Lectio divina su Gv 6, 51-58

Corpus Domini – 2 giugno 2002

[51] Io sono il pane vivente sceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

[52] Allora i Giudei si misero a litigare tra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». [53] Gesù disse: «In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. [54] Chi mastica la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. [55] Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.

[56] Chi mastica la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. [57] Come il Padre, che vive, ha mandato me e io vivo per mezzo del Padre, così anche chi mastica me vivrà per mezzo di me.

[58] Questo è il pane sceso dal cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono. Chi mastica questo pane vivrà in eterno».

* Quelle sottolineate sono alcune parole chiave per la meditatio.

 

Nonostante la festa del Corpus Domini abbia a volte assunto nella nostra tradizione ecclesiale un discutibile significato di contrapposizione ai fratelli separati della Riforma sul tema della eucaristia, il brano dell’evangelista Giovanni, che il lezionario della festa ci propone, mira anzi a sottolineare l’universalità della salvezza offerta al mondo da Gesù nella sua concreta sequela della volontà del Padre.

Il contesto nel quale si inserisce questo discorso del pane di vita, già avviato nei versetti precedenti, è, infatti, quello di un grande preannuncio pasquale.

La miracolosa moltiplicazione dei pani, segno di una Sapienza che predispone un lauto banchetto per tutti i suoi convitati, e l’attraversamento a piedi delle acque di Cafarnao, richiamo al controllo delle acque di Mosé nell’Esodo, hanno preceduto le parole di Gesù ed hanno coinvolto le folle. Queste, però, hanno seguito Gesù, perché, ricordando anche la manna donata ai loro padri, vi hanno intravisto il personaggio messianico - tanto atteso dai giudei - che può guidarli verso la sospirata sazietà e la libertà dalla schiavitù.

Gesù si accorge delle motivazioni profonde di chi lo segue e ne disvela i limiti, invitando tutti a cercare il “pane del cielo, quello vero” (6, 32). Di fronte ad una richiesta diffusa di avere il pane (forse, la soluzione) dell’eternità, del tutto simile a quella della samaritana (Gv 4, 15), Gesù compie una rivelazione senza precedenti: “Io sono il pane della vita”.

Proprio questo annuncio viene ripreso e approfondito all’inizio del nostro brano, proprio dopo le mormorazioni dei giudei. La mormorazione, infatti, è un peccato tipico degli ignoranti, è il “tentativo di demolire l’autorità profetica” da parte di coloro che si ritengono già “liberati” (E. Bianchi).

Alle mormorazioni di Israele nell’Esodo (Es 16,2), cui seguì il dono della manna, corrispondono nel nostro brano le mormorazioni dei giudei, che continuavano a fraintendere il vero senso della dipendenza dai bisogni e della manna, cui segue, come nell’Esodo, un altro dono, quello del pane vero, quello definitivo, cioè Gesù stesso.

L’evangelista spiega che non è il miracolo della manna che ha salvato il popolo ebreo, ma la benevolenza del Signore, che oggi si manifesta nella presenza di Gesù nel mondo e nella sua disponibilità al progetto del Padre.

E’ questo, infatti, il senso della identificazione tra il Pane di vita e la carne di Gesù. Gesù rivela ai suoi uditori che ha intenzione di offrire al Padre tutta la sua umanità (la “carne”, cioè l’insieme delle sue potenzialità e le sue debolezze) per la vita del mondo. Non solo per gli eletti, quindi, ma per tutti quanti, compresi quelli che sono “del mondo” (v. Gv, 16,19). Il suo dono si presenta, cioè, come un dono universale.

Questa ampiezza di prospettive disorienta i giudei, i quali - se non ci limitiamo a banalizzare la portata dei loro interrogativi, riducendoli a considerazioni cannibalistiche - si dividono tra coloro che si lasciano inquietare dal fatto che l’umanità del Gesù che loro conoscevano bene possa essere effettivamente lo strumento per la realizzazione della salvezza del mondo e coloro che, invece,  ritengono impossibile che la carne di un uomo sia cibo di vita eterna per tutti. E’ in sostanza il dubbio della fede, sul quale poco prima (6,35) Egli stesso diceva: “chi viene a me non avrà più fame, chi crede in me non avrà più sete”.

Su questo punto Gesù non fa mediazione, ma approfondisce lo scompiglio.

Nella comunità ebraica, infatti, era tabù mangiare la carne del sacrificio e, soprattutto, bere il sangue, in quanto questo si riteneva contenesse la vita (Gn 9,4; Lv 3,17; Dt 16,23-25). Presentandosi con queste parole come l’agnello sacrificale, Gesù prospetta - affermando quella che appare agli occhi degli altri una vera e propria bestemmia - la Vita nel bere il suo sangue.

Anzi, Giovanni sottolinea con un verbo particolare il modo di accostarsi al corpo di Cristo, cioè con il verbo greco equivalente al nostro “masticare”, che tanto ricorda la ruminatio della Scrittura quotidianamente spezzata nel metodo della lectio divina. “Chi mastica la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno” (v.54). È in questa protratta masticazione della Parola, così come nel continuo cibarsi del sacramento eucaristico, che sta il vero cibo di vita eterna.

Quel cibo che gli ebrei non hanno avuto e che ora è offerto agli uomini nella fede del Figlio, il cammino del quale siamo chiamati a sussumere come fosse pane e vino. Ecco l’Eucaristia, ecco l’offerta che ogni settimana celebriamo, offrendo il nostro pane ed il nostro vino. “Noi offriamo il mondo e noi stessi a Dio, ma facciamo ciò nel Cristo ed in memoria di lui. Lo facciamo nel Cristo, perché Egli ha offerto  tutto ciò che si deve offrire a Dio. Egli ha compiuto una volta per tutte questa Eucaristia e nulla è rimasto che non fosse offerto … E lo facciamo in memoria di lui perché, mentre offriamo continuamente la nostra vita ed il nostro mondo a Dio, scopriamo che non c’è nient’altro da poter essere offerto se non il Cristo stesso” (A. Schmemann).

L’accoglienza dell’uditorio a questo annuncio è il giudizio: “Questa parola è dura. Chi può ascoltarla?”. E da allora molti discepoli abbandonarono Gesù. Ci troviamo così di fronte ad uno dei tre rifiuti che i discepoli fanno al Signore nei Vangeli, cioè il rifiuto della Croce (Mt 16,22), il rifiuto del matrimonio indissolubile (Mt 19, 3-10) ed, ora, il rifiuto dell’Eucaristia. Solo la Chiesa di Pietro e di Giuda continua a seguirlo.

Meditazione su Gv 6, 51-58