Introduzione
alla lectio divina su Giovanni 2, 1-12
18
gennaio 2004 – II domenica del tempo ordinario
[3] Nel frattempo, venuto
a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: “Non hanno vino”. [4]
E Gesù le dice: “Che cosa (c’è) fra me e te, donna? Non è ancora giunta
la mia ora”. [5] Sua madre disse ai servi: “Fate quello che vi dirà”.
[6] Vi erano là sei giare
di pietra per la purificazione dei Giudei, contenenti ciascuna due o
tre barili. [7] E Gesù disse loro: “Riempite d'acqua le giare”; e le
riempirono fino all'orlo. [8] Disse loro di nuovo: “Ora attingete e
portatene al maestro di tavola”. Ed essi gliene portarono. [9] E come
ebbe assaggiato l'acqua diventata vino, il maestro di tavola, che non
sapeva donde venisse (ma lo sapevano i servi che avevano
attinto l'acqua), chiamò lo sposo [10] e gli disse: “ Ogni uomo mette
da principio il vino buono e, quando sono un po’ brilli, quello meno
buono; tu hai conservato fino ad ora il vino buono”. [11] Questo fece Gesù
(come) principio dei suoi miracoli (lett. segni) in Cana di Galilea
e manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.
[12] Dopo questo fatto, discese a Cafarnao insieme con sua madre, i
fratelli e i suoi discepoli e si fermarono colà non molti giorni. |
Quelle sottolineate sono parole ed
espressioni chiave per la meditatio.
Se proprio volessimo individuare un brano
che, nei vangeli sinottici, corrisponde agli intenti teologici dell’episodio
giovanneo delle “nozze di Cana”, non potremmo che riferirci, sia pur con i
doverosi distinguo, ai passi che riguardano la trasfigurazione di Gesù (Mt 17,
1-9; Mc 9, 2-10; Lc 9, 28-36). Come nella trasfigurazione, infatti, anche qui
assistiamo ad una significativa anticipazione della gloria di Gesù, la stessa
gloria che è riservata ad ogni uomo che vorrà rintracciare il Cristo nella sua
storia. La percezione di questa rivelazione anticipata della gloria è, per
Giovanni, all’inizio del cammino di fede dei discepoli (v. 2,11).
Tanti elementi testuali e contestuali di
questo brano ci inducono a privilegiare una lettura autenticamente rivelativa
del miracolo del mutamento dell’acqua in vino. Del resto, non è un caso se il
nostro evangelista, a differenza degli altri sinottici, non parla dei c.d.
miracoli come atti di dynamis (lett. potenza, forza), ma come semeia,
cioè veri e propri segni. Mutare l’acqua in vino può essere, infatti, la magia
di un uomo potente oppure un evento che permette di leggere il senso di
qualcos’altro meno immediato.
In generale, il segno è il mezzo per svelare
una realtà più profonda e può essere colto da ognuno secondo il suo personale
livello di percezione. E la particolarità del vangelo di Giovanni è anche
quella di presentare il segno come spunto per indicare al credente la via del
Regno, una via che, ci dice oggi l’evangelista, passa attraverso l’ascolto e la
messa in pratica della sua Parola.
La fede che riconosce un segno, quindi, non
è certamente statica o passiva, ma accetta di affrontare il rischio e lo sforzo
vitale dell’interpretazione di ciò che ci sta intorno, magari portando a dare
una risposta non necessariamente univoca, così come del resto non fu univoca la
risposta dei primi seguaci di Gesù (v. 2,24).
Le prime parole del brano ci mettono già in
guardia sulla complessità semantica che il riferimento temporale iniziale
assume: il “dopo tre giorni” del v.1 si riferisce non solo al contesto
cronologico degli eventi che si susseguono (costituendo il culmine della prima
settimana cd. genesiaca che parte con la testimonianza del Battista; cfr. al
cap. 1 di Gv i vv. 19, 29, 35, 43), ma costituisce anche una espressione che i
primi cristiani impiegavano per segnalare che si sta parlando di qualcosa di
fortemente connesso con l’evento Resurrezione. A Natanaele non era stata
promessa poco prima una cosa grande, un cielo aperto?
Dopo tre giorni, Gesù ha scelto di condurre
i discepoli che ha appena convocato - quei discepoli che fino a pochi giorni
prima seguivano la rigida disciplina di digiuno del Battista - ad una
festa nuziale presso la quale Egli è
stato chiamato (la radice del termine utilizzato è la stessa di ecclesia)
e dove sua madre lo precede.
Il convivio è organizzato da gente
probabilmente non ricchissima (il vino non sarebbe mancato), ma sicuramente
credente, almeno alla maniera dell’A.T. (le sei rituali idrie di pietra – si
badi, non di impura terracotta - per le prescritte abluzioni, comunque,
ci sono).
Tra questa gente è venuto a mancare il vino.
La madre percepisce immediatamente l’assenza del vino e ne mette a parte il
Figlio.
La reazione di Gesù sorprende per la decisa
presa di distanza dalla madre, il termine utilizzato, “donna” è insolito per i
rapporti madre-figlio di quei tempi ed il tono è comunque inequivocabile se si
pensa che Gesù si rivolge a Maria con le stesse parole in cui nel vangelo di
Marco parlano i demoni (v. Mc 1,23).
Stupisce meno, però, se si pensa alla esigenza
di Gesù di rispettare il kairos del Padre, anche di fronte ad una
situazione che invoca il suo intervento. È solo il Figlio l’interprete assoluto
della sua Ora e dei bisogni di chi gli sta intorno, non c’è bisogno di
intermediazione. Risulta straordinario in questa luce fondamentale di
collaborazione alla gloria del Figlio, l’invito di Maria, icona della Chiesa,
ai servi verso un ascolto attento della sua Parola: Fate quello che egli vi
dice (v. Gn 41,55). La grandezza del suo ruolo non sembra tanto la funzione
levitica di fungere da trait d’union con il divino, ma piuttosto quella
di additare, nella umana (in)comprensione della volontà del Figlio, l’oggetto
costante della nostra attenzione, la Parola di Cristo.
Gesù ha, per la verità, già letto l’opportunità
di anticipare il cielo aperto promesso a Natanaele ed interviene con il segno
del vino, svelando ai suoi discepoli (unici veri destinatari insieme con la
stessa Maria del miracolo) che l’abbondanza di ritualismi giudaici (le sei
giare – si noti il numero 6, simbolo di imperfezione per gli ebrei –contengono
in tutto circa 600 litri), di cui essi erano pratici, non offre l’ebbrezza
dello Spirito, non può dare la vera gioia che solo il Cristo porta con sé.
“La legge cede il posto alla grazia ”,
direbbe Paolo. Si sperimenta una gioia nuziale, una felicità che è ben
rappresentata dalle qualità del vino e che spesso, come il vino, simbolizza
l’alleanza profonda tra Dio e l’uomo. L’inconsapevole maestro di tavola, il
quale non sa “donde” viene il vino, attribuisce questa gioia alle sapienti arti
organizzative dell’ignaro sposo, ma di essa i servi (diakonoi), i quali
a suo tempo hanno seguito l’indicazione di Maria, riconoscono bene l’origine
divina. Ecco che avviene il riconoscimento del segno, c’è l’inizio della fede.
E’ nello sperimentare il gusto inaspettato
di questo vino, il dono di una felicità non immaginata, che si realizza una
anticipazione della gloria futura. Da questa percezione di grande alleanza
sponsale che il Signore ci riserva, per l’evangelista Giovanni, si muovono i
primi passi della fede.
Riferimenti:
Ø
Sul
terzo giorno: Es 19, 8-16
Ø
“
Donde” : Gv 3,8; Gv 4,11; Gv 7,27; Gv 8,14; Gv 19,9
Ø Sul “vino” Gen 49,10; Amos 9,13-14; Is 25,6; Ct 5,1; Mc 2,22