Introduzione alla lectio divina su Mc 9, 2-10

Domenica 16.03.2003 -  II tempo di Quaresima

 

[2] Dopo sei giorni, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li portò sopra un monte alto, in un luogo appartato, loro soli. E fu trasfigurato davanti a loro [3] e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. [4] E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. [5] Prendendo allora la parola, Pietro disse a Gesù: "Rabbi, è bello per noi stare qui; facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia!". [6] Non sapeva infatti  cosa dicesse, poiché erano stati presi dal timore. [7] Poi avvenne una nube che li avvolse nell’ombra e avvenne una voce dalla nube: "Questi è il Figlio mio, il diletto; ascoltatelo!" (Dt 18,15) . [8] E subito guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo con loro. [9] Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare a nessuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risuscitato dai morti. [10] Ed essi trattennero presso di loro la parola, domandandosi però che cosa è questo risorgere dai morti.

Le parole sottolineate sono quelle chiave per la meditatio

 

L’episodio della ‘Trasfigurazione’ fu raccontato e reso noto soltanto dopo la resurrezione di Cristo dai tre discepoli che furono chiamati ad assistervi, Pietro, Giacomo e Giovanni, secondo quanto Gesù aveva loro ordinato di fare (v.9). Solo la morte e resurrezione di Gesù, infatti, poteva spiegare un evento tanto eccezionale, incomprensibile per i discepoli che non sapevano ancora cosa fosse ‘questo risorgere dai morti’. Pertanto l’evangelista Marco colloca la Trasfigurazione esattamente al centro dei due annunci che Gesù fa ai discepoli della sua prossima morte e Resurrezione , quasi come un evento profondamente racchiuso nel mistero della Resurrezione, di cui è splendida prefigurazione (8,31-33; 9, 30-32).

In cammino ormai verso Gerusalemme, verso il Calvario, Gesù aveva posto ai discepoli la domanda sulla propria identità:  "Voi chi dite che io sia?". E Pietro: "Tu sei il Cristo". A questo passo seguiva in Mc 8,34-38, l’indicazione chiara delle condizioni della sequela di Gesù:  rinnega se stessi e prendere la propria croce.

Sei giorni dopo la confessione di Pietro, ora Gesù porta con sé Pietro, Giacomo e Giovanni, i discepoli già testimoni della resurrezione della figlia di Giairo ( Mc 5,37) su un monte alto, in un luogo solitario. L’ambientazione dell’episodio ricalca chiaramente il libro dell’Esodo, e in particolare Es 24, 15-18, che narra l’ingresso di Mosé nella nube, a colloquio con Dio. Ai tre discepoli Gesù riserva un’esperienza assolutamente eccezionale, dal forte sapore escatologico, che prefigura la Risurrezione. Gesù, con significativo uso del verbo passivo (greco metemorphòthe), viene trasfigurato assumendo sembianze del tutto inconsuete per i discepoli, che provano un sentimento a metà strada tra lo sgomento e la beatitudine. Si tratta di una vera esperienza di contemplazione, arricchita dalla presenza di due personaggi, Mosé ed Elia, che compendiano la storia della salvezza, la storia dell’eterno amore di Dio per l’uomo. Essi non sono apparizioni oniriche o fantasmi ma sono lì, insieme ai discepoli, vivi e dialoganti con Gesù: l’eccezionalità sta nel fatto che questa realtà è adesso ‘resa visibile’ agli occhi dell’uomo, per azione generosa della grazia divina. Con questo Gesù è bello stare. Pietro può dire l’unica cosa umana possibile in quella situazione: stiamo ancora qui! E’ il tentativo di normalizzare l’eccezionalità, ma anche di ‘trattenere’ il momento della gloria divina lì, come sotto una tenda. In quel giorno, il settimo dopo la festa dell’espiazione (‘yom kippur’), Israele celebrava la “festa delle tende”, memoria dell’Esodo, del cammino degli ebrei sotto le tende nel deserto: “ma la gloria di Gesù non è contenibile in una tenda” (E.Bianchi, Evangelo secondo Marco, Qiqajon, Bose 1984, p. 149). La gloria di Gesù passa attraverso la croce, e la sua veste bianca è lo splendore dell’epifania divina, ma anche veste lavata nel sangue, come saranno, alla fine, quelle dei martiri e di quanti laveranno la veste “nel sangue dell’Agnello” (Ap 7, 14). Pietro, come ogni uomo, si oppone a questo destino di sofferenza e all’accettazione di un Messia ‘vinto’ e trafitto, piuttosto che trionfante sul mondo come un re. L’evangelista sottolinea l’ignoranza di Pietro ("non sapeva cosa dicesse"), la stessa che gli aveva rimproverato poco prima Gesù, l’incapacità di pensare secondo Dio (Mc 8, 33).

Ma la visione deve cedere il passo alla Parola. Questa Parola sta dentro una nube. Simbolo della presenza di Dio, la nube contiene la risposta alle due questioni poste all’inizio: chi è Gesù? Come seguirlo? Gesù è la via che il Padre ha scelto per avvicinarsi all’uomo (Cf. Mc 1,15): è il Figlio diletto. Per seguirlo, bisogna porsi in ascolto, prima e più che in visione. L’indicazione è forte e chiara ed è la premessa alla scomparsa della nube, che coincide con la scomparsa di Mosè ed Elia dallo scenario.

La Parola di Dio si fa silenzio di Dio lasciando "Gesù solo con loro" (v.8). Resta il Gesù quotidiano, che parla agli uomini nelle loro Galilee e nei loro deserti. Il Gesù assente, che non si vede, ma si ascolta. L’eccezionalità vissuta dai discepoli non è prolungabile perché è prefigurativa di una gloria cui si accede soltanto attraverso la fatica del vivere quotidiano, attraverso le croci dell’ogni giorno, attraverso i deserti in cui si sta con le fiere dei propri desideri. Lo Spirito ha sospinto Gesù anche lungo questi sentieri esistenziali (Mc 1,12-13), che lo hanno, per così dire, temprato in vista della proclamazione del Regno. Questo Gesù, adesso, è egli stesso proclamato "Figlio diletto" dal Padre.

Ai discepoli resta la Parola: "trattennero presso di loro la Parola" (v.10a). E’ quanto resta ai discepoli di ogni tempo che continuano ad interrogarsi su "cos’è questo risorgere dai morti" (v.10b). L’ascolto della Parola convive con gli interrogativi cruciali dell’esistenza ma anche con quei momenti in cui è possibile una nuova esperienza di "monte". Ciascun discepolo riscende dal monte trattenendo la Parola, ma risale sul monte per rivedere il Maestro trasfigurato. Anch’egli tuttavia è chiamato ad una trasfigurazione personale, che è metanoia, ovvero la trasformazione della propria esistenza alla luce dello Spirito. Come dice Paolo, "Il Signore è lo Spirito e dove c’è lo Spirito del Signore c’è libertà. E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore. (2 Cor 3,17-18).

 

Brani di riferimento (oltre a quelli già citati) :

 

Ø      Sulla nube: Es 40,34; 2Sam 7,6; 1 Re 8, 10-12; 2 Mac 2, 7-8

Ø      Sul Figlio: Is 42,1; Mc 1,11

Ø      Sull’esperienza di Pietro: 2Pt 1, 17-18