Introduzione alla lectio divina su Gv 1, 29-34 – 20 gennaio 2002

II domenica tempo ordinario

 

29 Il giorno dopo, Giovanni vedendo Gesù venire verso di lui disse: «Ecco l'agnello di Dio, ecco colui che solleva via il peccato del mondo! 30 Ecco colui del quale io dissi: Dopo di me viene un uomo che mi è passato avanti, perché era prima di me. 31 Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare con acqua perché egli fosse fatto conoscere a Israele».

32 Giovanni rese testimonianza dicendo: «Ho visto lo Spirito scendere come una colomba dal cielo e posarsi su di lui. 33 Io non lo conoscevo, ma chi mi ha inviato a battezzare con acqua mi aveva detto: L'uomo sul quale vedrai scendere e rimanere lo Spirito è colui che battezza in Spirito Santo.

34 E io ho visto e ho reso testimonianza che questi è il Figlio di Dio».

Quelle sottolineate sono le parole chiave per la meditatio

 

E’ ancora la figura di Giovanni Battista ad esserci proposta dalla liturgia domenicale. Ma l’uomo del deserto, il profeta escatologico, non è qui l’araldo che esorta alla conversione, bensì il ‘testimone’, l’uomo che addita al mondo Gesù e dice ‘Ecco!’.

Il contesto è ancora una volta il battesimo del Giordano. Ai farisei che lo interrogavano Giovanni ha appena reso testimonianza, ha affermato di non essere lui il Cristo, ma di dovergli preparare la strada. La sua vita, la sua opera di battezzatore tra le genti, non è altro che ‘testimonianza’ per un altro, ‘uno’ che già sta in mezzo a loro, ‘uno’ che non conoscono, ‘uno’ che viene dopo di lui, ma rispetto al quale egli non è degno neppure di sciogliere i legacci dei suoi sandali (Gv 1,25-8).

Il vangelo di domenica segna il momento in cui quest’«uno» che cammina in mezzo a noi, questa figura ancora estranea agli uomini -i farisei non lo ‘conoscono’, forse nemmeno Giovanni («Io non lo conosco» 1,31) - viene per la prima volta mostrata agli altri e riconosciuta in una persona storica, reale, di nome Gesù.

Tutto questo avvenne «il giorno dopo», notazione temporale piuttosto strana e apparentemente ingiustificata se non si leggesse nel quadro dei giorni che si contano nei cc.1 e 2: in totale 7, quanti i giorni della creazione del mondo, e proprio quando si avvicinava la Pasqua. Non è un tempo qualunque quello in cui Gesù decide di rivelarsi agli uomini, ma quasi il prologo di una ‘nuova creazione’.

E’ proprio Gesù a venire incontro a Giovanni, ad avvicinarsi per primo. In questo movimento abbiamo il primo tratto di identità che contraddistinguerà per sempre la sua figura: egli infatti è l’ho erchomenos, il ‘veniente’. E’ a questo punto che Giovanni punta il dito verso di lui e così grida agli altri «Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che solleva via il peccato del mondo!».

E’ un titolo molto importante quello con cui viene chiamato Gesù. In aramaico, lingua parlata da Giovanni, questo titolo, ‘agnello’, era pronunciato con taljà, parola che significa ‘servo’ e ‘agnello’ nello stesso tempo. In questo modo Gesù poteva essere identificato come l’uomo dei dolori, il Servo sofferente di cui parla il profeta Isaia (Is 42,1 «Ecco il mio Servo che io sostengo, il mio eletto»). Egli è come «agnello condotto al macello» che non apre bocca di fronte ai suoi tosatori. 

Tuttavia il Servo di Isaia ‘si addossa i peccati’, li ‘porta’ ma non li toglie come Giovanni dice qui di Gesù. L’azione dell’eliminazione del peccato, che viene ‘sollevato sulle spalle’ e distrutto nella morte, è propria di un altro agnello che qui viene evocato, l’ “agnello pasquale” dell’Esodo (Es 12,1). Per l’evangelista è dunque necessaria una lettura pasquale per comprendere la profondità del mistero di Gesù e rivelarne la sua missione.

Il racconto della morte in croce è quello di una ‘immolazione’: Gesù fu condannato a mezzogiorno della vigilia di Pasqua, nella stessa ora in cui i sacerdoti sgozzavano gli agnelli per il sacrificio; non gli fu spezzato alcun osso proprio come l’agnello pasquale; la spugna imbevuta d’aceto gli fu sollevata sull’issopo, ed era l’issopo che veniva intinto nel sangue dell’agnello per poi aspergere gli stipiti delle porte degli ebrei, salvandoli così dalla morte.

Ma Gesù va oltre il simbolismo dell’agnello perché la sua morte in croce elimina non molteplici ‘peccati’, ma ‘il peccato’: non distrugge, cioè, una pluralità di azioni peccaminose commesse dagli uomini nel mondo, ma ne annienta alle radici la stessa causa, ovvero la ‘condizione’ di essere tutti peccatori a seguito del distacco da Dio (1 Gv 3,4). In questa vittoria sul peccato e sulla morte, conseguenza del primo, Gesù è anche l’agnello vittorioso dell’Apocalisse, ‘sgozzato’ ma ‘ritto in piedi’ (Ap 5,9-12) perché risorto e vivente: vittorioso sul male egli porta ancora su di sé i segni della croce.

Quale sorpresa dovette allora cogliere quanti in quel momento si bagnavano nel Giordano e udirono le parole di Giovanni che orientava i loro sguardi verso Gesù: il Messia che era stato loro annunciato nei giorni precedenti non era un giudice severo e potente ma uno come loro, che si faceva avanti come mite agnello.

Egli, pur venendo ‘dietro’ a Giovanni, manifestandosi solo dopo di lui, in realtà lo precede non solo in forza - è più grande del Battista - ma anche nel tempo, perché esisteva già prima della creazione del mondo. Gesù è incarnazione di quel Verbo, di quella Parola, che «In principio..era presso Dio» (Gv 1,1 ss): nella sua persona storica l’eternità di Dio ha fatto irruzione nel tempo dell’uomo; la luce si è rivestita di carne per «venire ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14).

Giovanni è venuto a mostrare al mondo questa luce e la sua testimonianza non procede dal riconoscimento di un volto- quello di ‘uno’ qualunque’- ma dall’azione dello Spirito che scende su Gesù e su lui rimane. Rispetto al racconto dei sinottici, soltanto qui si rileva che lo Spirito restò su Gesù. Questo ‘possesso dello Spirito’ è la caratteristica definitiva del Messia: Gesù possiede lo Spirito e ne fa dono ad altri nel battesimo, lo effonderà dopo la sua morte a consolare gli uomini in attesa della sua nuova venuta (Gv 14,16; 20,22).

E non è più la voce di Dio che, squarciando il cielo, attesta che Gesù è il suo Figlio diletto, ma quella di Giovanni. La sua testimonianza, pur provenendo dall’alto, si fonda comunque su un’esperienza personale «Io ho visto ». Solo in un’altra occasione nei vangeli sinottici è possibile leggere una simile testimonianza ed è il momento supremo della croce quando gli uomini fanno l’esperienza più alta di Dio nel volto di un uomo che muore :« ‘Costui’- questo ‘uno’ tra tanti-era veramente il Figlio di Dio» (Mt 27,54; Mc 15,39).

 

Riferimenti

Più diffusamente nel corpo del testo.

Meditazione su Gv 1,29-34

 

Lectio divina prima lettura