Introduzione alla Lectio divina su Lc 21, 5-19

XXXIII domenica del tempo ordinario – 14 novembre 2004

 

[5] E mentre alcuni dicevano del tempio che era ornato di pietre belle e di doni votivi, disse: [6] “Queste cose che osservate, verranno giorni nei quali non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta”. [7] Ora, lo interrogarono dicendo: “Maestro, quando dunque sarà questo e quale (sarà) il segno che questo starà per accadere?». [8] Ora, egli disse: «Guardate di non essere fuorviati: molti infatti verranno in mio nome dicendo: ’Sono io’ e ‘Il tempo si è avvicinato’: non andate dietro a loro; [9] Ora, quando sentirete guerre e rivoluzioni, non siate terrorizzati: bisogna infatti che queste cose avvengano prima, ma non (è) subito la fine”. [10] Allora diceva loro: “Si leverà popolo contro popolo e regno contro regno, [11] ci saranno grandi terremoti e, in vari luoghi, carestie e malattie, ci saranno fenomeni paurosi e segni grandi dal cielo”.

[12] “Ora, prima di tutto questo, vi metteranno le loro mani addosso e vi perseguiteranno, consegnandovi nelle sinagoghe e nelle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome; [13] diverrà per voi (occasione) per la testimonianza. [14] Mettetevi dunque nei vostri cuori di non preparare qualcosa per difendervi: [15] io infatti vi darò bocca e sapienza a cui non potranno contrapporsi o contraddire tutti quelli che vi stanno contro. [16] Ora, sarete consegnati anche dai genitori e fratelli e parenti e amici, e ne faranno morire tra voi; [17] e sarete odiati da tutti a causa del mio nome. [18] Neanche un capello della vostra testa andrà mai perduto. [19] Con la vostra perseveranza guadagnerete le vostre anime.

* Quelle sottolineate sono alcune parole chiave per la meditatio.

 

Nel brano di questa settimana l’osservazione di uno dei presenti sulla bellezza del tempio, luogo di Gerusalemme altamente simbolico, offre l’occasione a Gesù di pronunciare il cosiddetto discorso escatologico o “grande apocalisse” così definito per distinguerlo dal cap. 17 (vv. 20-37) in cui Luca descrive la venuta del Figlio dell’uomo. Tuttavia, se la “piccola apocalisse” del cap. 17 si incentra su una dimensione di incontro con la storia personale, in questo capitolo l’attenzione è posta sulla storia in generale come luogo di civiltà e di culture, in cui si inseriscono le storie personali, e in cui si dipana l’intervento salvifico di Dio.

I termini con cui vengono descritte sia la macrostoria (guerre, rivoluzioni, terremoti, carestie) che le microstorie (odio all’interno delle relazioni parentali ed amicali) non sono certamente positivi ma vanno tutti letti ed interpretati alla luce dell’unico evento che ha permesso che il cammino della storia di Dio divenisse solidale con quello della storia dell’uomo: l’incarnazione di Gesù.

E’ proprio questo unico grande evento salvifico, l’esistenza incarnata, la morte e la risurrezione di Gesù, che permette di rileggere come tempi favorevoli di grazia quelle che altrimenti sarebbero solo un susseguirsi di vicende storiche.

Benché Luca, nella stesura di questo brano, segua da vicino il modello del vangelo di Marco (13, 1-13), apporta significativi cambiamenti in funzione dei destinatari a cui si rivolge non più di cultura giudaica ma ellenistica, dotati pertanto di una differente concezione della storia e della fine dei tempi. In quest’ottica l’evangelista si sforza di distinguere il piano delle cose che accadono, gli eventi storici, dalla fine del mondo ed in tal senso ricorre al verbo “accadere” (v. 7:ghìnesthai) invece del verbo “compiersi” (syntelèisthai) presente nel parallelo di Marco che gli permette di sottolineare la dimensione degli eventi nel tempo della storia, nell’oggi del credente, piuttosto che la prospettiva escatologica.

Se ci poniamo in questa prospettiva, comprendiamo come nei vv. 7-8 Gesù avverta i credenti a non confondere i fatti con i segni. Al cristiano, infatti, non spetta sapere il “quando” ma sapere “contare i propri giorni” (Sal. 90, 12) interpretandoli tutti come il tempo favorevole di Dio che irrompe nel proprio tempo, nella propria storia. In tal senso qualsiasi evento storico non deve essere fatto oggetto di speculazioni di tipo apocalittico o escatologico che possono indurre ad andare dietro a falsi profeti ma deve essere vissuto come “l’occasione per la testimonianza”. Le nostre realtà umane sono l’occasione concreta dell’incontro attraverso cui Gesù salva la nostra storia e, nel concreto svolgersi dei tempi e degli eventi sino all’ultimo evento della nostra vita, riceviamo la possibilità di essere testimoni del Figlio, in un cammino in cui non siamo soli ma è proprio Gesù risorto a darci “bocca e sapienza”, il Figlio di un Dio fedele alla sua alleanza che ha a cuore soltanto la nostra salvezza (v. 19; Mt 10, 30-31).

E’ proprio nelle tribolazioni che ha modo di manifestarsi la perseveranza che non è solo la fede che dura nel tempo ma la capacità di resistere nelle contraddizioni e di sperare anche laddove tutto sembra senza speranza (cfr. Rm 5, 3-4), mettendo in pratica la pazienza.

“La venuta del Signore impone invece al cristiano attesa di ciò che sta per venire e pazienza verso ciò che non sa quando verrà. E la pazienza è l’arte di vivere l’incompiuto, di vivere la parzialità e la frammentazione del presente senza disperare. Essa non è soltanto la capacità di sostenere il tempo, di rimanere nel tempo, di perseverare, ma anche di sostenere gli altri, di sopportarli, cioè di assumerli con i loro limiti e portarli. Ma è l’attesa del Signore, l’ardente desiderio della sua venuta, che può creare uomini e donne capaci di pazienza nei confronti del tempo e degli altri.” (da E. Bianchi, Le parole della spiritualità, pp. 54-55).

 

 

Riferimenti:

Ø      Può essere utile la lettura della continuazione del capitolo 21, fino alla fine.

Ø      Vangeli sinottici: Mc 13, 1-13; Mt 24, 1-9 e 10, 17-22.

Ø      Sui risvolti positivi e salvifici delle persecuzioni: At 8, 1-4; 11, 19; 13, 46 e 15, 3; Rm 11, 25-26; Ap 13, 10 (per la pazienza che è resistenza).