Lectio divina di Mc 1,40-45 – domenica 16.02.2000

6^ domenica tempo ordinario

40] E viene a lui un lebbroso supplicandolo in ginocchio e dicendogli: "Se vuoi, puoi guarirmi!". [41] Profondamente commosso, stendendo la mano, lo toccò e gli dice: "Lo voglio, guarisci!". [42] Subito la lebbra si allontanò da lui ed egli guarì. [43] E, ammonendolo severamente (cf. 14,5), lo scacciò e gli dice: [44] "Guarda di non dir niente a nessuno, ma và, presentati al sacerdote, e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha ordinato, a testimonianza per loro". [45] Ma quegli, allontanatosi, cominciò a proclamare molto e a diffondere la parola, al punto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma se ne stava fuori, in luoghi deserti, e venivano a lui da ogni parte.

 

*Le parole sottolineate sono parole-chiave per la meditatio

 

Questo è in Marco l’unico racconto di guarigione di un lebbroso, e assume perciò valore particolarmente significativo: il lebbroso era per gli Ebrei il “primogenito della morte” (cfr. Gb. 18,13) e quella che Gesù sta qui operando è di fatto una vera e propria resurrezione, a tutti i livelli. Già per l’A. T. è chiarissimo infatti che simili guarigioni sono l’esito esclusivo di un’azione diretta di Dio (cfr. Nm. 12, 4 –16: Dio risana Maria in seguito all’invocazione di Mosè; 2 Re 5, 1-19 guarigione di Naaman il Siro da parte da Eliseo, profeta e uomo di Dio).

A Cafarnao Gesù ha già compiuto molti miracoli e prodigi, ma quando per la pressione della folla il rischio di diventare un “fenomeno” diviene troppo forte egli si allontana: la sua missione è infatti quella di predicare il Vangelo a tutti (I,38). È qui, forse alla periferia di uno dei villaggi della Galilea, che un lebbroso gli si fa incontro; considerato immondo e portatore di impurità, vive la propria condizione di marginalità, solo, escluso dalla comunità civile e religiosa e costretto a dichiarare a distanza il proprio stato (cfr. Lv. 13,45 segg.)

Capire l’atteggiamento di quest’uomo non è facile, probabilmente perché nel suo cuore di lui alberga la confusione; nelle sue parole potremmo vedere la sfida della diffidenza di chi, abituato al disprezzo, teme ancora una volta di essere allontanato e non accolto (Gesù – sembrerebbe dire egli implicitamente – potrebbe anche non volerlo mondare) ma anche il grido disperato di chi forse ha intravisto confusamente in Gesù l’inviato di Dio, l’unico in grado di riscattarlo dalla sua assoluta e irredimibile disperazione. Comunque quello del lebbroso è un atto di “affidamento”: da solo egli non può guarire e ciò lo spinge a rompere il proprio isolamento e ad avvicinarsi a Gesù per chiedergli di essere mondato dalla lebbra.

 

Marco ci presenta anche la reazione di Gesù. La richiesta del lebbroso provoca in lui un moto di turbamento: è il disagio che Gesù, come dinanzi alla tomba di Lazzaro (Gv. 11,33 –38), avverte di fronte alle situazioni in cui regna la disperazione e la morte; è, ancora, la sua “rabbia” e il fremito interiore verso il male dell’uomo (cfr. Mc. 3,5), che qui si manifesta non solo nella malattia fisica, ma ancor più nel chiudersi alla speranza della salvezza. È, questo di Gesù, un moto spirituale che si fa parola di guarigione (lo voglio, sii mondato) e gesto efficace; così l’atto di “stendere la mano” ricorda innanzitutto i miracoli dell’Esodo (Es. 4,4; 7,19; 8,1; 9,22): Gesù, sembra dire Marco ai propri lettori, agisce veramente con la potenza del Dio Liberatore come il profeta degli ultimi tempi. Ma questo stesso gesto assume anche una portata simbolica straordinaria: nell’atto stesso del toccare, Gesù infatti azzera le distanze tra il puro e l’impuro; mentre monda il lebbroso Egli assume su di sé il male di quest’uomo, divenendo lui stesso stesso “lebbroso” e “impuro”. Di fronte alla realtà del male Gesù non si nasconde né finge, ma agisce sporcandosi le mani e caricandosi di ogni “immondizia” di cui l’uomo è intriso. In questo senso il suo gesto è pienamente coerente con quello del Battesimo del Giordano (Mc. 1,9-11) ma ci fa intravere sullo sfondo anche la Croce e la Pasqua.

 

Una volta operata la guarigione, Gesù rimanda il lebbroso dai sacerdoti perché certifichino, secondo le prescrizioni del Levitico, l’avvenuta guarigione (Lv. 14, 2- 46). L’invito, espresso persino con una certa rudezza, ci mostra un Gesù rispettoso della legge mosaica, ma anche preoccupato ancora una volta di evitare derive miracolistiche: il lebbroso non dovrà dire niente a nessuno. Eppure quest’uomo non riesce a resistere all’ingiunzione di Gesù; piuttosto che disciplinarsi si fa ministro della Parola divenendo, dopo Giovanni (1,4) e Gesù (1,14), il primo a proclamare (kerussein) la buona novella della propria salvezza. Colui che finora è stato escluso diviene paradossalmente un mediatore per gli altri; l’esperienza della Grazia e della liberazione, per quanto forse non pienamente elaborata e compresa fino in fondo, è quasi di per se stessa effusiva e contagiosa.

 

Grazie al lebbroso Gesù è diventato famoso e ricercato, ma di fronte a questo egli fugge in luoghi deserti, sempre tentando di sfuggire alla ricerca del sensazionalismo e della guarigione magica. Eppure per la seconda volta nel giro di pochi versetti la sua volontà sembra essere contraddetta dai fatti; ogni tentativo di arginare la folla è vano: a questo paradossale lebbroso guaritore, le genti della Galilea vengono da ogni parte e il deserto diviene il luogo dell’incontro tra i disperati del mondo e l’inviato di Dio che già all’inizio del proprio ministero ha scelto di contagiarsi, per riscattarle, di ogni lebbra e di ogni morte dell’uomo.

 

Brani di riferimento

 

 

 

 

 

 

·        Sulla lebbra nell'AT: Lv 13-14; Dt 28, 27.35

·        Guarire dalla lebbra nell'AT: Nm 12,1-16; 2 Re 5, 1-27

·        Guarire dalla lebbra nel NT: Lc 17, 11-19

·        Guarire e proclamare: Mc 5, 19-20

·        Guarire e "seguire": Mc 10, 46-52