Le
parole sottolineate sono quelle chiave per la meditatio
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L’episodio
della ‘Trasfigurazione’ fu raccontato e reso noto soltanto dopo la resurrezione
di Cristo dai tre discepoli che furono chiamati ad assistervi, Pietro, Giacomo
e Giovanni, secondo quanto Gesù aveva loro ordinato di fare (v.9). Solo la
morte e resurrezione di Gesù, infatti, poteva spiegare un evento tanto eccezionale,
incomprensibile per i discepoli che non sapevano ancora cosa fosse ‘questo
risorgere dai morti’. Pertanto l’evangelista Marco colloca la Trasfigurazione
esattamente al centro dei due annunci che Gesù fa ai discepoli della sua
prossima morte e Resurrezione , quasi come un evento profondamente racchiuso
nel mistero della Resurrezione, di cui è splendida prefigurazione (8,31-33; 9,
30-32).
In
cammino ormai verso Gerusalemme, verso il Calvario, Gesù aveva posto ai discepoli la
domanda sulla propria identità: "Voi chi dite che io sia?". E
Pietro: "Tu sei il Cristo". A questo passo seguiva in Mc
8,34-38, l’indicazione chiara delle condizioni della sequela di Gesù: rinnega se stessi e prendere la propria
croce.
Sei giorni dopo la
confessione di Pietro, ora Gesù porta con sé Pietro, Giacomo e Giovanni, i
discepoli già testimoni della resurrezione della figlia di Giairo ( Mc 5,37) su
un monte alto, in un luogo solitario. L’ambientazione dell’episodio ricalca
chiaramente il libro dell’Esodo, e in particolare Es 24, 15-18, che narra
l’ingresso di Mosé nella nube, a colloquio con Dio. Ai tre discepoli Gesù
riserva un’esperienza assolutamente eccezionale, dal forte sapore escatologico,
che prefigura la Risurrezione. Gesù, con significativo uso del verbo passivo
(greco metemorphòthe), viene trasfigurato assumendo sembianze del tutto
inconsuete per i discepoli, che provano un sentimento a metà strada tra lo
sgomento e la beatitudine. Si tratta di una vera esperienza di contemplazione,
arricchita dalla presenza di due personaggi, Mosé ed Elia, che compendiano la
storia della salvezza, la storia dell’eterno amore di Dio per l’uomo. Essi non
sono apparizioni oniriche o fantasmi ma sono lì, insieme ai discepoli, vivi e
dialoganti con Gesù: l’eccezionalità sta nel fatto che questa realtà è adesso
‘resa visibile’ agli occhi dell’uomo, per azione generosa della grazia divina.
Con questo Gesù è bello stare. Pietro può dire l’unica cosa umana
possibile in quella situazione: stiamo ancora qui! E’ il tentativo di
normalizzare l’eccezionalità, ma anche di ‘trattenere’ il momento della gloria
divina lì, come sotto una tenda. In quel giorno, il settimo dopo la festa
dell’espiazione (‘yom kippur’), Israele celebrava la “festa delle
tende”, memoria dell’Esodo, del cammino degli ebrei sotto le tende nel deserto:
“ma la gloria di Gesù non è contenibile in una tenda” (E.Bianchi, Evangelo
secondo Marco, Qiqajon, Bose 1984, p. 149). La gloria di Gesù passa
attraverso la croce, e la sua veste bianca è lo splendore dell’epifania divina,
ma anche veste lavata nel sangue, come saranno, alla fine, quelle dei martiri e
di quanti laveranno la veste “nel sangue dell’Agnello” (Ap 7, 14). Pietro, come
ogni uomo, si oppone a questo destino di sofferenza e all’accettazione di un
Messia ‘vinto’ e trafitto, piuttosto che trionfante sul mondo come un re.
L’evangelista sottolinea l’ignoranza di Pietro ("non sapeva cosa
dicesse"), la stessa che gli aveva rimproverato poco prima Gesù,
l’incapacità di pensare secondo Dio (Mc 8, 33).
Ma la visione deve cedere
il passo alla Parola. Questa Parola sta dentro una nube. Simbolo della presenza
di Dio, la nube contiene la risposta alle due questioni poste all’inizio: chi è
Gesù? Come seguirlo? Gesù è la via che il Padre ha scelto per avvicinarsi
all’uomo (Cf. Mc 1,15): è il Figlio diletto. Per seguirlo, bisogna porsi in ascolto,
prima e più che in visione. L’indicazione è forte e chiara ed è la
premessa alla scomparsa della nube, che coincide con la scomparsa di Mosè ed
Elia dallo scenario.
La
Parola di Dio si fa silenzio di Dio lasciando "Gesù solo con loro"
(v.8). Resta il Gesù quotidiano, che parla agli uomini nelle loro Galilee e nei
loro deserti. Il Gesù assente, che non si vede, ma si ascolta. L’eccezionalità
vissuta dai discepoli non è prolungabile perché è prefigurativa di una gloria
cui si accede soltanto attraverso la fatica del vivere quotidiano, attraverso
le croci dell’ogni giorno, attraverso i deserti in cui si sta con le fiere dei
propri desideri. Lo Spirito ha sospinto Gesù anche lungo questi sentieri
esistenziali (Mc 1,12-13), che lo hanno, per così dire, temprato in vista della
proclamazione del Regno. Questo Gesù, adesso, è egli stesso proclamato
"Figlio diletto" dal Padre.
Ai discepoli resta la
Parola: "trattennero presso di loro la Parola" (v.10a). E’ quanto
resta ai discepoli di ogni tempo che continuano ad interrogarsi su "cos’è
questo risorgere dai morti" (v.10b). L’ascolto della Parola convive con
gli interrogativi cruciali dell’esistenza ma anche con quei momenti in cui è
possibile una nuova esperienza di "monte". Ciascun discepolo riscende
dal monte trattenendo la Parola, ma risale sul monte per rivedere il Maestro
trasfigurato. Anch’egli tuttavia è chiamato ad una trasfigurazione personale,
che è metanoia, ovvero la trasformazione della propria esistenza alla
luce dello Spirito. Come dice Paolo, "Il Signore è lo Spirito e
dove c’è lo Spirito del Signore c’è libertà. E noi tutti, a viso scoperto,
riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati
in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello
Spirito del Signore. (2 Cor 3,17-18).
Brani di riferimento (oltre a quelli già citati) :
Ø Sulla nube: Es 40,34; 2Sam 7,6; 1 Re 8, 10-12; 2 Mac 2, 7-8
Ø
Sul
Figlio: Is 42,1; Mc 1,11
Ø
Sull’esperienza
di Pietro: 2Pt 1, 17-18