Lectio divina di Lc 1,26-38 – domenica 19.12.1999

4^ DOMENICA DI AVVENTO

[26] Nel sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, [27] a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. [28] Entrando presso di lei, disse: "Gioisci, colmata di grazia, il Signore è con te". [29] Ella rimase sconvolta per la parola e si domandava che senso avesse un tale saluto. [30] L'angelo le disse: "Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. [31] Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce (Is 7,14) e lo chiamerai Gesù. [32] Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre [33] e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine" (Is 9.6).

[34] Allora Maria disse all'angelo: "Come è possibile? Non conosco uomo". [35] Le rispose l'angelo: "scenderà Spirito santo su di te, ti coprirà con la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà santo sarà chiamato Figlio di Dio. [36] Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: [37] nulla è impossibile a Dio" (Gn 18,14). [38] Allora Maria disse: "Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me secondo la tua parola". E l'angelo si allontanò da lei.

*Le parole sottolineate sono parole-chiave per la meditatio

E’ il racconto di una donna marginale, in una città marginale (Nazaret di Galilea significa essenzialmente periferia geografica e religiosa) che viene incontrata dalla Parola. Gabriele è il portatore di questa Parola che non è soltanto discorso, ma è anche forza che trasforma il cuore e imprime una svolta alle storie minime, quelle che stanno fuori dai grandi circuiti della religione. Il nome Gabriele infatti significa forza di Dio. La forza della Parola di Dio aveva agito già nel tempio di Gerusalemme, nel brano che precede il nostro. Gabriele aveva annunziato la nascita di un figlio all’incredulo Zaccaria (Lc 1,5-25) ed è proprio la storia di questi due anziani, Zaccaria ed Elisabetta, che fa da cornice agli avvenimenti che accompagnano la nascita di Gesù. La nascita di Giovanni è annunciata a Gerusalemme, quella di Gesù nella disprezzata Nazaret.

"Ha innalzato gli umili", potrà dire Maria nel suo Magnificat (Lc 1,52). Potrà dirlo perché questa è l’esperienza che le è avvenuto di fare. La sua vita quotidiana viene attraversata da una Presenza operante che ha il duplice effetto di sconvolgerla emotivamente e di mettere in movimento i suoi pensieri (v.29). Il saluto dell’angelo, quel tipo di saluto, doveva richiamarle alla memoria tutta una serie di figure dell’Antico Testamento che erano state visitate dalla Grazia del Signore. Conosceva bene, Maria, il significato della parola Grazia, e soprattutto il significato dell’espressione "Il Signore è con te" (v.28), tipica del linguaggio con cui le Scritture avevano sempre designato il rapporto di amore che legava il Signore al suo popolo (cf. Os 11,1-4). Chi, come Maria, si nutriva delle Scritture doveva possedere una sensibilità speciale verso i "passaggi" del Signore stesso. E l’irruzione "presso di lei" (v.28) di questo Gabriele-forza del Signore, già interiorizzato dalla ruminatio delle Scritture, doveva significare che uno di questi passaggi era in atto. Sicuramente non immaginava che si trattasse del passaggio cruciale di tutta la storia della salvezza.

Gabriele parla il linguaggio dell’Antico Testamento. Quello che annuncia è l’adempimento di Isaia. Il contenuto dell’annuncio, per Luca, rappresenta un condensato di cristologia. Gesù è rappresentato come Figlio dell’uomo, Figlio dell’Altissimo, Figlio di Davide ovvero come la realizzazione piena, storica, dell’amore di Dio per l’uomo. E la risposta di Maria non è incredula come quella di Zaccaria, poiché non riguarda l’essenza dell’annuncio, ma la modalità pratica. La fede non è mai incosciente. Anche quando l’uomo crede, chiede sempre maggiore luce per illuminare il mistero che gli viene donato. Per Maria dire "non conosco uomo" (v.34) non significa soltanto chiedere lumi sulla modalità del suo concepimento, ma porsi un interrogativo ancor più drammatico che riguarda il suo destino di futura lapidata (Dt 22,22-24). Com’è possibile essere "colmata di grazia" secondo una modalità che sicuramente la porterebbe alla morte?

A quest’interrogativo viene risposto con l’immagine dell’ombra, della nube che oscura, un’immagine ben nota a Maria dalla lettura del libro dell’Esodo, in cui Israele regolava il proprio cammino sui movimenti della nube protettiva che costituiva la presenza di Dio, il camminare di Dio con il suo popolo. Ciò per lei costituisce la garanzia che le permette di dire il suo sì alla Parola. La grandezza di Maria, in altri termini, risiede nella sua piccolezza. Nel suo accogliere una presenza del Signore di cui non le interessa, a questo punto, conoscere altri particolari. Le è bastato sapere che a occuparsi di lei è proprio quel Dio delle Scritture, quello di Abramo e Sara, quello del Mar Rosso, quello di Isaia, che costituiva, come per ogni ebreo, il vero nutrimento. Il Dio capace di "cose impossibili".

Maria in questo brano è l'icone di chi ascolta la Parola con animo disponibile a farsi trasformare la vita. Dire "sono la serva del Signore" (v.38) ha significato morire a se stessa, alla sua quotidianità, per entrare in una dimensione nuova, sancita da quell’ alzarsi e andare in fretta verso la montagna (Lc 1,39) che la porterà ad essere, a sua volta, la prima annunciatrice dell’Evangelo alla cugina Elisabetta. Ed è significativo che all’annuncio dell’Evangelo, all’annuncio di quell’Apostola, sussulti nel grembo di Elisabetta quella creaturina, di nome Giovanni, che ancora una volta ci si offre come modello di ogni esultanza per la venuta del Signore (Lc 1.41; cf. Gv 3,29).

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