Lectio divina di Mc 1,40-45 – domenica 13.02.2000

6^ domenica tempo ordinario

[40] E viene a lui un lebbroso supplicandolo in ginocchio e dicendogli: "Se vuoi, puoi guarirmi!". [41] Profondamente commosso, stendendo la mano, lo toccò e gli dice: "Lo voglio, guarisci!". [42] Subito la lebbra si allontanò da lui ed egli guarì. [43] E, ammonendolo severamente (cf. 14,5), lo scacciò e gli dice: [44] "Guarda di non dir niente a nessuno, ma và, presentati al sacerdote, e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha ordinato, a testimonianza per loro". [45] Ma quegli, allontanatosi, cominciò a proclamare molto e a diffondere la parola, al punto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma se ne stava fuori, in luoghi deserti, e venivano a lui da ogni parte.

*Le parole sottolineate sono parole-chiave per la meditatio

La conclusione del c.1 di Marco ripropone il nesso proclamare-guarire, ma assumendo la prospettiva di chi è guarito dal Signore. Questa volta a proclamare non è il Signore (cf. 1, 14.38.39), ma un uomo che ha fatto esperienza di ciò che il Signore vuole e può fare nei confronti dell'uomo più reietto che si possa immaginare. La lebbra, infatti, costituiva nell'antico Israele qualcosa di paragonabile soltanto alla morte. Chi ne era colpito doveva vivere nell'esclusione totale dalla comunità religiosa e civile e, come la sua nascita veniva assimilata a quella di un bambino nato morto (Nm 12,12), così la guarigione veniva equiparata ad una vera e propria risurrezione dai morti, proprio a confermare la luce pasquale che avvolge la narrazione di questa introduzione al Vangelo di Marco (cf. l'égheiren utilizzato per la suocera di Pietro in 1, 31).

Disperazione (supplicandolo), preghiera (se vuoi), comunione (lo toccò), catechesi (ammonendolo), missione (proclamare). Sono queste le tappe dell'itinerario spirituale che segna l'esperienza di Dio vissuta dal lebbroso. Un'esperienza di Dio contrassegnata dal superamento della logica retributiva che caratterizza il Dio dell'AT. Gesù di Nazareth si connota come il Dio dell'Esodo (Es 4,4; 7,19; 8,1; 9, 22-23; 14, 16.26-27) che "stende la mano" per intervenire a favore del suo popolo, ma va ben oltre quella concezione religiosa sia perché il suo gesto è a beneficio di uno "scomunicato", sia perché non rinuncia ad un contatto fisico che implica contagio sicuro. Il Dio proclamato nella sinagoga di Cafarnao, il Dio annunciato da Gesù di Nazareth, è un Dio che non esita a "farsi lebbroso" (Stancari). Il gesto di contatto messo in opera per la suocera di Pietro si ripete qui in maniera definitiva a segnalare la commozione profonda di Gesù ("commosso fino alle viscere": lo stesso verbo, splanknìzo, usato per indicare la commozione del padre alla vista del figlio prodigo che torna, in Lc 15,20).

Andare dai sacerdoti e farsi riammettere ufficialmente nella comunità religiosa era atto dovuto, secondo il Levitico. Non deve interessare, ai sacerdoti, come la guarigione sia avvenuta. La liturgia si compia, il sacrificio sia messo in opera, l'offerta sia data, secondo le prescrizioni della Torah, ma l'esperienza della Grazia, l'incontro misterioso con il Signore non deve rischiare di essere frainteso: "non dire niente a nessuno" è un forte e severo ammonimento sulla serietà della propria vita interiore e sulla disciplina del proprio linguaggio religioso. Ed è anche un'indicazione evidente sul senso di ogni celebrazione liturgica, che non può essere vissuta come "condizione per", quasi secondo una logica contrattuale (il do ut des pagano), ma come "attestazione di", come celebrazione, testimonianza (v.44) di qualcosa che è già avvenuto prima. La Grazia precede la liturgia, i segni liturgici non sono formule magiche, ma attestazioni di un Incontro che è già avvenuto per iniziativa Altrui ("se vuoi…", v.40) e che la liturgia ha il compito di attestare e di rinnovare. Resta peraltro il dubbio se il lebbroso guarito sia andato dai sacerdoti o abbia "saltato" questo passaggio, violando l'indicazione di Gesù, per transitare direttamente al ministero della Parola.

Nel c. 1 di Marco i discepoli incontrati sul mare di Galilea (Mc 1, 14-20) non proclamano. A proclamare sono soltanto due soggetti: il Signore ed il lebbroso. Quest'ultimo assume una tale forza proclamatoria da rendere problematico l'ingresso di Gesù nelle città. Gesù starà in "luoghi deserti" e saranno gli uomini a "venire a lui da ogni parte". Non vi è dubbio che il lebbroso sia diventato discepolo. E lo è diventato perché ha fatto esperienza di guarigione (potrebbe essere uno come lui l'autore del Salmo 38?). L'episodio che conclude il c.1 del Vangelo di Marco può suggerirci che la condizione imprescindibile per una missionarietà credibile resta quella che addita André Louf quando ci invita a dimorare tra le nostre macerie/lebbre in attesa (orante) che Qualcuno possa reintegrarci nella comunità dei viventi.

Brani di riferimento (oltre a quelli già citati) :

Commento su Mc 1,40-45