Lectio divina di Gv 20,19-23 – Domenica 15.05.2005

 Pentecoste

 

[19] La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne (14,18.28) Gesù, stette nel mezzo e disse loro: "Pace a voi!". [20] Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.  [21] Gesù disse loro di nuovo: "Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi (13,20; 17,18)". [22] Dopo aver detto questo, alitò (Gn 2,7; Sap 15,11) su di loro e disse: "Ricevete spirito santo; [23] a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi (Ger 31,31-34; Ez 36,25-27; Mt 18,18)".

 

Quelle sottolineate sono parole chiave per la meditatio

 

Quando ci si riferisce a questo brano, in genere si parla di “Pentecoste giovannea”, ma impropriamente. I fatti narrati sono collocati alla fine del “primo giorno dopo il sabato”, dunque nel giorno che oggi la Chiesa celebra come Pasqua del Signore. La fondazione della Chiesa nello Spirito, in Giovanni, avviene nello stesso giorno della Risurrezione del Signore.

Il testo si inserisce nel capitolo 20. Gesù è già apparso alla Maddalena e ai due discepoli accorsi al sepolcro (Gv 20,1-18), ma la comunità dei discepoli appare ancora dominata dal timore. Non sembra che ci sia spazio per la fede nel Risorto. Tutto quello che avviene va compreso alla luce del grande discorso dei cc.13-17 di Giovanni. In esso infatti sono contenuti i temi fondamentali che qui si ripresentano: la venuta di Gesù in mezzo ai discepoli, la pace, la gioia, la missione e, soprattutto, la presenza nuova di spirito santo direttamente comunicato da Gesù. Si tratta di temi largamente afferenti alla spiritualità biblica dell’AT, come attestano i brani indicati qui di seguito. 

Il centro del brano è il momento in cui Gesù alita lo Spirito. Il verbo utilizzato da Giovanni è enphysao, che si trova soltanto qui nel Nuovo Testamento. Significativamente è lo stesso verbo utilizzato in Gn 2,7, che qui riportiamo: allora il Signore Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente. Il parallelo col testo del Genesi suggerisce che qui Gv voglia presentare una nuova creazione, sulla linea del discorso fatto da Gesù a Nicodemo in Gv 3,3: se uno non rinasce dall'alto, non può vedere il regno di Dio.

L’ “uno” del discorso a Nicodemo qui è una comunità. E’ la comunità dei discepoli che rinasce a vita nuova.

Questa rinascita è preceduta da un movimento del testo che mette in evidenza alcuni passaggi importanti dal punto di vista teologico. Il primo movimento è proprio di Gesù, il quale viene e sta nel mezzo. L’indicazione delle porte chiuse segnala l’attitudine di Gesù ad esser presente quando e come vuole nella sua Chiesa. Niente può ostacolare il movimento del Signore: non possono ostacolarlo né difficoltà pratiche (appunto, le porte), né resistenze interiori (il timore). Gesù compare tra i suoi mettendo insieme una parola ed un gesto da non separare. La parola è pace. Il gesto è quello di mostrare i segni della sua sofferenza. Nel linguaggio biblico pace (shalom) non indica tranquillità. Indica di più: pienezza di vita. Ciò che era disperso è radunato, ed è radunato da chi ha vinto il male. Il male non è cancellato, è superato. I suoi segni stanno lì a ricordarlo. I discepoli da quei segni riconoscono il Signore. Dal riconoscimento è generata la gioia, un altro frutto escatologico che nell’AT indica, a sua volta, pienezza di vita. C’è una progressiva ricostruzione interiore che Gesù va operando nei suoi discepoli. Pace, riconoscimento, gioia, sono il percorso interiore che rende i discepoli idonei ad essere inviati. Cominciano da questi presupposti gli “Atti” giovannei: “come il Padre ha mandato me così io mando voi”. E’ a questo punto che avviene l’atto che rende possibile l’invio: la comunicazione di spirito santo come nuova creazione. Anche oggi la comunità dei credenti può autocomprendersi a partire da queste dinamiche.

  Le chiese cristiane hanno molto dibattuto sull’interpretazione da dare al versetto finale sulla remissione dei peccati. Che vuol dire rimettere o non rimettere i peccati? Si tratta di una prerogativa legata al sacramento della riconciliazione? E tale prerogativa è rivolta soltanto agli Undici o a tutti i discepoli? Non si può giurare che questo tipo di problemi se li ponesse – almeno in questi termini - anche l’autore del testo. Una nota interessante è che soltanto qui e in due altri brani (Gv 8,24 e 9,34) Giovanni usa il termine “peccati” al plurale. In tutto il suo Evangelo si parla sempre di “peccato”. Come che sia di tali questioni, certo è che non si può scorporare la questione della remissione dei peccati dall’atto della comunicazione dello Spirito. L’uomo spirituale rimette i peccati probabilmente perché riceve dal Cristo la capacità del discernimento ovvero la capacità di ricondurre l’interiorità dell’uomo alla questione fondamentale della fede in Gesù Cristo come unico Signore della sua esistenza. Se è vero che nell’Evangelo di Giovanni il più grave peccato è quello di non credere, non è inverosimile che alla comunità dei discepoli, grazie alla comunicazione dello Spirito, sia stata donata proprio la capacità di discernere, al di là di una banale elencazione di “peccati”, l’orientamento di ogni credente alla fede o all’idolatria.

 

 

Maurizio Muraglia

 

 

Brani di riferimento:

·        La pace: Gdc 6,23-24; 1Sam 25,6; 1Re 2,33; Sal 72,7; Is 55,12; Ger 14,13; Ez 34,25; Gv 14,27; 16,33.

·        La gioia: Is 9,2; 35,10; 55,12; Sal 126,3-5; Gv 3,29; 15,11; 16,16-24; 17,13; 1 Gv 1,1-4; 2Gv 12

·        Lo Spirito: Gn 2,7; Ez 37,9; Prv 20,27; Gb 27,3; Sap 15,11; Gv 1,32-33; 3,3-8; 7,39; 1Cor 15,45; 1Gv 4,13.