Lectio divina di Mc 2,18-22– domenica 2.03.2003

8^ domenica tempo ordinario

 

 

[18] Ora i discepoli di Giovanni e i farisei stavano facendo un digiuno. Si recarono allora da Gesù e gli dissero: "Perché i discepoli di Giovanni e i discepoli dei farisei digiunano, mentre i tuoi discepoli non digiunano?". [19] Gesù disse loro: "Possono forse digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro? Finché hanno lo sposo con loro, non possono digiunare. [20] Ma verranno i giorni in cui sarà loro tolto lo sposo e digiuneranno in quel giorno. [21] Nessuno cuce una pezza di panno grezzo su un vestito vecchio; altrimenti il rattoppo si stacca da esso, il nuovo dal vecchio, e avviene uno strappo peggiore. [22] E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino frantumerà gli otri e si perdono vino e otri, ma vino nuovo in otri nuovi".

 

*Le parole sottolineate sono parole-chiave per la meditatio

 

 

Il brano che ascolteremo domenica costituisce la terza disputa delle cinque che si dipanano in Marco ai capitoli 2 e 3, 1-6 e ci appare anche come la controversia centrale: infatti, nella prima disputa, gli interlocutori di Gesù rimuginavano in silenzio (durante la guarigione del paralitico: vv.6-7); nella seconda si rivolgevano ai discepoli di Gesù (che erano a tavola a casa di Levi: v.16); ora invece lo affrontano direttamente (v.18).

 Ma la centralità dell’episodio è data soprattutto dalla presentazione che Gesù fa di se stesso quale Sposo. Si tratta infatti di un appellativo del tutto inusuale nel Primo Testamento per definire il Messia, ma che alcuni profeti usano per designare Dio stesso. Dunque Gesù sta cogliendo l’opportunità di questa controversia per definire con chiarezza che Egli non solo è il Messia, ma è anche il Figlio di Dio. La sua presenza inaugura così il tempo messianico, tempo di gioia e di salvezza, in cui non può esserci spazio per pratiche luttuose. E’, ancora una volta, una questone di tempi. Se è vero che c’è “un tempo per piangere e un tempo per ridere”, come ci ricorda Qoèlet 3,4, quello che i discepoli vivono è proprio il tempo della festa, della risata gioiosa, della compagnia solare che si deve riservare allo sposo. Non mancherà, purtroppo, il tempo per piangere, quando lo sposo verrà strappato via (v.20): con questa espressione, usata da tutti e tre i sinottici, in cui si fa balenare la morte violenta di Cristo, si può cogliere un’allusione alla sorte riservata al Servo sofferente di Isaia 53,8 che “con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo”.

A questo punto, dal v.21, viene giustapposta una seconda parte che doveva forse appartenere a un altro contesto, ma che si attaglia bene anche a questo. Che si tratti di una parabola autonoma, lo indica chiaramente il parallelo di Luca con un versetto di ‘sutura’ (5,36: Diceva loro anche una parabola). Sono due esempi desunti dall’esperienza quotidiana del sarto e del contadino. Il panno grezzo -cioè non ancora cardato- quando viene lavato si restringe, procurando uno strappo alla veste su cui è applicato. L’otre è fatto di pelle di capra rovesciata e cucita: se è usurato può facilmente scoppiare a contatto col vino nuovo che continua a fermentare. Gesù allude dunque, con chiarezza, alla novità dirompente dell’era messianica da Lui inaugurata, che mal si sposa con la persistenza di pratiche, pur nobili e antiche, se non se ne capisce il senso e non le si vive a tempo debito. Cristo non vuole certamente l’abolizione del digiuno (in ebraico: som), che anche lui stesso pratica quando necessario (prima delle tentazioni, per esempio) e che invita a praticare con serenità discreta (Mt 6,16-18): il Signore intende però spezzare la meccanicità di un gesto per ridargli voce e renderlo di nuovo significante. Come già lamentava il profeta Isaia 58,5-6, anche  ai tempi di Gesù si rischiava ‘l’inflazione’ del digiuno: i Farisei, per esempio, digiunavano due volte alla settimana (lunedì e giovedì, tanto che i Cristiani scelsero in séguito il mercoledì e il venerdì proprio per differenziarsene: nell’espressione ‘in quel giorno’ - al v.20 - alcuni ravvisano proprio un riferimento al venerdì, il giorno della morte del Signore).

            Andiamo incontro oggi, a una singolare coincidenza: il prossimo 5 marzo, mercoledì delle Ceneri, siamo invitati anche noi a vivere come Chiesa un giorno di digiuno. Può sembrare una pratica dal sapore antico, ma proprio il brano di domenica ci aiuterà a leggerla e a interpretarla in una luce buona. Anche gli Ebrei, oltre all’unico giorno di digiuno generale (Yom Kippùr, giorno dell’espiazione, detto anche ”giorno del grande digiuno”), indicevano digiuni particolari in caso di guerra, carestia, o altre calamità straordinarie. A questo siamo chiamati mercoledì, dato che “c’è un tempo per la guerra e un tempo per la pace”(Qo 3,8b). Abbiamo l’opportunità di condividere col Signore il suo sguardo di indignazione e di collera, il suo dolore “per la durezza dei loro cuori” (Mc 3,5: l’ultima controversia). E abbiamo soprattutto l’opportunità di fare ancora una volta memoria dell’Assente e di ricordarci, con il profeta Gioele 2,12, che il digiuno non ha altro scopo se non quello di ritornare a Lui con tutto il cuore.

 

 

 

 

 

Brani di riferimento (oltre a quelli già citati) :

 

·                    Sul digiuno nell'AT: Es 34,28; Is 22,12-13; Zc 7,5; 2Sam 12,15-23.

 

·                    Digiuno e preghiera: At 13,2-3; 14,23.

 

·                    Su Dio - Sposo nell'AT: Os 2,18; Is 54,5-8; Ez 16.

 

·                    Sullo sposo nel NT: Mt 25,1.5.10; Gv 3,29; 2Cor 11,2; Ef 5,21-33; Ap 21,2.9.