Lectio Divina di Giovanni 2, 1-12 domenica 14 gennaio 2001

 

E tre giorni dopo (lett. Il terzo giorno), ci furono nozze a Cana di Galilea e c'era là la madre di Gesù. [2] Fu invitato (lett. chiamato) alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli.

[3] Nel frattempo, venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: “Non hanno vino”. [4] E Gesù le dice: “Che cosa (c’è) fra me e te, donna? Non è ancora giunta la mia ora”. [5] Sua madre dice ai servi: “Fate quello che vi dirà”.

[6] Vi erano là sei giare di pietra per la purificazione dei Giudei, contenenti ciascuna due o tre barili. [7] E Gesù disse loro: “Riempite d'acqua le giare”; e le riempirono fino all'orlo. [8] Disse loro di nuovo: “Ora attingete e portatene al maestro di tavola”. Ed essi gliene portarono. [9] E come ebbe assaggiato l'acqua diventata vino, il maestro di tavola, che non sapeva donde venisse (ma lo sapevano i servi che avevano attinto l'acqua), chiamò lo sposo [10] e gli disse: “ Ogni uomo mette da principio il vino buono e, quando sono un po’ brilli, quello meno buono; tu hai conservato fino ad ora il vino buono”.

[11] Questo fece Gesù (come) principio dei suoi miracoli (lett. segni) in Cana di Galilea e manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui. [12] Dopo questo fatto, discese a Cafarnao insieme con sua madre, i fratelli e i suoi discepoli e si fermarono colà non molti giorni.

 

Quelle sottolineate sono parole ed espressioni chiave per la meditatio.

 

Se proprio volessimo individuare un brano che, nei vangeli sinottici, corrisponde agli intenti teologici dell’episodio giovanneo delle “nozze di Cana”, non potremmo che riferirci, sia pur con i doverosi distinguo, ai passi che riguardano la trasfigurazione di Gesù (Mt 17, 1-9; Mc 9, 2-10; Lc 9, 28-36).

Tanti elementi testuali e contestuali di questo brano ci inducono, infatti, a privilegiare una interpretazione autenticamente rivelativa del mutamento dell’acqua in vino. Del resto non è un caso se il nostro evangelista, a differenza degli altri sinottici, non parla dei c.d. miracoli come atti di dunamis (lett. potenza, forza), ma come semeion, cioè segno.

Un segno è il mezzo per svelare una realtà più profonda e può essere interpretato da colui al quale è presentato secondo il personale livello di percezione. Giovanni gioca con il lettore a saltare da un livello all’altro.

Già, ad esempio, le prime parole del brano ci mettono in guardia sulla complessità semantica che il riferimento temporale iniziale può assumere: il “dopo tre giorni” del v.1 si riferisce al contesto cronologico degli eventi che si susseguono (costituendo il culmine della prima settimana cd. genesiaca che parte con la testimonianza del Battista; cfr. al cap. 1 di Gv i vv. 19, 29, 35, 43) o è una espressione tecnica che i primi cristiani impiegavano per segnalare che si sta parlando di qualcosa fortemente connesso con l’evento Resurrezione? A Natanaele non era stata peraltro, promessa poco prima una cosa grande, un cielo aperto? Entrambe le interpretazioni sono interessanti e confermano che l’evangelista Giovanni offre sempre varie vie per arrivare ad una nuova percezione del Cristo.

Gesù conduce i discepoli che ha appena prescelto - quei discepoli che fino a pochi giorni prima seguivano la rigida disciplina di digiuno del Battista - ad un banchetto nuziale presso il quale Egli è stato chiamato e dove sua madre lo precede.

Il convivio è organizzato da gente probabilmente non ricchissima (il vino non sarebbe mancato) ma sicuramente credente, almeno alla maniera dell’AT (le sei idrie di pietra – e non fatte di impura terracotta - per le rituali abluzioni, comunque, ci sono).

Tra questa gente è venuto a mancare il vino. La madre percepisce immediatamente l’assenza del vino e lo dice al Figlio.

La reazione di Gesù sorprende per la decisiva presa di distanza da chi, in fondo, non ha chiesto miracoli, ma ha solo rappresentato un disagio di tutti. Questo enigmatico dialogo stupisce meno, però, se pensiamo che, dal punto di vista umano, ogni personalità carismatica, come certamente fu il Gesù storico, ha rapporti tesi con la sua famiglia di carne.

Stupisce ancor meno, poi, se si pensa alla esigenza di Gesù di rispettare il Tempo del Signore, anche di fronte ad una situazione che invoca il suo intervento. All’inizio neanche Gesù aveva preso forse pienamente coscienza dei tempi e dell’ora (v. Mc 13,32) ed incuriosisce l’idea di chi ha posto (come nel testo grammaticalmente è possibile…) un punto interrogativo alla fine del v.4. Solo il Figlio, però, poteva essere l’interprete assoluto della sua Ora. Ed arriva in questa luce fondamentale di collaborazione alla gloria del Figlio, l’invito di Maria ai servi per un ascolto attento della sua Parola: Fate quello che egli vi dice.

Gesù, comunque, non è sordo, né cieco.

Ha letto l’opportunità di anticipare il cielo aperto promesso a Natanaele, svelando ai suoi discepoli (unici veri destinatari insieme con Maria del segno; il maestro di tavola non riconosce “donde” viene il vino) che l’abbondanza di ritualismi giudaici (le sei giare – numero imperfetto per gli ebrei – contengono circa 600 litri) cui essi erano abituati non offre l’ebbrezza dello Spirito, non può dare la vera gioia che solo il Cristo porta con sé. “La legge cede il posto alla grazia ”. Si sperimenta una gioia che non dura solo per i primi tempi, come capita agli amori umani, ma che si rivela anche alla fine, anche quando tutti sono un po’ più stanchi.

E’ qui che avviene una anticipazione della gloria futura. E’ qui che, per Giovanni, nasce la comunità messianica.

 

 

Riferimenti:

Ø     Sul terzo giorno: Es 19, 8-16

Ø     “Che c’è fra me e te” : v. Mc 1,23 ss.

Ø     “ Donde” : Gv 3,8; Gv 4,11; Gv 7,27; Gv 8,14; Gv 19,9

Ø     Sul “vino” Gen 49,10; Amos 9,13-14; Is 25,6; Ct 5,1; Mc 2,22

 

Meditazione su Gv 1,2-12                        Lectio divina Is 62, 1-5