Introduzione alla lectio di Mc 10, 35-45

19 ottobre 2003 - XXIX domenica del tempo ordinario

 

[35] E Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, si avvicinano a lui e gli dicono: «Maestro noi vogliamo che tu ci faccia ciò che ti chiederemo» [36] Egli disse loro: «Cosa volete che io faccia per voi?» Gli risposero: [37] «Concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». [38] Gesù disse loro: «Voi non sapete ciò che domandate. Potete bere il calice che io bevo, o ricevere il battesimo con cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». [39] E Gesù disse: «Voi berrete il calice che io bevo e sarete battezzati col battesimo con cui io sono battezzato. [40] Ma di sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato». [41] All’udire questo, gli altri dieci cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. [42]Allora Gesù, chiamatili a sé, disse loro: «Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. [43] Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra di voi si farà vostro servitore, [44] e chi vuole essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. [45] Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito ma per servire e dare la propria vita come riscatto per molti».

 

 

Sulla via per Gerusalemme, il luogo della rivelazione, continua l’alternarsi tra gli annunci della passione e il senso di incomprensione ed estraneità per il messaggio di Gesù da parte dei discepoli. Come al cap. 9 (vv. 33-34) al secondo annuncio della passione era seguita la disputa dei discepoli su chi fosse il più grande, così nel nostro brano la richiesta dei figli di Zebedeo segue immediatamente il terzo annuncio. I discepoli e coloro che vanno dietro a Gesù sono stupiti e intimoriti (cfr. v. 10, 32) dalle sue parole.

Come Pietro (cfr. v. 10, 28) anche Giacomo e Giovanni, che avanzano a Gesù la loro rivendicazione per assicurarsi accanto a lui un posto privilegiato nella sua gloria, hanno lasciato tutto e l’hanno seguito sin dalla prima ora, forse per questo sentono di meritarsi qualcosa, secondo la logica terrena del fare in vista di una ricompensa. Nella formulazione della loro richiesta dimostrano di voler saltare l’esperienza della croce, proprio la parte del messaggio e della missione di Gesù che risulta per loro più incomprensibile, e si pongono direttamente in una prospettiva postpasquale. Come spesso accade Gesù non risponde ma rivolge loro una controdomanda in cui propone la condivisione del calice e del battesimo, inteso come l’andare sino in fondo, l’immersione", due immagini veterotestamentarie collegate in questo brano in quanto entrambe significative della sofferenza e della morte. Nell’Antico Testamento, il calice è sia un’immagine positiva della coppa del vino segno della benedizione e della gioia (Sal 16, 5; 23, 5; 116, 13) sia un’immagine negativa quando è calice dell’amarezza, della collera di Dio (Sal 75, 9; Is. 51, 17-22; Lam. 4, 21; Zc. 12, 2; Ger. 25, 27-31), quello stesso calice che nel Nuovo Testamento è anche quello dell’agonia (cfr. v. 14, 36). Analogamente l’"immersione", il battesimo, è l’essere travolto dal male e dalla sofferenza (Sal 42, 8; 69, 3, 15; 124, 4; Is. 43, 2). Ecco quindi che Gesù chiede se, nella sequela, i suoi discepoli siano pronti a sopportare anche la tribolazione e la morte, in quanto seguire Gesù sulla via della gloria, che si manifesta nella sua risurrezione, non può prescindere dall’accettare di attraversare la tappa necessaria dello scandalo della croce.

I discepoli rispondono prontamente con una adesione che ricorda l’ardore della risposta di Pietro (cfr. Gv. 13, 37) anche se così come Pietro nel momento della croce non saranno accanto a Gesù e alla sua sinistra e alla sua destra ci saranno due malfattori.

In ogni caso i discepoli non devono essere spinti dall’aspettativa di una ricompensa ma dalla disponibilità a entrare nel regno attraverso la sequela che passa dalla croce.

Nella seconda parte del brano, l’indignazione degli altri dieci manifesta come anche essi condividano le stesse pretese di essere ricompensati e diventa preliminare all’insegnamento di Gesù rivolta al gruppo dei discepoli, modello di ogni comunità cristiana. Il contenuto dell’insegnamento riprende molto da vicino quanto già espresso in 9, 35: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti», ma questa volta la logica del servizio, da una parte viene chiaramente contrapposta alla logica del mondo e al comportamento dei potenti e dall’altra trova il suo fondamento nell’imitazione di Cristo.

Accogliere Gesù vuol dire accettare di rinunciare alle prospettive dell’uomo fondate sull’ambizione del potere, la sete di predominio e di ricchezze. Gesù, rivolgendosi ai discepoli, non auspica che in futuro più o meno prossimo essi possano differire nella loro mentalità e nelle loro aspirazioni da quelle degli altri uomini ma si rivolge al loro dicendo: «Ma voi non siete così», ora, in un presente sempre attuale, dato che il capovolgimento dei valori e delle logiche del mondo deve essere proprio e costitutivo di ogni comunità cristiana, in cui l’essere grandi coincide con il servizio, la diaconia, l’essere primi con l’essere schiavo.

Questo capovolgimento che può sembrare paradossale, questo cambiamento di prospettiva trova il suo fondamento profondo nel modello offerto da Cristo, che da servo offre la sua vita come riscatto per molti (cfr. Is. 53, 10-12; Fil. 2, 5-8).

Gesù presenta il servire gli altri e l’offrire la propria vita come il criterio ermeneutico fondamentale per comprendere il senso della sua venuta nella storia, la prova tangibile dell’amore di Dio per gli uomini, non pochi ma molti.

Se l’accoglienza di Gesù comporta il farsi piccoli, il dare i propri beni e seguire, il seguire è servire e amare con l’amore stesso di Dio per gli uomini.