Lectio divina di Gv 3,14-21 – domenica 02.04.2000

4^ domenica di Quaresima

[14] "E come Mosè innalzò il serpente nel deserto (Nm 21,4-9; Sap 16,6-10), così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, [15] perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna . [16] Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. [17] Infatti Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. [18] Chi crede in lui non è giudicato; ma chi non crede è già stato giudicato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio. [19] E il giudizio (greco: krisis) è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. [20] Chiunque infatti compie il male, odia la luce e non viene presso la luce perché non siano rimproverate le sue opere. [21] Ma chi fa la verità viene presso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio".

*Le parole sottolineate sono parole-chiave per la meditatio

Già domenica scorsa abbiamo visto come il percorso di consapevolezza e di conversione potesse prendere le mosse da un'opera di destrutturazione. Il Signore che rovesciava i tavoli costituiva l'occasione per constatare una divaricazione negli atteggiamenti: i discepoli col loro silenzio memoriale e i giudei con la loro esigenza miracolistica (Gv 2, 13-25).

Nicodemo è l'uomo che si interroga, che sa andare oltre i segni: "nessuno…può fare i segni che tu fai, se Dio non è con lui" (3,2b). Con quest'uomo di buona volontà, che vuol capirci di più, Gesù si intrattiene volentieri e volentieri gli rivela il mistero dell'amore di Dio. E' necessaria una ri-nascita per entrare in questo mistero (3,5). Ma questa rinascita non è opera né di uno sforzo intellettuale né di uno sforzo ascetico. E' il frutto di un evento. Quest'evento è indicato chiaramente all'inizio del nostro brano, nella sua connessione ad un altro evento, veterotestamentario: "E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna" (vv. 14-15). Dio si fa storia attraverso eventi. Dio si dona attraverso eventi. Questi eventi di innalzamento sono dunque eventi di donazione, eventi di amore. Ri-nascere vorrà dire scommettere la propria esistenza sulla possibilità che Dio possa amare l'uomo a tal punto da chiudere la partita del peccato con un atto gratuito di riconciliazione (Rm 5, 8-10).

I vv. 16-21 rappresentano la lettura teologica di questo secondo e definitivo innalzamento nel duplice movimento che va da Dio all'uomo (16-18) e dall'uomo a Dio (19-21). Al centro di questo doppio movimento riconciliativo c'è una parola decisiva: krìsis, che traduciamo con giudizio, ma senza sfuggire alla suggestione della sua derivazione lessicale in lingua italiana: appunto, crisi. All'origine della possibilità che l'uomo rimodelli la propria esistenza sulla risposta all'amore di Dio c'è dunque una crisi, una destrutturazione, che pone l'uomo di fronte alla necessità di ripensare i presupposti esistenziali del proprio vivere.

E in questo movimento di risposta, in questa crisi-giudizio, non sono coinvolti soltanto alcuni uomini, ma tutti gli uomini: chiunque (15), il mondo (16), chiunque (16), il mondo (17, tre volte), chi (18, due volte), gli uomini (19), chiunque (20), chi (21) sono spie linguistiche abbastanza significative di un' opzione universale di Dio. Di fronte ad ogni uomo l'evangelista Giovanni pone alternative radicali: morte-vita (16), giudizio-salvezza (17), fede-incredulità (18), luce-tenebre (19) , male-verità (20-21).

L'elemento più sorprendente del discorso sta nella dinamica del giudizio non come atto positivo di Dio, che si situa al termine della storia, bensì come constatazione di una scelta esistenziale dell'uomo (escatologia anticipata): "chi non crede è già stato giudicato" (v.18). Quel giudizio è già avvenuto nel momento stesso in cui, rispetto alla crisi prodotta dall'Evento, ci si è posti in termini di resistenza. La resistenza all'amore di Dio genera, di per sé, il collocarsi al di fuori della Vita. Senza che per questo si debba necessariamente negare la possibilità di una Grazia che possa intervenire ancora, a Giovanni preme sottolineare il qui e ora di una scelta che si connota come scelta di autenticità e di verità. Nei vv. 19-21 è in gioco la possibilità di rinunciare ad un io nascosto, come l'Adamo di Gn 3,10, per accedere ad un io che non ha vergogna di farsi amare da Dio perché rispetto a questo amore non ha più nulla da perdere.

Ri-nascere, allora, sembra voler significare recuperare una unione perduta. Fare la verità sembra voler indicare la possibilità di un'unificazione interiore. Credere, a questo punto, vorrebbe dire rientrare profondamente in se stessi per cogliersi come separati. E' probabilmente questa percezione profondissima di una solitudine esistenziale il luogo di quella crisi e l'inizio di un cammino, non necessariamente breve, che può indurre ogni uomo a recuperare la Compagnia originaria. Più che una responsabilità morale è una necessità esistenziale. Prima che essere un dono fatto a Dio, la fede è un dono fatto a se stessi.

 

Brani di riferimento (oltre a quelli già citati) :

 

Commento su Gv 3,14-21