Lectio divina di Gv 20,19-23 – Domenica 19.05.2002 -
Pentecoste
[19]
La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano
chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore
dei Giudei, venne (14,18.28) Gesù, stette nel mezzo e disse loro: "Pace
a voi!". [20] Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E
i discepoli gioirono al vedere il Signore.
[21] Gesù disse loro di nuovo: "Pace a voi! Come il Padre
ha mandato me, anch'io mando voi (13,20; 17,18)". [22] Dopo
aver detto questo, alitò (Gn 2,7; Sap 15,11) su di loro e disse:
"Ricevete spirito santo; [23] a chi rimetterete i peccati saranno
rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi (Ger 31,31-34;
Ez 36,25-27; Mt 18,18)". |
Quando ci si riferisce a questo brano, in genere si parla
di “Pentecoste giovannea”, ma impropriamente. I fatti narrati sono collocati
alla fine del “primo giorno dopo il sabato”, dunque nel giorno che oggi la
Chiesa celebra come Pasqua del Signore. La fondazione della Chiesa nello Spirito,
in Giovanni, avviene nello stesso giorno della Risurrezione del Signore.
Il testo si inserisce nel capitolo 20. Gesù è già apparso
alla Maddalena e ai due discepoli accorsi al sepolcro (Gv 20,1-18), ma la
comunità dei discepoli appare ancora dominata dal timore. Non sembra che ci
sia spazio per la fede nel Risorto. Tutto quello che avviene va compreso alla
luce del grande discorso dei cc.13-17 di Giovanni. In esso infatti sono contenuti
i temi fondamentali che qui si ripresentano: la venuta di Gesù in mezzo
ai discepoli, la pace, la gioia, la missione e, soprattutto,
la presenza nuova di spirito santo direttamente comunicato da Gesù.
Si tratta di temi largamente afferenti alla spiritualità biblica dell’AT,
come attestano i brani indicati qui di seguito.
Il centro del brano è il momento in cui Gesù alita lo
Spirito. Il verbo utilizzato da Giovanni è enphysao, che si trova soltanto
qui nel Nuovo Testamento. Significativamente è lo stesso verbo utilizzato
in Gn 2,7, che qui riportiamo: allora
il Signore Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue
narici un alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente. Il parallelo col testo del Genesi suggerisce che qui
Gv voglia presentare una nuova creazione, sulla linea del discorso fatto da
Gesù a Nicodemo in Gv 3,3: se uno non rinasce dall'alto, non può vedere
il regno di Dio.
L’
“uno” del discorso a Nicodemo qui è una comunità. E’ la comunità dei discepoli
che rinasce a vita nuova.
Questa rinascita è preceduta da un movimento del testo
che mette in evidenza alcuni passaggi importanti dal punto di vista teologico.
Il primo movimento è proprio di Gesù, il quale viene e sta nel
mezzo. L’indicazione delle porte chiuse segnala l’attitudine di Gesù ad esser
presente quando e come vuole nella sua Chiesa. Niente può ostacolare il movimento
del Signore: non possono ostacolarlo né difficoltà pratiche (appunto, le porte),
né resistenze interiori (il timore). Gesù compare tra i suoi mettendo insieme
una parola ed un gesto da non separare. La parola è pace. Il gesto è quello
di mostrare i segni della sua sofferenza. Nel linguaggio biblico pace non
indica tranquillità. Indica di più: pienezza di vita. Ciò che era disperso
è radunato, ed è radunato da chi ha vinto il male. Il male non è cancellato,
è superato. I suoi segni stanno lì a ricordarlo. I discepoli da quei segni
riconoscono il Signore. Dal riconoscimento la gioia, un altro frutto escatologico
che nell’AT indica, a sua volta, pienezza di vita. C’è una progressiva ricostruzione
interiore che Gesù va operando nei suoi discepoli. Pace, riconoscimento,
gioia, sono il percorso interiore che rende i discepoli idonei ad essere inviati.
Cominciano da questi presupposti gli “Atti” giovannei:
“come il Padre ha mandato me così io mando voi”. E’ a questo punto che avviene
l’atto che rende possibile l’invio: la comunicazione di spirito santo come
nuova creazione.
Le chiese cristiane
hanno molto dibattuto sull’interpretazione da dare al versetto finale sulla
remissione dei peccati. Che vuol dire rimettere o non rimettere i peccati?
Si tratta di una prerogativa legata al sacramento della riconciliazione? E
tale prerogativa è rivolta soltanto agli Undici o a tutti i discepoli? Non
si può giurare che questo tipo di problemi se li ponesse – almeno in questi
termini - anche l’autore del testo. Una nota interessante è che soltanto qui
e in due altri brani (Gv 8,24 e 9,34) Giovanni usa il termine “peccati” al
plurale. In tutto il suo Evangelo si parla sempre di “peccato”. Come che sia
di tali questioni, certo è che non si può scorporare la questione della remissione
dei peccati dall’atto della comunicazione dello spirito. L’uomo spirituale
rimette i peccati probabilmente perché riceve dal Cristo la capacità del discernimento
ovvero la capacità di ricondurre l’interiorità dell’uomo alla questione fondamentale
della fede. Se è vero che nell’Evangelo di Giovanni il più grave peccato è
quello di non credere, non è inverosimile che alla comunità dei discepoli,
grazie alla comunicazione dello Spirito, sia stata donata proprio la capacità
di discernere, al di là di una banale elencazione di “peccati”, l’orientamento
di ogni credente alla fede o all’idolatria.
Brani
di riferimento:
·
La pace: Gdc 6,23-24; 1Sam 25,6; 1Re 2,33; Sal 72,7; Is 55,12; Ger 14,13; Ez 34,25;
Gv 14,27; 16,33.
·
La gioia: Is 9,2; 35,10; 55,12; Sal 126,3-5; Gv 3,29; 15,11;
16,16-24; 17,13; 1 Gv 1,1-4; 2Gv 12
·
Lo Spirito: Gn 2,7; Ez 37,9; Prv 20,27; Gb 27,3; Sap 15,11; Gv
1,32-33; 3,3-8; 7,39; 1Cor 15,45; 1Gv 4,13.