, Torino, 1995, pag.2238).
Veniva così richiamato il
passo di Es, 20,4 “Non ti farai idolo, né immagine alcuna di quanto è lassù
nel cielo, né di quanto è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque
sotto la terra.”.
E proprio nel denaro usato per il pagamento del tributo, c’era l’immagine di Tiberio con la seguente iscrizione: TIBERIUS CAESAR DIVI AUGUSTI FILIUS AUGUSTUS PONTIFEX MAXIMUS (Tiberio Cesare, augusto figlio del divino Augusto, sommo sacerdote). Notiamo due elementi interessanti: l’essere Tiberio figlio di un dio e l’essere egli stesso il più grande dei sacerdoti.
E’ consentito, quindi, accettare di maneggiare (e subire) una immagine di chi si ritiene di origine divina?
Gesù si trova così di fronte ad un dilemma fondato sulla Scrittura, ma in realtà profondamente lontano da essa. Ed in questo ravvisa la malvagità dei suoi interlocutori.
Si fa dare una moneta. Solo i suoi ligi detrattori, peraltro, ne posseggono un esemplare, pur trovandosi nei pressi della zona sacra del tempio di Gerusalemme.
Da unico ermeneuta delle Scritture (vero Sacerdote), nel rispondere al dilemma malposto tra l’idolatria e la sovversione dell’ordine costituito, riporta tutti ad una apparente “non-gerarchia”, in realtà a ciò che è in concreto più prezioso nel cuore dell’uomo.
In questo modo vengono lasciati liberi gli interlocutori in mala fede di rimanere nelle loro posizioni, ma si opera, al contempo, nei confronti degli ascoltatori autentici della Parola, di qualunque estrazione teologica essi siano, un invito ad andare alla radice autentica delle proprie convinzioni anche nell’agire mondano. E’ importante, infatti, non sottovalutare il valore di quella “e” tra le due proposizioni di Gesù.
Qualunque scelta umana è seria ed autentica (rendete a Cesare, quel che è di Cesare) se è anche operata senza scissioni dalla ricerca autentica del volto di Dio (rendete a Dio ciò che è di Dio).
E proprio i farisei, che volevano mettere in tasca il Figlio di Dio, così come avevano fatto con Tiberio, figlio del divino Augusto, vengono riportati ad un piano di autenticità, che la loro superficiale ricerca di un Dio astratto gli aveva fatto perdere di vista.
“A queste parole rimasero sorpresi e, lasciatolo, se ne andarono” (v.22).
Brani di
riferimento:
v Per
il rapporto di Gesù col potere: Mt 4,10; Mt 17,24-27; Gv 19,11;
v Per
il rapporto di Gesù con la Legge: Mt 12,1-8;
v Per
il rapporto degli ebrei con le autorità temporali: Es 20,4 ; Prv 8,15-16;
v Per
il rapporto dei cristiani con le autorità temporali: Rm 3,1-7.
v 2,34-45.