Lectio divina di Gv 1,6-8.19-28 - domenica 15-12-2002

3^ DOMENICA DI AVVENTO

[6] Vi fu un uomo mandato da Dio
e il suo nome era Giovanni.
[7] Egli venne a testimonianza
per testimoniare della luce,
affinché tutti potessero credere per mezzo di lui.
[8] Non era lui la luce,
ma (venne)  per testimoniare della luce.

[19] E questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: "Chi sei tu?". [20] Egli confessò e non negò, e confessò: "Non sono io il Cristo". [21] Allora gli chiesero: "Cosa sei dunque? Sei Elia?". Rispose: "Non lo sono". "Sei tu il profeta?". Rispose: "No". [22] Gli dissero dunque: "Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?". [23] Rispose:

"Io (sono) voce di uno che grida nel deserto:
Raddrizzate la via del Signore (Is 40,3) come disse il profeta Isaia".

[24] Essi erano stati mandati da parte dei farisei. [25] E lo interrogarono e gli dissero: "Perché dunque battezzi se tu non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?". [26] Giovanni rispose loro: "Io battezzo in acqua; in mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, [27] uno che viene dopo di me, al quale io non son degno di sciogliere il legaccio del sandalo". [28] Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.

 

*Le parole sottolineate sono parole-chiave per la meditatio

 

La liturgia accosta due parti dell’Evangelo di Giovanni facenti parte l’una del Prologo teologico (Gv 1,1-18), l’altra del Prologo narrativo (Gv 1,19-2,11). L’accostamento appare appropriato, ma conviene leggere i vv.6-8 alla luce dei vv. 19-28, in quanto questi ultimi rappresentano lo sfondo storico –  sia pur “riletto” dall’evangelista - sul quale il primo Prologo compie il suo approfondimento teologico. E’ opportuno inoltre tener ben presente tutto il c.1 dell’Evangelo giovanneo, perché in esso si dispiega pienamente l’itinerario che conduce Giovanni il Battista alla piena consapevolezza dell’identità vera di Gesù di Nazareth.

Nell’Evangelo di Giovanni la dimensione battesimale dell’attività del figlio di Zaccaria  (cf. Mt 3,1-12; Mc 1,1-8; Lc 3,1-17) passa in secondo piano rispetto alla sua identità di Testimone.  Il concetto di Testimonianza è presente in misura notevolissima nel quarto Evangelo, e questo primo capitolo lo contiene troppe volte per non indurre il lettore a ritenere questo concetto costitutivo della teologia giovannea. In questo brano non si fa cenno all’attività di predicatore di Giovanni, né al suo modo di vestire e mangiare.

A partire dal v.19 Giovanni è rappresentato come colui che perviene alla capacità di testimonianza attraverso un itinerario che possiamo scandire in tre tappe: 1) la negazione di se stesso come Messia (1,19-28); 2) il riconoscimento del vero Messia (1,29-34); 3) la formazione al discepolato (1,35-51). Questo itinerario si svolge in due giorni: il secondo giorno inizia a partire dal v.29. Tutte e tre le tappe – secondo la convincente lettura di Leon-Dufour – possono tranquillamente corrispondere ai vv.6-8 del primo Prologo: la negazione di se stesso (1,8a “non era lui la luce”), il riconoscimento dell’Altro (1,7a “venne a testimonianza della luce”) e la genesi del discepolato (1,7b “affinché tutti potessero   credere”), quest’ultima con respiro universalistico.

 La prima tappa è a sua volta divisibile in due momenti, che corrispondono ai vv. 19-23 e 24-28. Nei vv. 19-23 Giovanni viene interpellato dalle autorità religiose del tempo sulla propria identità. E’ notevole che il quarto Evangelo si apra con una scena di carattere processuale, che prefigura la sorte dello stesso Gesù. In un processo si deve accertare la verità e per accertare la verità occorrono testimoni. Ed è una verità che sta anche a cuore della chiesa nascente cui si rivolge l’Evangelista. All’epoca della composizione del quarto Evangelo, infatti, c’era una quantità non trascurabile di discepoli del Battista persuasi che il loro maestro fosse il Messia. Questo dialogo con leviti e sacerdoti si inserisce storicamente dentro quest’orizzonte ed ha lo scopo quindi di ribadire inequivocabilmente che l’unico Messia è Gesù di Nazareth. Ma la forza di questi versetti non si esaurisce qui.  Infatti i vv.19-23 (cf. anche 3,22-30) individuano subito la tensione del Battista ad allontanare da sé ogni minimo sospetto che si possa attribuire a lui l’identità messianica. Egli si riduce a mera funzione di annunciatore. Egli è “voce” (1,23) e voce che urla nel deserto. Egli non ha nulla da insegnare ed i suoi discepoli sono destinati a colui che in 1,36 sarà loro indicato come l’Agnello di Dio.  Si tratta di un’indicazione esistenziale non trascurabile perché segnala, nella progressione verso il discepolato, la necessità di affrontare per prima cosa la questione dell’Io. La insistente autonegazione di Giovanni acquista il sapore di una decisa presa di posizione, maturata non casualmente nel deserto, nei confronti di ogni pretesa umana di essere messianici per se stessi o per gli altri.

Questa autonegazione dei vv.19-23 ha il suo corrispettivo positivo nella seconda parte dell’interrogatorio (vv.24-28), in cui ancora una volta Giovanni precisa qualcosa di limitativo rispetto a se stesso: “Io battezzo in acqua”. In 1,33 Giovanni mostrerà coscienza che c’è un altro Battesimo, ben più significativo, che sarà somministrato da “quello sul quale vedrai scendere e rimanere su di lui lo Spirito”. Non pare che in questi versetti Giovanni abbia piena coscienza dell’identità del Messia, che cioè sia avvenuto il vero riconoscimento con cui abbiamo contraddistinto la seconda tappa dell’itinerario (1,29-34). Qui egli indica ai giudei “uno che non conoscete”, ma che forse non conosce pienamente neppure lui, se crediamo a quanto ci diranno i vv. 31 e 33.  Nei vv.19-28 non c’ è, forse, ancora  quella “conoscenza” che sarà concessa pienamente da Dio il giorno dopo, ma c’è qualcosa che la precede, qualcosa che in ciascuno di noi precede la capacità piena di indicare in Gesù di Nazareth il “nostro“ Messia, forse la percezione di una Pienezza rispetto alla quale si sente di dover assumere un atteggiamento interiore di disponibilità totale (sciogliere il legaccio del sandalo è il gesto dello schiavo), una percezione non evidente ma irresistibile.

Nei vv.19-28, dunque, Giovanni non è tanto il Battezzatore o il Predicatore ma il Negatore di se stesso. Egli è colui che “non è”, egli è colui che può fermarsi all’acqua, egli è colui che attende, colui che indica, colui che riconosce l’esistenza di un orizzonte diverso dal suo. Ma quel che ci spinge a meditare in sommo grado è questa autoriduzione a voce. Una voce che rientra a pieno titolo nel progetto salvifico di Dio, così come recita il primo Prologo del quarto Evangelo. La luce può essere talmente grande e pervasiva da – paradossalmente - non esser vista dagli uomini (cf. anche la teoria del Messia nascosto, Mt 24,26-27 e Lc 17,20-21).  La “voce” è lì per urlare che la luce c’è e chiede spazio all’interiorità umana (“Raddrizzate la via del Signore”).

Per dirla con Origene, “E’ mediante una voce che la Parola viene resa presente”.

 

Brani di riferimento:

 

·        Sull’invio profetico da parte di Dio: Ml 3,1.23;  Es 3,10-15;  Is 6,8;  Ger 14,14.

·        Su Giovanni Battista:  Gv 10,40-42; Mt 11,2-19.

·        Sulla Testimonianza:  Gv 5,32-35.

·        Sull’acqua e lo Spirito per la purificazione: Ez 36,25-26;  Zac 13,1-3;  At 19,1-6.