Introduzione
alla lectio di Gv 6, 37-40
2
novembre 2003 - XXXI domenica del tempo ordinario
[37] Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a
me; colui che viene a me, non lo respingerò, [38] perché sono disceso
dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi
ha mandato. [39] E questa è la volontà di colui che mi ha mandato. Che
io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma lo risusciti nell'ultimo
giorno. [40] Questa infatti è la volontà del Padre mio, che chiunque
vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; io lo risusciterò
nell'ultimo giorno. |
Le
parole di Gesù riportate in questi versetti richiedono, per essere
adeguatamente comprese, una chiara contestualizzazione nel più ampio scenario dei
primi capitoli del vangelo di Giovanni. Nei primi quattro capitoli infatti Gesù
si ritrova ad essere accolto positivamente da tutti: Giovanni Battista (1,
26-27; 29-34) e i suoi discepoli (1, 35-40), Maria nell'episodio delle nozze di
Cana (2, 1-11), Nicodemo (3, 1-21), la donna samaritana incontrata al pozzo di Giacobbe
(4, 1-30). I primi scontri con i Giudei (come vengono chiamati dall'evangelista
Giovanni) sono ancora deboli (2, 13-22) e non contrassegnati dalla drammaticità
dei capitoli successivi.
Dal
quinto capitolo comincia invece una nuova fase contrassegnata
dall'incomprensione delle folle (che vogliono "impadronirsi" di lui
per farlo re (6, 15)), dagli scontri sempre più duri con i farisei (9,16.24.40-41;
11,49-53 a partire dal quale brano viene detto che i farisei decidono di ucciderlo)
e dall'abbandono della maggior parte dei discepoli (6, 60.66-67). Questa
anticipazione dello scontro duro di Gesù con i farisei rispetto ai vangeli
sinottici, dove la fase più drammatica è riservata alla fase finale e
all'incontro nel sinedrio, mostra come per Giovanni essa abbia un significato
"costitutivo" del rapporto di Gesù col mondo.
In
questo contesto si inserisce il capitolo 6, che costituisce un'unità ben
strutturata, caratterizzata dai momenti principali della moltiplicazione dei
pani (6, 1-14), del cammino sopra le acque di Gesù (6,16-21) e del discorso sul
pane della vita (6,26-58). Nonostante una certa apparente eterogeneità dei
temi, l'unità è garantita dall'inclusione del capitolo entro una coppia di
"dopo questi fatti" (6,1 e 7,1) e dal fatto che l'evento narrato si
svolga poco prima della Pasqua, mentre quello successivo è ambientato durante
la festa delle Capanne, sei mesi dopo.
Il
tema intorno al quale si può ritenere ruotare l'intero capitolo è legato
all'opzione fondamentale tra credere e non credere in Gesù.
Giovanni
infatti racconta in tutta la sua drammaticità la profonda difficoltà dell'uomo
a credere in Lui. Dal racconto di Giovanni rileviamo come tali difficoltà dipendono
dalla resistenza al liberarsi dei propri punti di vista (il modo di intendere il
sabato in 6, 10-18) e delle proprie aspettative (un Salvatore che fosse una
potenza terrena, in 6, 15), ma anche dallo scarso amore per le Scritture (5,
45-47) e perfino per Dio (5, 42).
Tutto
questo viene ulteriormente illuminato dal discorso del pane. L'immagine del
nutrimento dato da Dio è tipica del Primo Testamento (la manna in Es 16, 15; Nm
11,7; Dt 8, 3, ma anche Gn 1, 29; 9,3; Is 25,6). Il concetto stesso di
nutrimento mette l'uomo di fronte alla propria dipendenza dall'esterno. L'uomo
può signoreggiare sul mondo animale e vegetale (Gn 1,29), ma deve anche fare
obbedienza ad esso e alle sue regole se vuole usarne per il proprio nutrimento.
L'uomo che si nutre delle ricchezze della natura (per quanto frutto anche della
sua stessa fatica) si riconosce parte di un sistema più ampio dal quale non può
prescindere. Se poi quel cibo gli viene direttamente da Dio (come la manna, ma
anche come i pani donati da Gesù), l'uomo è in condizione di riconoscere
appieno la sua creaturalità e la propria dipendenza da Dio stesso. Nel miracolo
della moltiplicazione dei pani Gesù si ricollega a tutto questo, ben presente
alla tradizione israelitica.
Tale
tradizione fa anche un passo in più (che pure Gesù tiene ben presente), giungendo
a riconoscere nel pane anche un'immagine della Parola di Dio, dell'insegnamento
sapienziale di cui l'uomo si nutre al pari del cibo materiale (Sap 16, 26; Pro
9, 5-6; Sal 119, 103).
Il
passo ulteriore di Gesù rispetto alla tradizione del Primo Testamento, e qui il
discorso diventa davvero troppo duro per i suoi ascoltatori (6, 60), è quello
di identificare se stesso con il pane "disceso dal cielo", vero
nutrimento che spazza via la dipendenza dalla fame e dalla sete (6, 27.35).
Gesù addirittura pone l'accento in maniera particolare sul suo legame con il
Padre dicendo di essere disceso dal cielo (6, 38) utilizzando lo stesso verbo (katabaíno) prima usato per il pane in 6,
33, ma ponendovi a fianco il suffisso apó
(da) invece di quello ek usato per il
pane, che oltre alla provenienza "da" sottolinea anche un legame
stretto che continua.
Questo
è davvero indigeribile per le folle che seguono Gesù e persino per la grande
maggioranza dei suoi discepoli ("molti dei suoi discepoli si tirarono
indietro e non andavano più con lui"). Essi "sanno" infatti
qual'è l'origine di Gesù (6, 42), conoscono i suoi genitori ed il suo paese
natale e non possono vedere in quell'uomo la presenza di Dio.
Il
dramma vero, profondo, che l'evangelista Giovanni pone sotto i nostri occhi è
la impossibilità per l'uomo di riconoscere Dio nel momento in cui questi prende
le forme deboli e povere dell'umanità. Il paradosso è che l'uomo che si vuole
vedere grande e non accetta la propria creaturalità, ha in realtà un'idea
troppo bassa di se stesso ed è profondamente scandalizzato all'idea che in un uomo
possa trovare posto Dio stesso.
La
mancanza di amore per Dio è in realtà ancora prima una mancanza di amore
dell'uomo per se stesso. La vera salvezza che Gesù porta a chi crede in Lui è
quella di potere guardare se stessi (e gli altri uomini) con occhio diverso,
con lo stesso amore e la stessa benevolenza con cui Lui sa guardarci.
Da
qui tutta la fame dell'uomo, che è in primo luogo fame di amore e bisogno di
perdonare se stesso, trova definitivo soddisfacimento e le porte della vita
eterna sono infine spalancate (6, 39-40).
Altri brani di riferimento:
Is
55, 10-11; Es 19, 11.20; Nm 11, 9 su ciò che discende dall'alto