Introduzione
alla lectio di Mc 10, 35-45
19
ottobre 2003 - XXIX domenica del tempo ordinario
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Sulla via per Gerusalemme, il
luogo della rivelazione, continua l’alternarsi tra gli annunci della passione e
il senso di incomprensione ed estraneità per il messaggio di Gesù da parte dei
discepoli. Come al cap. 9 (vv. 33-34) al secondo annuncio della passione era
seguita la disputa dei discepoli su chi fosse il più grande, così nel nostro
brano la richiesta dei figli di Zebedeo segue immediatamente il terzo annuncio.
I discepoli e coloro che vanno dietro a Gesù sono stupiti e intimoriti (cfr. v.
10, 32) dalle sue parole.
Come Pietro
(cfr. v. 10, 28) anche Giacomo e Giovanni, che avanzano a Gesù la loro
rivendicazione per assicurarsi accanto a lui un posto privilegiato nella sua gloria,
hanno lasciato tutto e l’hanno seguito sin dalla prima ora, forse per questo
sentono di meritarsi qualcosa, secondo la logica terrena del fare in vista di
una ricompensa. Nella formulazione della loro richiesta dimostrano di voler
saltare l’esperienza della croce, proprio la parte del messaggio e della
missione di Gesù che risulta per loro più incomprensibile, e si pongono
direttamente in una prospettiva postpasquale. Come spesso accade Gesù non
risponde ma rivolge loro una controdomanda in cui propone la condivisione del
calice e del battesimo, inteso come l’andare sino in fondo, l’immersione",
due immagini veterotestamentarie collegate in questo brano in quanto entrambe
significative della sofferenza e della morte. Nell’Antico Testamento, il calice
è sia un’immagine positiva della coppa del vino segno della benedizione e della
gioia (Sal 16, 5; 23, 5; 116, 13) sia un’immagine negativa quando è calice
dell’amarezza, della collera di Dio (Sal 75, 9; Is. 51, 17-22; Lam. 4, 21; Zc.
12, 2; Ger. 25, 27-31), quello stesso calice che nel Nuovo Testamento è anche
quello dell’agonia (cfr. v. 14, 36). Analogamente l’"immersione", il
battesimo, è l’essere travolto dal male e dalla sofferenza (Sal 42, 8; 69, 3,
15; 124, 4; Is. 43, 2). Ecco quindi che Gesù chiede se, nella sequela, i suoi
discepoli siano pronti a sopportare anche la tribolazione e la morte, in quanto
seguire Gesù sulla via della gloria, che si manifesta nella sua risurrezione,
non può prescindere dall’accettare di attraversare la tappa necessaria dello
scandalo della croce.
I discepoli
rispondono prontamente con una adesione che ricorda l’ardore della risposta di
Pietro (cfr. Gv. 13, 37) anche se così come Pietro nel momento della croce non
saranno accanto a Gesù e alla sua sinistra e alla sua destra ci saranno due
malfattori.
In ogni
caso i discepoli non devono essere spinti dall’aspettativa di una ricompensa ma
dalla disponibilità a entrare nel regno attraverso la sequela che passa dalla
croce.
Nella
seconda parte del brano, l’indignazione degli altri dieci manifesta come anche
essi condividano le stesse pretese di essere ricompensati e diventa preliminare
all’insegnamento di Gesù rivolta al gruppo dei discepoli, modello di ogni
comunità cristiana. Il contenuto dell’insegnamento riprende molto da vicino
quanto già espresso in 9, 35: «Se
uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti», ma
questa volta la logica del servizio, da una parte viene chiaramente
contrapposta alla logica del mondo e al comportamento dei potenti e dall’altra
trova il suo fondamento nell’imitazione di Cristo.
Accogliere
Gesù vuol dire accettare di rinunciare alle prospettive dell’uomo fondate
sull’ambizione del potere, la sete di predominio e di ricchezze. Gesù,
rivolgendosi ai discepoli, non auspica che in futuro più o meno prossimo essi
possano differire nella loro mentalità e nelle loro aspirazioni da quelle degli
altri uomini ma si rivolge al loro dicendo: «Ma voi non siete così», ora, in un
presente sempre attuale, dato che il capovolgimento dei valori e delle logiche
del mondo deve essere proprio e costitutivo di ogni comunità cristiana, in cui
l’essere grandi coincide con il servizio, la diaconia, l’essere primi con
l’essere schiavo.
Questo
capovolgimento che può sembrare paradossale, questo cambiamento di prospettiva
trova il suo fondamento profondo nel modello offerto da Cristo, che da servo
offre la sua vita come riscatto per molti (cfr. Is. 53, 10-12; Fil. 2, 5-8).
Gesù
presenta il servire gli altri e l’offrire la propria vita come il criterio
ermeneutico fondamentale per comprendere il senso della sua venuta nella
storia, la prova tangibile dell’amore di Dio per gli uomini, non pochi ma
molti.
Se
l’accoglienza di Gesù comporta il farsi piccoli, il dare i propri beni e
seguire, il seguire è servire e amare con l’amore stesso di Dio per gli uomini.