Lectio
divina di Mt 25,14-30 – domenica 17.11.2002
XXXIII
domenica del tempo ordinario
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Quelle
sottolineate sono espressioni-chiave per la meditatio
Ancora saggi e stolti nella
Parola offertaci da Matteo.
Dopo le esortazioni
all’attesa vigilante sul modello delle vergini pensanti e prima dell’immagine
del giudizio finale, Matteo incastona la parabola dei talenti.
Ancora una volta il Signore
è assente, ma prima di partire fa un gesto di fiducia verso i suoi servi,
affidando loro la gestione di somme cospicue. Un talento, hanno ricostruito gli
studiosi, valeva a quell’epoca circa 26 chili di metallo prezioso. Se era in
argento il suo valore ammontava a circa 6000 dracme (cioè circa 6000 giornate
lavorative). A differenza del racconto parallelo di Luca in cui tutti i servi
ricevono la stessa somma, qui i talenti sono diversificati in base alle
capacità, alla potenzialità (dynamis)
di ciascuno. Non è una forma punitiva, tanto che sia per chi ha avuto cinque,
sia per chi ha avuto due, la ricompensa, incommensurabile, è la stessa: la
Gioia del Signore.
L’ansia di decifrare che
cosa siano questi ‘talenti’ ha portato a identificarli nei modi più vari. In
generale ha prevalso l’idea che questi talenti siano le doti naturali di
ciascuno: sembra sia stato Erasmo da Rotterdam, tra il 1400 e il 1500, a far
slittare il significato dal livello strettamente economico a quello caratteriale,
umano.
Enfatizzare questo aspetto
porta però a sottolineare molto i meriti dei servi che lavorano con ‘successo’,
e a dare al Signore quasi il volto di un imprenditore della new economy, che
ottimizza le ‘risorse umane’ di cui dispone, esaltando lo spirito di iniziativa
dei più abili e fustigando i meno ‘bravi’. Non è un caso che molti siti
internet di management e affini riportino proprio questa parabola a suggello
delle loro idee di produttività e dei loro metodi per avere successo, o per spiegare
cosa si debba intendere oggi per ‘talenti umani’. Se è inevitabile che ognuno
cerchi di piegare le pagine evangeliche per tirare acqua al proprio mulino, sta
a noi, ‘servi’ della comunità sognata da Cristo, non appiattire la Parola sulle
logiche di questo mondo, non ridurre il Vangelo a cassa di risonanza degli
ideali imperanti.
Il problema, ancora una
volta, non è cosa si ha o si può fare (tra l’altro variabili come
l’educazione ricevuta o il nascere nel
Nord o Sud del mondonon dipendono da noi), ma quale volto di Dio e quale
relazione con Lui e con i fratelli io custodisco e coltivo.
Il terzo servo ha sbagliato
‘solo’ una cosa: la sua idea di Dio. Non è punito perché è meno ‘vincente’
degli altri (il Signore che protegge gli orfani e le vedove ribalta queste
tristi categorie umane), ma perché non si è lasciato vincere dall’amore. La
paura lo ha reso servo nell’anima, gli ha impedito di capire che quell’Uomo,
partendo per un viaggio, ci vuole collaboratori attivi e non dipendenti
succubi.
In questo senso ciascuno di
noi è chiamato a dare il suo contributo originale, a dare il meglio di sé, ‘ma
non un meglio solo sociale, ma un meglio cristologico’ (Ugo Vanni). In questo
senso il Signore fa appello alla nostra responsabilità: infatti, ognuno di noi
è per la parte che gli compete, Corpo di Cristo (1 Cor 12, 27). Cristo
risulterà vivo secondo lo specifico che ogni persona immetterà. Ognuno di noi
restituisce, con le relazioni che intrattiene, con il suo segmento di vita, un
frammento del Volto di Cristo. E se ciò vale a livello individuale, tanto più
varrà a livello comunitario: infatti, come dice Paolo ai Corinzi (2Cor, 2-3), voi siete una lettera di Cristo,
conosciuta e letta da tutti gli uomini, “scritta non con inchiostro, ma con lo
spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra, ma sulle tavole di carne dei
vostri cuori”.
Infine, proprio a livello comunitario, in un intervento tenuto a Osnago nell’ottobre del ’97[1], Carlo Maria Martini traccia un’originale identikit dei cinque talenti, che ci fornisce spunti ulteriori di riflessione:
“Il primo talento è il Vangelo, la
parola di Dio, dunque la catechesi.
Il secondo talento di cui vive una comunità cristiana è la liturgia, i sacramenti, soprattutto l’Eucarestia. Un talento da far fruttificare.
Il terzo,
sul quale abbiamo tanto insistito, è la
carità, talento tipico della comunità cristiana (notare che a ciascuno di
questi talenti ho dedicato uno o due programmi pastorali annuali: la Parola,
l’Eucarestia, la Carità)…
Il quarto talento tipico della comunità cristiana è quello della comunione, dello stare insieme, dunque
anche il talento della disciplina,
dell’ordine nelle comunità.
E il quinto talento è la comunicazione. Comunicazione non semplicemente all’interno della comunità in tutte le forme, comprese le più semplici che permettono alla gente di conoscere ciò che si compie, di partecipare alla vita della parrocchia; ma comunicazione anche a livello più vasto, di decanato, di zona, di diocesi, di Chiesa italiana e di Chiesa universale”.
Brani di riferimento:
Ø La parabola delle mine è in Lc 19,12-27.
Ø Servi ‘spietati’ in Mt 18, 23-35 e 24, 45-51;
‘inutili’ in Lc 17, 7-10.