Introduzione alla lectio divina su Giovanni 13,31-35

13 maggio 2001 V domenica di Pasqua

 

[31] Quand'egli fu uscito, Gesù disse: «Ora il Figlio dell'uomo è stato glorificato, e anche Dio è stato glorificato in lui. [32] Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. [33] Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete, ma come ho già detto ai Giudei, lo dico ora anche a voi: dove vado io voi non potete venire.

[34] Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. [35] Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri».

 

Le parole sottolineate sono le parole chiave per la meditatio

Si è appena conclusa l’ultima cena tra Gesù e i discepoli, quando Giuda esce fuori dal cenacolo.

A questo punto comincia quello che alcuni esegeti definiscono il “testamento spirituale di Gesù”, di cui il brano 13,31-35 costituisce l’esordio.

La significativa collocazione tra la cena e la passione, fa di questi due eventi gli estremi, le coordinate entro cui leggere i versi di Giovanni che la liturgia domenicale ci propone.

Pasquale è l’annunzio introduttivo di Gesù: “Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato”. Il tempo della salvezza è annunciato come già compiuto; i tempi usati sono al passato, nel senso dell’aoristo greco (edoxasthe “è stato glorificato”) che ben esprime l’idea, puntuale, del momento, dell’ora in cui la salvezza è avvenuta. In Giovanni il tempo della salvezza coincide con la gloria, la manifestazione della potenza di Dio nella morte e resurrezione di Cristo. Un tempo che si è già compiuto nel momento in cui Gesù ha aderito nel profondo alla volontà del Padre offrendo la sua vita in sacrificio. 

Segue l’annuncio del comandamento “nuovo”: l’amore reciproco (“gli uni gli altri”), sul modello di quello donato da Gesù, nella veste nuova di cui è stato rivestito, nel ruolo fondante, nuovo, che viene ad assumere da Cristo in poi, è nel contempo testimonianza di un’identità, dell’appartenenza a Gesù come suoi discepoli.

Tuttavia non si può comprendere a pieno il senso del brano senza rifarsi al contesto, il c. 13, che comincia proprio con la narrazione di un atto d’amore, la lavanda dei piedi, il gesto del servizio reso agli uomini dal Figlio di Dio mediante il suo abbassamento fino al dono della vita. Un amore, quello di Gesù, che è arrivato all’estremo, come si dice al v.1 “…avendo amato i suoi discepoli, li amò fino alla fine”, fino alla perfezione, al compimento, alla morte.

Un dono che, come nella lavanda dei piedi, chiede innanzitutto di essere accolto. Così, infatti, risponde Gesù a Pietro che non comprende quel gesto: “Se non ti laverò, non avrai parte con me”. Riconoscere l’amore, accoglierlo, è il primo atto di ogni condivisione.

 Nell’umiltà di questo gesto si nasconde, però, l’incredibile portata di un ‘fare’ (13,7 “Quello che io faccio..”; 14,13-14 “ Qualunque cosa..la farò…io la farò”). Nel gesto vi è, infatti, la traduzione concreta dell’amore, la sua attuazione pratica, immediata, che prelude a quella, più grande, della croce. Rifarsi al modello di Cristo, come lui stesso ci esorta (“che vi amiate..come io vi ho amato”), non è allora rifarsi ad una teoria, ad una mera dottrina, un sistema di concetti organizzati su amore e salvezza.

L’invito è quello di richiamarsi proprio ad un ‘fare’, quello di Chi ha aderito fino in fondo alla volontà del Padre. Un ‘fare’ che, come opportuna imbeccata, Gesù aveva già messo sulle nostre labbra con la preghiera del Padre nostro, “sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra”, perché la realizzazione del progetto d’amore che Dio ha su di noi, possa prima incontrare il nostro assenso, il nostro abbandono, nella perfetta rispondenza tra cielo (‘come’) e terra (‘così’). Sulla stessa rispondenza e specularità è interamente costruito il nuovo comandamento, in cui la correlazione ‘così-come’ fonda il rapporto d’amore tra i discepoli a immagine e somiglianza di quello intercorrente tra Padre e Figlio.

 La somiglianza a Cristo nell’amore diventa allora il parametro con cui misurare l’amore stesso. Non sembra possibile alcuna reciprocità, alcuna unità; non c’è vero amore se non si guarda a Cristo. Sarebbe solo un “simulacro dell’amore scarsamente convincente e sempre frustrante” (A.Louf). Allo stesso modo non può esserci alcuna testimonianza senza amore, “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri”. D’altra parte il “Testimone fedele”dell’Apocalisse è Colui che ha amato il mondo fino all’estremo.

 La nostra testimonianza di uomini, di Chiesa, non può sottrarsi a questa regola. Una testimonianza che può realizzarsi, ‘farsi’, non solo all’esterno, come lucerna per gli uomini, ma anche all’interno, nell’intimità di quell’amore che condividiamo con gli altri.

Non è ‘quanto’ amore siamo pronti a donare, ma ‘quale’ amore. Non è quanti rapporti riusciamo ad instaurare, ma quali. “La comunità dei discepoli di Cristo non è allora tanto legata a un luogo fisso, ma essa stessa è chiamata ad essere luogo della presenza di Dio tra gli uomini nella persona dei suoi membri. E ciò che caratterizza la communitas è, come dice anche l’etimologia, il munus, il «dono» assunto come proprio «compito» (munus è infatti il dono che si fa, non che si riceve;è il dono di cui si è debitori verso l’altro). La comunità dei discepoli è la comunità che si nutre del dono, della donazione, di persone che si fanno dono per gli altri, che non hanno verso gli altri alcun debito se non quello dell’amore reciproco” (E.Bianchi).

L’esperienza comunitaria, ecclesiale, quale ci viene additata, vive questa realtà di comunione, dell’essere “uno” con Cristo nell’amore, proprio nell’eucaristia, “non un atto isolato di culto, ma una forma di esistenza”(J.Ratzinger).

Da questa comunione d’amore Giuda era fuggito. Con la sua fuga Giovanni fa coincidere l’arrivo delle tenebre, “Ed era notte” (13,30). Ben a ragione S.Agostino commenterà l’espressione definendo tenebra Giuda stesso, dal momento che “Chi ama suo fratello, dimora nella luce e non vi è in lui occasione di inciampo. Ma chi odia suo fratello è nelle tenebre, cammina nelle tenebre e non sa dove va…” (1 Gv. 2,10-11).

 

Brani di riferimento:

A commento del brano può leggersi interamente la prima lettera di Giovanni.

q      Sul rapporto di uguaglianza a Gesù nell’amore (così-come): Gv 14,12; 15, 9-13; 17, 20-3.

q      Sull’ora escatologica nel vangelo di Giovanni: 2,4; 7,30; 8,20;12,23; 12,27; 13,1;16,32, 17,1;19,27.

q      Sul tema della gloria: Es 20,12; 33,18; Ger 2,11; Lc 2,9; Gv 1,14; 7,39; 12,23. Rm 3,23;8,18; 2 Cor 3,18.

 

Meditazione su Gv 13,31-35