Lectio Divina su Lc 13, 1-9
14 marzo 2004, III domenica di Quaresima
[1] In quello stesso tempo si presentarono alcuni a riferirgli circa quei
Galilei, il cui sangue Pilato aveva mescolato con quello dei loro sacrifici. [2] Prendendo la parola, Gesù rispose: “Credete che quei Galilei fossero
più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? [3] No,
vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo
stesso modo. [4] O quei diciotto, sopra i quali rovinò
la torre di Sìloe e li uccise, credete che fossero più debitori
di tutti gli abitanti di Gerusalemme? [5] No, vi dico, ma se non
vi convertite, perirete tutti allo stesso modo”. [6] Disse anche questa parabola: “Un tale aveva un fico piantato nella vigna
e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. [7] Allora disse al vignaiolo:
Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su questo fico,
ma non ne trovo. Taglialo. Perché deve sfruttare
il terreno? [8] Ma quegli rispose: Padrone, lascialo ancora quest'anno
finché io gli zappi attorno e vi metta il concime [9] e vedremo se porterà
frutto per l'avvenire; se no, lo taglierai”. |
*quelli
sottolineati sono termini chiave per la meditatio.
Il
racconto di Luca, che non ha riscontri negli altri due sinottici, si colloca in
un più ampio contesto narrativo, quello dei capp. 12 e
13, in cui il tema unificante, sviluppato per frammenti, è quello dell’appello
alla conversione ed al discernimento dei segni.
La riflessione che Lc 13,1-9 ci propone si
articola in due momenti, distinti sul piano narrativo, ma complementari. Nella
prima sezione (1-5) Gesù discute due tragici fatti di cronaca - l’eccidio di
alcuni Galilei ad opera di Pilato e il crollo della
torre di Sìloe - e lo fa in senso parenetico, esortando cioè alla conversione.
La seconda sezione (6-9) sviluppa la parabola del fico sterile che chiude e
completa, in toni più distesi e consolanti, il discorso di Gesù.
Tutto il
brano presenta consistenti richiami con i vv. 31-35 dello stesso capitolo 13,
nei quali Gesù risponde ai farisei che gli comunicano l'intenzione di Erode di ucciderlo. Ciò che accomuna i due brani è prima di
tutto il riferimento al tema della morte, ma anche una serie di parallelismi
nelle espressioni usate ("in quello stesso tempo" (v. 1) / "in
quella stessa ora" (v. 31); "perirete" (vv. 3 e 5) /
"perisca" (v. 33); il riferimento a Gerusalemme ...).
Il tema
della morte è affrontato nei vv. 1-5 con l'evidente
intenzione, da parte di Gesù, di sgomberare il campo dalla allora accreditata e
semplicistica mentalità che tendeva a commisurare la sciagura subita al peccato
commesso. Questa era infatti la prospettiva con
cui gli ascoltatori di Gesù leggevano le tragedie verificatesi: una sorta di
sistematica eliminazione dei peccatori incalliti ad opera di un Dio giustiziere
che si sarebbe servito del dolore e della sofferenza come strategia punitiva.
Tale
prospettiva risultava nei fatti profondamente
disumana, aggiungendo al dolore delle vittime anche il biasimo degli altri, che
assistevano alla pubblica denuncia dello stato di peccato altrui. In questo contesto infatti che fine farebbero le vittime della storia?
I perseguitati, gli innocenti trucidati, sono forse morti perché peccatori
irriducibili? No di certo, sottolinea Gesù. Altro è, infatti, il mistero della morte e del dolore, altro è il
volto di Dio.
Un
volto da ricercarsi nel Cristo sofferente sulla croce, vittima anch’egli
innocente della storia. Ai piedi di quel dolore inchiodato ad un
legno, in cui si sperimenta la visibilità della giustizia (salvifica, non
punitiva) e della misericordia di Dio, il cristiano è chiamato al mea culpa,
perché è lì che Cristo muore “giusto per gli ingiusti” (1 Pt 3,18), muore per i
nostri peccati. In questo senso si comprende il senso del parallelismo
con i vv. 31-35, in cui è la morte di Gesù ad essere
prefigurata. Tale morte sulla croce porta Gesù alla massima condivisione
del dolore degli uomini: se rimaniamo privi di una "teologia"
convincente del dolore e del male, se cioè non
sappiamo più dire quale è la ragione della loro esistenza, sappiamo però che
non possiamo cercarle nella volontà di Dio e soprattutto sappiamo che Lui è con
l'uomo che soffre, è l'uomo che soffre.
L'idea
che la sofferenza degli uomini possa costituire una
manifestazione della "giustizia" divina possiede inoltre il nefasto
esito di spingere gli uomini a distinguere tra peccatori e giusti, una
distinzione di cui Gesù denuncia la assoluta arbitrarietà: tutti gli uomini
sono peccatori (da notare al v. 2 la contrapposizione tra ‘quei’ e ‘tutti’ i
Galilei) ed è bene che ne acquisiscano consapevolezza, non per farsi divorare
dai sensi di colpa, ma per potere orientare il proprio cuore alla necessità
della conversione e all'invocazione della vicinanza e della misericordia di
Dio.
Il dolore del mondo, di cui la croce è sintesi
gloriosa, coinvolge quindi ogni uomo, al di là dei
suoi meriti e delle sue colpe, e lo esorta ad un atto di coscienza, al
riconoscimento della propria miseria e debolezza, di cui la morte è inesorabile
espressione. Fare di questa riconosciuta debolezza una quotidiana occasione di
conversione, fare del tempo che ci viene donato una
quotidiana occasione di incontro con Dio, è dunque l’appello di Gesù. E' questo
il senso della parabola del fico incapace di dare frutti, che non viene giudicato per quello che dà o non dà in un determinato
momento, ma soltanto dopo che per un lungo tempo (tre anni, v. 7) il padrone
torna nella vigna cercandone senza trovarli. Nonostante ciò rimane ancora tempo
per la "guarigione", che non è un tempo di abbandono
e di ricerca solitaria, ma un tempo durante il quale l'attesa da parte di Dio è
condita da tutte le cure e le attenzioni possibili ("finché io gli zappi attorno e vi metta il
concime", v. 8).
Il tempo
della nostra vita è infatti un “tempo di grazia”,
secondo la felice espressione di A.Louf, il tempo della pazienza di Dio che, da
buon pescatore, attende che il cristiano ritorni a Lui. Paziente
come il padrone della vigna che attende i frutti di conversione di un albero
pigro che si attarda nella sua sterilità, e che all’immediato abbattimento
della pianta preferisce la dilazione, intervenendo sul tempo con la grazia.
Per Dio
non ci sono, insomma, ultime chance. Il ritorno è sempre
possibile, il tempo come bonus per il portar frutto è sempre
rinnovabile. Ma è solo all’interno di questo tempo di
conversione che si dà la salvezza.
Brani per la meditatio
-
Sulla giustizia di Dio :
Ger, 5, 18; 11, 20; 12, 1; Ez 18, 23;
Rom 6, 15-23.
-
Ira e misericordia: Sal 30,6; Rom 5, 6-11.
-
Sulla conversione: Ez 14, 6; Lc 5, 32; Rom
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