Introduzione alla lectio di Mc. 13,24-32 - domenica 16 novembre 2003

XXXIII settimana del tempo ordinario

 

 

 

 

Disse Gesù ai suoi discepoli: 24 In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, e la luna non darà più il suo splendore, 25 e gli astri si metteranno a cadere dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. 26Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. 27 Ed egli manderà gli angeli e riunirà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra all’estremità del cielo.

28 Dal fico imparate questa parabola: quando il suo ramo si fa tenero e mette le foglie, voi sapete che l’estate è vicina; 29 così anche voi, quando vedrete accadere queste cose sappiate che egli è vicino, alle porte. 30 In verità vi dico: non passerà questa generazione prima che tutte queste cose siano avvenute. 31 Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. 32 Quanto poi a quel giorno o a quell’ora, nessuno li conosce, nemmeno gli angeli del cielo, e neppure il Figlio, ma solo il Padre.

 

 

Per comprendere il nostro brano è necessario innanzitutto far riferimento al più ampio contesto del capitolo 13 del Vangelo di Marco; in esso infatti Gesù risponde all’interrogativo formulato inizialmente da Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea sul tempo della distruzione di Gerusalemme (v. 4: dicci quando questo accadrà, e quale sarà il segno che tutte queste cose stanno per compiersi), soffermandosi sui segni terribili che accompagneranno la cosiddetta “grande tribolazione” della città: guerre, carestie, persecuzioni, falsi profeti (vv. 5-23). La nostra pericope si innesta proprio a questo punto, preannunciando gli eventi nuovi che seguiranno la “grande tribolazione”.

Nella prima parte (vv. 24-27) Gesù attira l’attenzione dei discepoli sulla venuta del Figlio dell’Uomo (vv. 24 – 27) e sugli eventi che la precederanno. Avvalendosi di linguaggio apocalittico che aveva una sua precisa tradizione veterotestamentaria, Gesù indica in un totale stravolgimento cosmico (il sole e la luna che si oscurano, le stelle che cadono dal cielo, l’annullamento delle potenze celesti) i segni del potente intervento di Dio che prepara l’avvento glorioso di quel Figlio dell’Uomo di cui aveva parlato il profeta Daniele, dotato di un “potere eterno, che non tramonta mai” (Dn 7,13-14). Ma chi è il Figlio dell’Uomo se non Gesù stesso, che già vi si era chiaramente identificato nei tre annunci della passione (Mc. 8,31; 9,31; 10,33)? A queste parole dunque i discepoli sono invitati a comprendere la centralità assoluta della persona di Gesù, a leggere nella sua prossima venuta gloriosa l’evento si cui si incardina tutta la storia e tutta la creazione, e a vedere in esso la speranza della riunione degli eletti (eklektoi) prima dispersi e ora finalmente uniti dinanzi a Dio.

Ma a questo punto forse la domanda immediata è: di quale venuta sta parlando qui Gesù? Ci aspetteremmo da parte di Gesù una risposta chiara; e tuttavia ci accorgiamo che nella seconda parte del brano (28-32) la domanda sul “quando” che i discepoli avevano posto all’inizio del capitolo viene elusa. Piuttosto sembrano scontrarsi, qui come altrove nel Vangelo, due logiche differenti: alla naturale e, diremmo, logica curiosità dei discepoli che chiedono un termine a loro (e a noi) comprensibile, una scadenza rispetto alla quale potersi quasi “mettere in regola”, Gesù non sa (o piuttosto) non intende rispondere; egli sembra piuttosto preoccuparsi di affermare che questa nuova venuta, questa parousia del Figlio dell’Uomo effettivamente avverrà e di fornire in tal senso delle precise garanzie: prima di tutto le sue stesse parole, destinate al compimento, la cui saldezza va ben oltre quella del cielo e della terra (v. 31); poi ancor più l’autorità del Padre che pure nell’imperscrutabilità dei suoi decreti ha fissato il giorno e l’ora (v. 32).

L’invito di Gesù è dunque a cambiare ottica; ad essere importante non è il “quando”, ma piuttosto il “come” si aspetta questo momento, l’atteggiamento dell’uomo nell’attesa del ritorno del Signore; quella cui i discepoli sono invitati non è una attesa passiva e stanca; Gesù invece, attraverso la parabola del fico, svela le loro potenzialità, e li chiama ad una attesa disponibile e attenta a leggere i segni del ritorno del Creatore; questi segni non devono atterrirli, ma rivelare al contrario che il Signore è vicino, proprio come l’estate, preannunciata dal rinnovato vigore delle foglie del fico (29). E questa vicinanza non è limitata soltanto alla generazione (v. 30) cui Gesù si rivolge ma si estende piuttosto ad ogni generazione che entra a contatto con questa parola, coinvolgendo dunque anche noi, chiamati dalla memoria di questa parola a individuare nella realtà della nostra vita e della nostra storia le tracce di una creazione che attende il ritorno del Signore. Ecco allora che ci viene in soccorso l’invito finale di Gesù: “Vigilate dunque, poiché non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o alla mezzanotte o al canto del gallo al mattino, perché non giunga all’improvviso trovandovi addormentati”.

 

brani di riferimento

 

- è consigliabile innanzitutto la lettura dell’intero capitolo XIII di Marco.

- Per i segni cosmici del “Giorno del Signore”: Am. 8,9; Mt. 24,1 (tutto il capitolo 24 è sinottico a Mc13); Ap 6,12 segg.

-         Per la profezia del Figlio dell’Uomo: Dn 7,13-14.

-         Sulla vigilanza come attesa: 1Ts 5,1-11.